Walter Fornasa, maestro d'infanzia

16 Novembre 2013

Walter Fornasa, scomparso ieri a Bergamo, comincia come maestro elementare, all'inizio degli anni Settanta, in una scuola sperimentale a tempo pieno della provincia di Bergamo. Il suo lavoro lascia il segno.

 

Da quel momento in Italia si sviluppa un'idea d'infanzia nuova. L'infanzia come fonte della creazione artistica, letteraria, scientifica. Il suo autore, da sempre e per sempre, è Jean Piaget. Non il Piaget tradotto all'italiana, quello delle tappe dello sviluppo, bensì il Piaget che attraversa lo strutturalismo, proponendo una visione ricca e complessa del pensiero logico, che si rifà alle teorie matematiche dei gruppi di trasformazione, per giungere alle procedure, il luogo, la situazione in cui il bambino, piccolo ricercatore, sperimenta la costruzione delle idee e delle relazioni.

 

Qualcuno diceva allora che Piaget era lo psicologo che si era occupato del rapporto del bambino con gli oggetti, Fornasa ci presentò un Piaget che osservava le relazioni del bambino con gli altri, in primo luogo con i pari. Nell'Ottantasette, su sua proposta, iniziammo a curare e tradurre un'opera essenziale del grande ginevrino, gli Studi sociologici, che uscì due anni dopo. Studio matto e disperatissimo, come tipico della sua esistenza, che poco si curava degli effetti di clamore e si concentrava sempre su nuove idee.

 

Walter Fornasa con Mauro Ceruti

 

I ricordi sono tanti, come quando, giovani piagetiani a una conferenza di Cesare Musatti gli si chiese a proposito del ruolo dell'intelligenza in psicoanalisi e ci si sentì rispondere: “Cari fioi, l'inteligensa la ga vol dapertuto! Anca in psicoanalisi!”. Oppure quando si partiva alle sei in auto per recarci all'università di Parma e, per risparmiare il pedaggio, si andava sulla statale, ci si fermava presso una pasticceria di Cremona, verso le sette, a divorare due tre brioches a testa, per proseguire. Salvo quando a noi si aggregava il filosofo Angelo Marchesi, che soffriva di celiachia. In quei casi, passando davanti alla medesima pasticceria, ci si scambiava silenziosi uno sguardo languoroso e si proseguiva fino alla città di Maria Luigia ove invece, data la fame accresciuta, si ordinavano dei carré col fiocco.

 

Gl'incontri pomeridiani, più spesso nello studio di casa sua, ricoperto di libri: scaffali debordanti, pile di un metro, un passaggio e due sedie risicate, per lavorare sulle opere sociologiche e morali di Piaget, per affrontare le questioni poste dalle ricerche di Doise e Mugny, sul conflitto socio-cognitivo, che per noi doveva trasformarsi in cooperazione sociale, ancor prima del pensiero operatorio.

 

Inventò un apparato, alto circa due metri, con sospeso al centro un sistema di carrucole che reggevano due corde che sostenevano, l'una a destra, l'altra a sinistra un secchiello piendo d'acqua. Lo si montava nelle scuole dell'infanzia dove si chiedeva a due bimbi di tre anni di sollavare il secchiello tirando le carrucole, senza far cadere l'acqua. Si osservava lo scambio degli sguardi dei bambini, le loro posture per coordinarsi al fine di raggiungere il compito. Sguardo poetico di bambini che cooperano, senza che l'uno diriga l'altro, con semplici mosse oculomotorie, mentre dopo, verso i sei anni, uno dei due tendeva a prevalere e a dirigere l'altro.
Scienza romantica: in principio è cooperazione.

 

Negli anni Ottanta Fornasa partecipa, come figura portante, al movimento degli asili nido insieme a Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, Aldo Fortunati di Empoli e vari altri propulsori di una nuova immagine del nido. Il nido si trasforma da luogo assistenziale per le madri lavoratrici in luogo afettivo, educativo e creativo. Purtroppo la stagione bergamasca, a differenza delle esperienze emiliane e toscane, sarà costretta a spegnersi piuttosto precocemente, una città conservatrice non può permettersi certe eccededenze creative. Ma Fornasa continuerà, anche nei periodi meno favorevoli a lottare sul piano culturale.

 

Durante il peridodo universitario parmense ha l'occasione di incontrare altri importanti promotori della teoria della complessità, come Mauro Ceruti, Gianluca Bocchi, Sergio Manghi, Marco Ingrosso, Alfonso Maurizio Jacono, Laura Fruggeri, Sheila McNamee, ecc. Si tratta di un'esperienza tipica degli anni Ottanta, dove ancora il terreno di confronto tra diverse aree disciplinari era valorizzato. Poi il disciplinarismo dominante costringe un po' tutti a una sopravvivenza dentro le grinfie di un'accademia sempre più arida, sempre meno creativa. Ma c'è sempre stato chi credeva nella sua scienza, nel suo seminare fuori dal solco.

 

Walter non è il tipo da arrendersi all'evidenza dell'impoverimento culturale del paese e continua, fino a oggi. Uomo mite, con due grandi occhi azzurri, un gigante, nel corpo e nel genio, in gran parte incompreso. Forse, in fondo, non aveva neanche voglia di farsi capire da chi non voleva capire: un po' come uno zingaro, come un anarchico.

 

Nel tempo le nostre strade si separarono perché coltivammo campi differenti, ma la poesia di Bob Frost m'insegna oggi che la strada non presa è la migliore, quella è la meno battuta. Qui sta la differenza.

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