Fernanda Alfieri, un esorcismo a Roma / Veronica e il diavolo

7 Maggio 2021

Fernanda Alfieri, storica della sessualità, nel corso di una delle sue ricerche nell’Archivio della Compagnia del Gesù, si imbatte, per errore, in un faldone di documenti non cercati e fa uno strano incontro: «È da questo limbo degli incollocabili che la storia di Veronica è arrivata qui, capitando fra le mie mani mentre cercavo altro, avvolta in una coperta di carta dai margini sbriciolati e con sopra un nome che non era il suo: Esorcisazione di Maria Antonina Hamerani, ritenuta ossessa (1834-35). Chi le ha dato un titolo aveva forse letto una piccola parte del plico contenuto nella cartella, o comunque l’aveva ritenuta, quella piccola parte, più rilevante del resto. Che fosse per trascuratezza, che fosse per distrazione, o per una volontà precisa perduta nel tempo che ci separa, il custode della memoria, intanto, mi ha consegnato la storia di Veronica come la storia di un’altra. Qualcun altro, più tardi, ha cancellato Maria Antonina, scrivendoci sopra Veronica». 

 

Inizia così la storia di Veronica e il diavolo (Einaudi, 2021): un “errore” documentale genera, nella storica, il desiderio di “errare” nella vita sommersa di una posseduta diciannovenne, Veronica Hamerani, nella Roma papalina del 1834. La vicenda ha un inizio e una fine, registrate con esattezza nel manoscritto. In un giorno di dicembre del 1834 alcuni uomini entrano in una casa romana e così inizia l’esorcismo di una ragazza, che continua nei mesi a seguire. Quasi ogni giorno, qualcuno annota ciò che accade durante quelle visite e nelle ore precedenti e seguenti. Nell’estate dell’anno successivo il gruppo abbandona l’impresa e la scrittura diaristica si interrompe.  

 

Fernanda Alfieri è una storica della sessualità e del matrimonio; ma qui, nella lenta e ipnotica stesura di questo libro, è soprattutto una narratrice di storie che emergono come se lei stessa, da immaginaria restauratrice, trovasse delle figure appena visibili su una parete e colmasse le lacune con i colori originali. Il libro è l’affabulazione di un destino, quello della posseduta Veronica. Naturalmente lo storico non può creare una fiction, non è libero di inventare dei personaggi ex novo, non deve sottrarsi ai limiti del suo “mandato”; ma, nella libertà vigilata della plausibilità storica, può concedersi aperture drammatiche e narrative di cupa suggestione. Il corpo di Veronica, posseduto dal “diavolo”, cioè dalle sue voci inconsce e perturbanti, spesso espresse in dialetto romanesco, costellate di risa insensate, deve essere ricondotto a un ordine stabilito, o a quello medico della diagnosi di isteria o a quello religioso di oggetto da esorcizzare e liberare concretamente dalla presenza di Satanasso.

 

«Il diavolo dimandò gridando, e fremendo: Chi ti ha dato questa autorità? Iddio, disse il Padre. E il diavolo: Non l’onorerò mai, e fece risate. Il Padre accrebbe pene se non diceva come si chiamasse. Rispose: Adesso mi hai colto, e disse di chiamarsi Satanasso. E poiché il parroco suggeriva al Padre le cose necessarie, il diavolo disse a questi: Vattene ignorante. Il Padre rispose: Meglio essere ignorante che superbo. Lo stesso procurò di mettere addosso all’ossessa delle reliquie. E questa le buttò via. Quindi cominciò ad avere un gran viscido alla gola, con grandi smanie di vomitare. Si vedeva questa povera giovane con un fortissimo affanno, con angosce fierissime, con lunghe strette quasi strozzato. Queste strette le facevano alzare la testa, allungare le braccia, gettarsi di piombo indietro, e sopra l’uno e l’altro fianco, scoteva il capo fortemente, poi chiedeva aiuto con una voce grossa da balbuziente.

 

Ogni tanto faceva violentissimamente col corpo, e colle braccia quei moti che fa una persona che non sa stare a cavallo, e la bestia di trotto accelerato lo porta via, e lo fa saltare, e dondolare di qua e di là. Ogni tanto si gettava tra le braccia di due zie, che stavano alla sponda del letto. Ogni tanto allungava le braccia gridando che la tenessero per le due mani. Poi sputava viscido, tanto che fece un buon mezzo catino. Diceva che sentiva gran dolori dentro, gridando: Ah dentro, ah dentro. Tutto questo durò dalle 23 incirca fino ad un’ora di notte in punto. Al tocco del De profundis si quietò con un sospiro. Mostrò una faccia serena, e parlò con calma dei suoi gran patimenti. Il Padre Kohlmann l’animò, la benedisse, ed essa gli baciò la mano. Pregollo a raccomandarla a Dio, e restò quieta. Il Padre venne a casa a un’ora e mezzo, tutto inorridito e intenerito per quanto aveva veduto. E assicurò che l’ossessione era fuori di dubbio». 

 

Fernanda Alfieri, fin dall’inizio del libro, tratteggia i personaggi dei due religiosi gesuiti, padre Kohlmann e padre Manera, che, il 23 dicembre del 1834, bussano a una porta fra Campo dei Fiori e il ghetto ebraico, chiamati a compiere un esorcismo sulla giovane donna, Veronica Hamerani. Il diario degli esorcisti, ritrovato casualmente dalla storica, è l’eccentrico documento da cui inizia questa vicenda perturbante. Diversi uomini non smettono di registrare, durante i mesi in cui si protrae il rito, il racconto in cui “il diavolo”, tra violenti improperi e battute in romanesco, prende direttamente la parola.

 

 

Da una parte lo sguardo vigile e giudicante della Chiesa, la convinzione che il Maligno abbia preso possesso del corpo della ragazza e la volontà di riportarlo nel perimetro del proprio controllo; dall’altra, quello della medicina che vede le convulsioni di Veronica come una malattia nervosa curabile, l’isteria. Dall’anziano padre Kohlmann, che aveva attraversato i continenti, fuggendo dalla Francia in Rivoluzione e approdando, attraverso l’Impero russo, negli Stati Uniti, e ogni volta vedendo il suo mondo da ancien régime distrutto da un tempo nuovo e ingovernabile, fino al giovane malinconico padre Manera, il piú colto e dubbioso (che ipotizza anche una “finta” ossessione della giovane): sullo sfondo, i medici, la famiglia, il Vaticano, la Roma papalina, la superstizione, la modernità, e la voce della storica, pienamente coinvolta in questa lucida “fuga” verso il passato. 

 

Alfieri coglie tutti gli sguardi di controllo che si stringono intorno al corpo di Veronica, che lo scrutano per interpretarlo, zittirlo e farlo parlare con le loro parole: a questo corpo cancellato e conteso, traversato dalle voci del Maligno, la scrittrice restituisce la dignità di immagine della nostra storia recente; intrecciando i rapporti fra scienza e soprannaturale, fra potere del bene e potere del male Veronica e il diavolo è un libro storico e un racconto gotico. Ma la sua interpretazione non è solo il punto di vista del femminile, in una società governata da uomini: è un viaggio simile al restauro di un affresco dove si colgono solo pallide tracce di figure, ma quelle tracce ci sono; la storica si assume il compito, delicato e scrupoloso, di ricomporle, di riconoscere i nessi, di inventare, nei limiti della verosimiglianza, un perturbante ritratto di donna del passato: dialoga, a distanza di quasi due secoli, con quella storia; vi costruisce attorno una fragile e attenta  biografia, chiusa tutta nella forsennata ricerca di quei mesi, attraverso una immersione, non ideologica, nei saperi religiosi e nei poteri secolari, e racconta il suo sguardo, non accomodante e non conciliato, sul tema del desiderio. 

 

«Una lunga tradizione guardava al corpo femminile come interamente dipendente dall’utero, ostaggio della sua potenza tanto di generare quanto di distruggere. Se non soddisfatto, se non messo a ospitare concepimenti e nutrire feti, poteva infatti ribellarsi, fino a far morire la donna che non lo utilizzava come natura chiedeva. C’era chi sosteneva che fosse quello il male di Veronica. Ma non era un insulto alla natura umana e alla creazione divina pensare che Dio facesse esistere quello che la medicina antica chiamava “furore uterino”, si chiedeva padre Kohlmann? Se davvero ci si potesse ammalare per prolungata castità, allora bisognerebbe far sposare tutti, anche i preti, come i protestanti. Sarebbe la fine per la Chiesa cattolica, con tutto il suo clero separato dal mondo da un voto di castità. Per questo non si poteva smettere di esorcizzare Veronica: accettare che fosse solo un’isterica significava accettare che un corpo potesse soccombere al desiderio, che l’amore non soddisfatto potesse arrivare a distruggere. Sul corpo della giovane Hamerani, sul senso dato al suo dolore, si giocava la sorte della Chiesa di Roma, costruita su un esercito di celibi».

 

La suggestione narrativa del libro, al di là della drammatica analisi di poteri e saperi contrastanti, vive anche nel rapporto empatico fra Veronica e la storica, che, verso la fine del libro, farà visita, non senza commozione, al cimitero dove la diciannovenne è sepolta. Il destino della “posseduta” ha preso “possesso” della storica, guidandola a comporre questo magico e chiaroscurato affresco, rigoroso come un saggio e avvincente come un romanzo, sospeso fra letteratura e metaletteratura. In un punto del libro, Alfieri scrive: «...padre Kohlmann non poteva sottrarsi al dovere di soccorrere la ragazza, con tutto quell’orrore e quella tenerezza che provava, e, ancor prima, di dare un nome e una ragion d’essere a quanto aveva visto. Ossessa: non era semplicemente vessata dal demonio, che avrebbe potuto agire su di lei anche restando fuori dal suo corpo, ma ne era stata invasa. Lui l’aveva messa in stato di assedio come l’esercito nemico si impossessa di una città, entrandovi malgrado la resistenza dei suoi legittimi abitanti. Certo, il demonio non poteva prendersi tutto. Non l’anima, perché solo Dio può varcare quella soglia. Ma si era preso molto. A un certo punto della sua vita, la ragazza era stata sottratta a se stessa, e in virtù di quella sottrazione era finita nelle mani di altri: di chi la possedeva, e di chi voleva liberarla, che ora, come padre Kohlmann, era certo di sapere cosa le stesse accadendo e come aiutarla.

 

Bisognava riprendersela, restituirla a se stessa e, prima di tutto, alla Chiesa. E bisognava farlo il prima possibile, perché da molto soffriva. Troppo tempo c’era voluto prima che padre Kohlmann arrivasse a lei». Veronica era finita nelle mani di chi la possedeva e di chi voleva liberarla. La sua vita appare come un punto cruciale, dove l’assedio del demonio e la liberazione dalla sua influenza alla fine tornano nell’ombra, come se la partita appena iniziata fosse già finita. Si diceva, in generale, della donna: «il silenzio è il loro migliore ornamento, perché nell’infanzia del mondo, fin da quando la donna parlò, parlò male». Il corpo di Veronica, cominciando a parlare “male” in quanto ossesso, è una galassia pericolosa, da riportare all’ordine del cosmo. Fernanda Alfieri riferisce tutto questo, in un libro irriducibile ai silenzi secolari e iniqui della storia – un libro inventato dentro la verità.  

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