Speciale
Tutti i Pinocchio all'ADI: design e grafica
Pinocchio non è soltanto il personaggio della fiaba italiana più famosa al mondo, è soprattutto un fatto culturale. E non solamente perché su di lui sono state scritte pagine e pagine di letteratura (a partire da quelle del suo creatore, Carlo Lorenzini 1826-1890, alias Collodi), o per i film e le commedie che lo vedono protagonista; non solo per i risvolti ‘educativi’ impliciti nel suo personaggio, ma anche per le espressioni idiomatiche cui ha dato origine, che contrappuntano il nostro quotidiano.
Modi di dire come: fare il Grillo parlante; avere a che fare con il Gatto e la Volpe; avere il naso lungo, o le orecchie d’asino; essere un Lucignolo; vivere nel Paese dei Balocchi; ridere a crepapelle; essere/avere una Fata Turchina, ci appartengono, tanto fanno parte della nostra vita fin dall’infanzia.
Senza contare le filastrocche tradizionali, come quella senza tempo: Alla larga, alla stretta, Pinocchio in bicicletta, con cui si ‘spupazzano’ i baby.
Per non parlare poi della Filastrocca di Pinocchio, scritta da Gianni Rodari fra il 1954 e il 1955. Eccone l’incipit:
Qui comincia, aprite l’occhio
L’avventura di Pinocchio
Burattino famosissimo
Per il naso arcilunghissimo
Lo intagliò Mastro Geppetto,
Falegname di concetto
Ma più taglia – strano caso –
E più lungo cresce il naso.
Pinocchio, insomma, è un concetto imprescindibile del background di noi italiani.
Ed è proprio in occasione dei 140 anni dalla prima edizione del libro Le avventure di Pinocchio – storia di un burattino, che l’ADI Design Museum ha allestito la mostra Carissimo Pinocchio, visitabile dal 30 novembre 2023 fino al 4 febbraio 2024.
Curata da Giulio Iacchetti, con il progetto d'allestimento di Matteo Vercelloni, vede il contributo di Marco Belpoliti per la selezione storica iconografica e il progetto grafico di Federica Marziale Iadevaia. La copertina del catalogo, edito da ADIper (€ 20.00) presenta un disegno inedito dell’artista centenario Attilio Cassinelli (18 giugno 1923).
Come fosse un libro, questa rassegna espositiva, il cui titolo ci ricorda la prima strofa della canzone Lettera a Pinocchio (1961) cantata da Jonny Dorelli (autori Migliacci, Meccia) è anch’essa suddivisa in capitoli.
Entrati nel museo, ci accoglie la sezione storico-iconografica, in cui Marco Belpoliti con riproduzioni fotografiche di disegni, di copertine di libri, di riviste e di manifesti pubblicitari ci documenta sulla fortuna editoriale di Pinocchio.
Non mancano i riferimenti ai primi spettacoli cinematografici e teatrali dedicati al famoso burattino, come, ad esempio, il film Totò a colori, una commedia all’italiana del 1952, in cui il principe De Curtis diede una strepitosa interpretazione meccanica dei movimenti del burattino assurta ad icona; o l’omonima opera teatrale di Carmelo Bene, andata in scena per la prima volta nel 1961 (poi in versione radiofonica nel 1974 e quindi televisiva nel 1999).
Giganteggiano sulle pareti di questa prima sezione anche i magnifici disegni di Aldo Rossi dedicati a Pinocchio (1988).
Il clou della kermesse è costituito dal secondo capitolo, in cui vengono presentati al pubblico 62 nuovi progetti di altrettanti artisti, 31 product designer e 31 graphic designer che si sono cimentati, su invito del curatore, nell’ideazione tridimensionale e bidimensionale di altrettanti Pinocchi.
“Sono pezzi dichiaratamente inutili” ha spiegato Iacchetti “ho chiesto a designer e grafici di non farsi tormentare dalla funzione. Volevo in mostra oggetti inutili, lettere ‘grafiche’ e ‘solide’ rivolte a Pinocchio. […] in grado di raccontare la capacità del design italiano di realizzare immagini e oggetti senza tempo, celebrando così il mito di Geppetto, il primo designer italiano!”
A chi si interroga su che cosa abbia mai a che fare Pinocchio con il design, così risponde Iacchetti, nel suo testo in catalogo:
“Carissimo Pinocchio, credo di poterti dire che tu c'entri eccome in questa storia che è la storia del design italiano, e ti dico il perché.
Ti sei mai visto allo specchio? Tu sei la combinazione elementare ma efficacissima di poche forme geometriche: un cilindro, una sfera, il cono del cappello e ovviamente la sporgenza appuntita e sottile del naso. La tua forza iconica è direttamente proporzionale alla tua immediata riconoscibilità formale. Sì, perché tu sei un'icona simbolo dell'italianità come la lampada Tizio, la Fiat Panda o la macchina da scrivere Olivetti!
Da una ricetta formale così semplice sono gemmate negli anni innumerevoli tue versioni, sia dal punto di vista grafico sia relative alla tua forma: tutte diverse, ma tutte riconducibili chiaramente all'archetipo (che saresti tu)".
Per ospitare i carissimi Pinocchi, Matteo Vercelloni ha ideato un tendone circolare, ispirato al Gran Teatro dei burattini di Mangiafuoco.
“La mostra in ADI” ha raccontato questi “segue l’idea della costruzione di un Paese dei Balocchi con il grande circo di Mangiafuoco al centro, che costituisce il cuore del percorso espositivo composto dai 31 elementi espositivi che accolgono i 31 pinocchi disegnati dai designer e le 31 opere di grafica. Il circo di Mangiafuoco, dove i nuovi Pinocchi si confrontano e si guardano, accoglie al suo centro una giostrina girevole che sottolinea la memoria del Paese dei Balocchi, rimarcata anche dalla giostra-ziguratt in cui i prodotti pinocchieschi formano un racconto corale.”
Tra tutti i nuovi Pinocchi, confesso la mia predilezione per la sineddoche di Lorenzo Damiani. Un Pinocchio 'assente' e presente solo per il suo lungo naso (la parte per il tutto) su cui poggia una libellula. Per me è il Pinocchio più poetico, il più vicino alla favola, con quel naso che cresce ad ogni bugia.
Ma la bugia nasconde il segreto della verità, e allora ecco lo scrigno che la custodisce, che ne custodisce il segreto. E la duplicità bugia/segreto è allusa anche dalla duplicità delle essenze dei legni impiegati: bosso e amaranto. Ma quale di essi simboleggia la verità e quale la bugia? È un mistero degno di Esopo.
Prediligo anche il Vitrocchio di Franco Raggi, quel Pinocchio incernierato al famoso quadrato iscritto nel cerchio che, come fosse sottoposto al supplizio di un Tantalo, si agita spasmodicamente per liberarsi. Forse dal giogo della proporzione e della misura, in nome di quella assoluta libertà compositiva che il maestro Raggi ha sempre perseguito? Piace pensarlo. In più, il suo Pinocchio ha due nasi intercambiabili, “a seconda della sincerità”, ci dice.
In fondo, qual più, qual meno, son tutti belli i Carissimi Pinocchi del circo di Mangiafuoco, perché, come ha scritto il curatore della mostra, rappresentano “un’icona aggiornata alla nostra contemporaneità. Una moltitudine di Pinocchi, con nasi che crescono e gambe che si accorciano, polemici e irriverenti, snodabili, ridotti all’essenziale (cilindro, sfera, cono), primordiali, leonardeschi, che invitano al gioco, che si prestano a giochi grafici, colorati e seriosi in bianco e nero, cinetici, semplicemente inutili. O meglio: utili per strappare un sorriso, per distoglierci per un momento dai nostri affanni e riportarci a pensare che ognuno di noi, per un momento nella vita, avrebbe voluto essere come il nostro burattino”.
Anche i 31 manifesti dedicati a Pinocchio, qual più, qual meno, sono tutti spiritosi e divertenti. Difficile sceglierne due di cui parlare. Dovendolo fare, opto per il manifesto-rebus di Francesco Franchi, che ha a che fare con la parola, seppure evocata dalle immagini e per quello di Mario Piazza, con il suo interrogativo verbalizzato: “Pinocchio dove sei?” e con le risposte che rimbalzano, contrastanti, di angolo in angolo, di lato in lato della superficie del manifesto: “sono qui”, “no, sono qui”.
Nel terzo capitolo della mostra milanese, sopra uno ziggurat a base circolare, è esposta una raccolta di 22 oggetti di design ispirati sempre alla figura di Pinocchio e prodotti da importanti aziende italiane. Ad esempio, di Cressi, c’è la famosissima maschera da sub Pinocchio (1952), disegnata da Luigi Ferraro. Del brand Danese, c’è il Pinocchio book end (1997) di Alfredo Häberli. Della Alessi, il Pino imbuto (1999) di Stefano Giovannoni e Miriam Mirri; il Pinocchio apri bottiglia (2013) di Alessandro Mendini; Pinolio (2020), l’oliera di Marta Sansoni. Del brand Riva 1920, c’è lo sgabello Pinocchio (2010) di David Dolcini. Della Valsecchi, ecco il tavolino Pinocchio (2011) di Luigi Baroli. Di InternoItaliano, c’è il vaso in vetro soffiato Pinocchio (2012) di Giulio Iacchetti. Della Mobili Nella Valle, c’è la sedia Pinocchio (2015) di Mario Ceroli. Del brand OPINION, il candeliere, Pinocchio (2018), di Maurizio Galante & Tal Lancman; dello Studio Brogliato Traverso, ecco poi la lampada da tavolo Mobi (2021) disegnata da Ale Giorgini; della E-my, c’è il tappo per il vino Monello, di Paolo Iannetti, che è anche autore del tagliere Pinocchio, in legno di ciliegio; di Raffaele Iannello ecco lo scopino Pinocchio. C’è poi la caraffa Jarra Pinocchio di Massimo Lunardon; ed anche lo sgabello Pinocchio di Julius Bucelis (visibile su Coroflot); di Geelli, c’è lo specchio da tavolo di Alessandra Pasetti; della Bosa, ecco Pinocchietto porta candela creato da Jaime Hayton. Eccetera.
A proposito di Pinocchietto, come dimenticare i famosi pantaloni che portano questo nome? Molto amati da Jackie Kennedy, furono ‘inventati’ nel 1948 dalla stilista tedesca Sonja de Lennart, che li aveva inizialmente battezzati Capri, nome subito trasformato in Pinocchietto dalla vox populi. A far la fortuna di questo capo d’abbigliamento, che non è mai passato di moda, ci ha poi pensato il cinema. È infatti stato consacrato da Audrey Hepburn in Vacanze Romane (1953) con un modello che la costumista Edith Head, vincitrice di numerosi Premi Oscar, aveva fatto realizzare nientemeno che dalle Sorelle Fontana. Ma Audrey indossò il Pinocchietto anche nel film Sabrina (1954), questa volta disegnato addirittura da Hubert de Givenchy; e lo indossò anche in Cenerentola a Parigi (1967), sempre creato da Edith Head. Nel moto ondoso dei corsi e ricorsi della moda, ogni tanto il Pinocchietto fa ancora capolino nelle estati italiane.
Infine, l’ultima sezione della mostra presenta in originale i disegni di Andrea Branzi, il maestro del design recentemente scomparso, a cui la stessa mostra è dedicata. Si tratta dei disegni da lui realizzati per il suo libro ‘Pinocchio?’, edito da Libri Scheiwiller.
Al cospetto della multiformità di proposte sulla sua figura, presenti nella rassegna milanese, viene spontaneo domandarsi chi sia veramente Pinocchio. Risposte convincenti ce le offre Marco Belpoliti nel suo intervento sul catalogo della mostra (poi apparso anche su Doppiozero), alle quali ne aggiungerei delle altre, ch’egli ci ha fornito in un suo articolo precedentemente apparso su Doppiozero:
“Pinocchio è anche colui che si sottrae al proprio destino di ribelle, di perdente. È capace d’improvvise e inattese metamorfosi, di cambi di forma: da bambino a ciuchino e viceversa, da burattino a ragazzo in carne e ossa. Questa è anche la nostra speranza: cambiar pelle si può, e non solo una volta nella vita, ma più e più volte. Pinocchio si reincarna, sebbene ogni cambio di stato necessiti tanta sofferenza. E il cibo? Aiuta a diventar grandi.”
La mostra, realizzata con il contributo di Abet Laminati, dopo Milano, sarà ospitata presso gli Istituti di Cultura Italiana nel mondo, quindi, al termine del tour, i 62 Pinocchi realizzati ad hoc, verranno battuti all’asta per beneficenza.
Per sapere di più sugli autori e i produttori dei 62 Pinocchi in mostra
Questi i 31 designer autori dei Pinocchio: Antonio Aricò, Alessandra Baldereschi, Luca Boscardin, Sara Bozzini, Matteo Cibic, Carlo Contin, Lorenzo Damiani, Francesco Faccin, Duilio Forte, Alessandra Fumagalli Romario, Massimo Giacon, Alessandro Guerriero, Giulio lacchetti, Luca Madonini, Ambroise Maggiar, Raffaella Mangiarotti, Giacomo Moor, Paola Navone, Lorenzo Palmeri, Franco Raggi, Matteo Ragni, Sara Ricciardi, Elena Salmistraro, Mario Scairato, Valerio Sommella, Ludovico Spataro, Studio Ossidiana, Philippe Tabet, Andrea Vecera, Joe Velluto, Martinelli Venezia.
I 31 grafici sono: About Studio, Gianluca Alla, Andrea Amato, Ascionemagro, Atto – Sara Bianchi, Beatrice Bianchet, Cinzia Bongino, Edda Bracchi e Stefano Cremisini, Mauro Bubbico, Valentina Casali, Monica Casu, Pino De Nicola, Davide Di Gennaro, Lorenzo Fanton, Vitantonio Fosco, Francesco Franchi, Giulio Iacchetti, La Tigre – Luisa Milani, Leftloft, Emilio Salvatore Leo, Multiplo – Luca Fattore, Margherita Paleari, Mauro Panzeri, Mario Piazza, Antonio Romano, Giulia Saporito, Gianfranco Setzu, Leonardo Sonnoli, Studio Grand Hotel – Paolo Berra, Studio Mistaker, Omar Tonella.
Ecco infine le aziende e produttori coinvolti: Activa s.r.l, Alessi, Billiani 1911, Bisetti, Bottega Ghianda, Bricheco, Cnc 5 assi – Forbicioni studio, Ebanisteria Meccanica, Emmemobili, Fabbro Arredi, Falegnameria, Elleci s.r.l, Friuli Intagli Industries S.p.A, Legno Parise – Bassano del Grappa, Antonio Manuel, Angelo Mastrandrea, Miocugino, RIVA 1920, Scapin, Somaschini, Vaia, Viganò.
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