Il filo dei discorsi / Telefono

12 Marzo 2019

L’utilizzo del telefono è entrato a far parte delle abitudini quotidiane delle persone in un periodo che va all’incirca dal 1875 al 1895. Dunque in un periodo storico che è stato caratterizzato dalla diffusione di diversi nuovi media, come la fotografia, il quotidiano popolare e il cinema. Da subito, il telefono ha mostrato di essere profondamente differente rispetto al tipo di linguaggio dal quale era derivato e cioè la comunicazione “faccia a faccia”. L’arrivo di questo strumento di comunicazione ha determinato infatti un notevole arricchimento della vita relazionale che si svolgeva all’interno degli spazi domestici, sebbene ricorrendo all’impiego di modalità paradossali tipiche della modernità.

 

Perché questo medium, da un lato, ha consentito di recuperare la dimensione dell’oralità e quella prossimità affettiva propria delle relazioni personali dirette che l’arrivo della condizione urbana e metropolitana aveva fatto scomparire, ma, dall’altro lato, ha permesso di mantenere a debita distanza l’interlocutore, la cui presenza fisica è solamente simulata. Infatti, come ha sostenuto qualche anno fa Davide Borrelli nel volume Il filo dei discorsi. Teoria e storia sociale del telefono (Sossella), la conversazione telefonica rappresenta un evidente esempio di quel concetto di «socievolezza» che era stato messo a fuoco da Georg Simmel alla fine dell’Ottocento, vale a dire una forma di relazione sociale che si realizza attraverso una partecipazione puramente ritualizzata. Cioè una partecipazione che viene praticata da individui i quali «non sono percepiti propriamente come uomini in carne e ossa, con il loro carico di emozioni e vissuti idiosincratici, ma come una sorta di figure simulacrali che portano nella conversazione solo quei contenuti e quelle qualità che sono suscettibili di essere condivisi nella situazione comunicativa del gioco di società» (p. 103). 

 

Opera di KangHee Kim.


Pertanto, è possibile considerare il telefono come uno strumento di comunicazione che ha consentito in passato agli individui di trovare delle rassicurazioni rispetto a una condizione metropolitana fatta di estranei la cui prossimità silenziosa può creare inquietudine, ma nel contempo anche sviluppare le relazioni sociali attraverso delle modalità comunicative di tipo autoreferenziale. È evidente però che nel corso degli ultimi decenni il telefono è stato oggetto di un processo di cambiamento decisamente radicale. È diventato cioè uno strumento che offre diverse funzioni, dove la possibilità di parlare con qualcuno è solo una delle tante possibili. Siamo di fronte cioè a una sorta di piccolo computer trasportabile e facilmente utilizzabile a cui è stato necessario anche cambiare il nome. Il telefono infatti è diventato lo smartphone.

 

È necessario pertanto chiedersi che cosa sia oggi per noi il telefono. La risposta è difficoltosa, anche perché il processo di cambiamento di questo strumento di comunicazione è evidentemente in pieno svolgimento. Ci offre però un aiuto il giornalista inglese Paul Mason, del quale poco tempo fa è stato tradotto in italiano il volume Postcapitalismo (Il Saggiatore), che ha riscosso un notevole interesse. Ora Mason ha pubblicato nella collana Irruzioni dell’editore Castelvecchi il piccolo libro Chi è Eleni Haifa?, nel quale racconta di una ragazza che ha visto in treno e che aveva un iPhone per ogni mano: con uno ascoltava la musica, con l’altro dialogava sui social media. L’ha vista perché ha pensato di rifare il viaggio da Richmond a Waterloo che è stato compiuto nel 1910 dalla scrittrice Virginia Woolf per verificare se, come pensava, il carattere umano era cambiato.

 

Un secolo dopo, Mason ha incontrato sul treno Eleni Haifa, nome di fantasia, che pensa sia sintomatica di un nuovo tipo di persona che si è presentato negli ultimi anni sulla scena sociale: «l’individuo della rete, con poca dedizione all’organizzazione, personalità molteplici e la cui coscienza è prodotta da una comunicazione continua su piattaforme multiple» (p. 9). 

Tutto ciò, secondo Mason, produce delle notevoli conseguenze sul tipo di rappresentazione che gli scrittori ne possono dare, ma dà vita soprattutto a delle conseguenze sulla percezione che abbiamo della realtà. Perché gli individui oggi, grazie agli smartphone, sono estremamente informati su quello che succede attorno a loro. Ma quello che colpisce è che si scandalizzano poco rispetto a tutto quello che può presentarsi come discutibile sul piano etico. In parte perché sono egocentriche e intensamente concentrate sui loro strumenti di comunicazione, ma soprattutto «perché tutto ciò che li circonda è progettato per inculcare fatalismo» (p. 43). Ed è appunto questo fatalismo ciò che, secondo Mason, oggi e nei prossimi anni dobbiamo preoccuparci di contrastare con forza. 

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