StArt Up: Teatri Abitati di Puglia
In Puglia sembra proprio stia succedendo qualcosa. E, per andare a curiosare in teatro, l’occasione preziosa è rappresentata da StArt Up, densa maratona performativa di due giorni curata dal Crest di Taranto e diretta da Gaetano Colella. Al cuore del programma, l’attesissimo debutto dell’ultimo lavoro del giovane regista pugliese: L’agnello, in cui, in un certo equilibrio fra possenti soluzioni visive e un’articolata ricerca testuale, l’interrogazione sulla propria predestinazione e sul proprio ruolo – quello appunto di un animale condannato al sacrificio – sembra diventare talmente pressante da risultare incontenibile. E infatti gli inquietanti giochi d’ombra di questo spettacolo complesso e raffinato, costruiti da una sapiente e meticolosa magia d’artigianato teatrale, si mutano presto in riverberi e cangianze destinati ad ingoiare progressivamente ogni cosa, fuoriuscendo prima dalle suggestive sezioni di tulle con cui è diviso il palco e poi dalla scena stessa fino a raggiungere la platea.
Pugliese è anche il Sogno shakespeariano di Fatti d’Arte, compagnia di Bitonto che lavora alla rilettura dei classici per grandi (come in questo caso) e piccini. Poi l’Aldo Moro di Daniele Timpano, che, tutto solo in scena come di consueto, si assume ancora una volta la responsabilità di raccontare storie mal assorbite dal nostro Paese, affondando con il corpo intero nei vespai delle contraddizioni, fra lucidità e ferocia micidiali, senza sconti né scrupoli per nessuno. Ma se è sostanziosa la presenza dell’one man show – anche con il Cappuccetto Rosso rivisitato da Santi Primitivi Teatro in Lupòroom e Di terra #1_Embodied di Ima®gini – non mancano le avanguardie dell’ibridazione performativa: suono, movimento, immagine, drammaturgia si fondono in esiti spettacolari di grande coinvolgimento nei lavori di Anagoor (presenti con un frammento del più ampio Progetto Fortuny) e di Santasangre, a Taranto con Sincronie di errori non prevedibili, uno dei loro pezzi più semplici ma forse proprio per questo di maggiore impatto.
Un certo spazio è dedicato anche a esperienze artistiche più giovani, reduci da freschissimi riconoscimenti, come il Premio Scenario Matteo Latino con il potente Infactory, la compagnia Costa/Arkadis (vincitore del Dante Cappelletti con Giro solo esterni con aneddoti) e La Ballata dei Lenna, la cui Protesta è segnalata da una menzione speciale al Premio Scintille di Asti.
Che di questi tempi la Puglia si stia affermando in curiosa controtendenza alla cupa stagnazione che domina il Belpaese si era già intuito da un po’, così come che, per quanto riguarda strettamente il teatro, si stesse candidando a nuovo territorio “felix”. L’impressione, in effetti, è che da queste parti stia succedendo qualcosa di piuttosto paradossale. E questo “qualcosa” ha un simbolo, anzi un emblema: si chiama Teatri Abitati – un nome che è tutto un programma, visto che definisce un progetto in cui la Regione, grazie a fondi europei, ha invitato artisti e compagnie a scegliere uno spazio e a farne, appunto, la propria casa.
Un programma noto come “residenze pugliesi” che esprime la molteplicità di un terzo paesaggio alla Gilles Clément: luoghi sorprendenti per varietà, diceva il filosofo-botanico, il cui unico tratto comune – assieme all’esser stati abbandonati dall’uomo – è di divenire rifugio per la diversità. E in fatti sotto il nome di Teatri Abitati vanno compagnie storiche e giovani progetti d’avanguardia, prosa, danza e teatro ragazzi, dalle vaste aree metropolitane alle periferie ai piccoli centri di provincia. Parole d’ordine: stabilità, organicità, ma anche lavoro sul territorio con progetti di formazione del pubblico o tutoraggio verso artisti giovani e giovanissimi.
Insomma in Puglia sta succedendo qualcosa che merita di essere visto, conosciuto, raccontato al più presto e l’occasione di StArt Up non è certo casuale: perché Teatri Abitati si trova oggi sul crinale che conclude il primo ciclo triennale e apre a un nuovo momento di progettazione. Così il Crest, una delle 12 residenze, ha colto l’occasione per riflettere sul da farsi, invitando artisti, critici e operatori a portare la propria esperienza e a discutere su buone pratiche e strategie di sviluppo.
Qualche rilancio possibile, in effetti, è emerso con chiarezza. Basti scorrere la programmazione del festival, che apre le porte non solo a un avvicendarsi di compagnie e organizzazioni anche extra-regionali – giovanissime e un po’ più mature – che si occupano di contemporaneo e rivendica, a suon di spettacoli, la necessità di non lavorare soltanto sul prodotto finito, ma seguire con grande attenzione anche studi e work in progress. Ma poi, il punto forse è un altro ancora e si trova in quei 3 incontri che hanno intrecciato la fittissima rassegna fra il 25 e il 26 maggio. Perché se c’è da andare a rintracciare un fil rouge dell’iniziativa, fra la varietà dei linguaggi e delle presenze, forse si può ritrovare proprio nella dimensione dell’incontro umano, del dialogo e del confronto.
Insomma, la contingenza informale della discussione intende convertirsi nei modelli della rete. Ovvero nella necessità di istituire pratiche in una condizione di confronto e condivisione che, proprio in una situazione precaria e sempre più a rischio come quella italiana (non solo teatrale), da Centrale Fies fino ai Teatri Abitati sta mettendo in azione idee e energie che potrebbero cambiare il sistema. Anzi, evidentemente lo stanno già facendo.