Speciale

Senza più libri

21 Novembre 2013

Soffermiamoci un momento su questioni banali, già discusse migliaia di volte. Così, per scaldare le gomme. Parliamo di tagli. Alla scuola, certo, ma ampliamo il contesto. E andiamo oltre la riflessione sui tagli ai progetti didattici, ai quali, ahinoi, si oppongono la fantasia e l'abitudine al salto carpiato degli insegnanti.

 

Voglio soffermarmi sul concetto di sopravvivenza. Su quei progressivi tagli all'esistenza quotidiana che paiono uno stillicidio continuo, mai letale ma progressivo e sfibrante. Le cartucce del toner o i fogli per le fotocopie che, a causa del razionamento, costringono gli insegnanti, soprattutto quelli con più classi, a funambolici dribbling (mi si perdoni la metafora calcistica) per ovviare all'inconveniente. C'è chi si compra i fogli in proprio («giusto!», sbotteranno i più - e sì, è possibile che in un mondo perfetto sia anche giusto), c'è anche, in qualche caso di zelo quasi giansenista, chi si compra una fotocopiatrice per raggiungere l'agognata indipendenza.

 

Molto più tristemente, i tagli invadono la sfera intima, perché la restrizione riguarda anche - con rispetto parlando - la carta igienica, non meno funzionale di quella per le fotocopie. È vero, la didattica in questo caso non c'entra, se non in casi limite e in via del tutto allegorica. E soprassediamo sul fatto che un insegnante trascorra parecchie ore nell'edificio scolastico: da novembre in avanti, tenere a bada reni e intestino diventa una sfida da aggiungere alle altre.

 

Poi ci sono i tagli di cui si parla solo di riflesso e che genericamente sono riassunti nell'etichetta ormai facile e totalizzante di "crisi". Tagli che investono le famiglie e solo indirettamente la scuola.
Classi di periferia di una qualunque grande città, un tempo a vocazione industriale, dove taglio significa spesso equilibrio sul filo della dignità. Cassa integrazione, nella migliore delle ipotesi, oppure disoccupazione tout court.

 

Di entrambi i genitori e da anni, se la congiuntura è davvero spietata. Ma può andare anche peggio e il momento difficile sconfinare nel caso di cronaca, quello relegato in una breve a lato della pagina, che incide poco nella struttura del menabò pur sovvertendo completamente gli equilibri strutturali di un intero nucleo familiare.

 

In classe chiedi di aprire l'antologia e in cinque/sei non si muovono perché l'antologia non l'hanno ancora comprata e la scuola si sta ancora attrezzando per trovare i libri da prestare agli allievi che ne fanno richiesta. Metti una nota per far aumentare il complesso di colpa nelle famiglie che ancora si preoccupano di avvertirlo? Cui prodest? Stigmatizzi pur non volendo la differenza esistente con altri compagni che come alieni scesi sulla Terra hanno i genitori pienamente occupati? Fingi di non accorgertene, fai leggere due allievi sullo stesso libro auspicando che sia almeno utile alla socializzazione, senza preoccuparti che a casa uno dei due non avrà il testo per rileggere la lezione.

 

Pensi sospirando all'Ocse, ai suoi dati sferzanti sulle diverse realtà educative, all'Invalsi, alla sua smania tassonomica nutrita di competenze sempre più enigmatiche. Sorridi amaro pensando al pezzo qualunquista che hai appena scritto, sapendo che il giorno dopo vivrai nuovamente la stessa realtà, con tutto il suo carico di facile qualunquismo.

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