Alexander Girard: un designer dell’altro mondo
Il ristorante La Fonda del Sol di Manhattan è uno dei ‘luoghi altri’, diversi da quelli dell’ufficialità, dove si è scritta una pagina insolita ma importante della storia del design.
La Fonda del Sol
Ubicato nella hall del Time & Life Building, fu concepito nel 1960 dalla prorompente fantasia di Alexander Girard (1907-1993) che ne curò l’identity system fin nel più minuto dettaglio, dal menu, al logo, dalle piastrelle in ceramica, alla carta da parati, dalle livree dei camerieri ai posacenere e persino ai fiammiferi con quell’inconfondibile eclettismo cosmopolita, nutrito di suggestioni colte e al contempo folk, che ha fatto di lui un unicum nel panorama dell’Arte del Novecento.
Spirito eclettico e poliedrico, anche se poco conosciuto dal grande pubblico, Girard, americano per parte di madre, di padre italo-francese, è stata una delle figure di spicco del design d’oltreoceano del dopoguerra, insieme ai suoi più noti amici e colleghi Charles e Ray Eames, George Nelson ed Eero Saarinen.
Ristorante all’avanguardia e di gran moda negli Anni Sessanta tra il jet set newyorkese, La Fonda del Sol annoverava tra i suoi frequentatori anche Andy Warhol, che vi era molto assiduo. Tema iconografico centrale del suo logo (vincitore nel 1962 della medaglia d'argento della Architectural League di New York) è un sole stilizzato che all’interno del locale compariva in ottanta differenti fogge. A volte in solitaria, altre moltiplicato in composizioni patchwork – genere Old Pioneers – con un patterning vivacissimo dai colori caldi, il Girard lo ha coniugato spesso a motivi geometrici stile Optical Art, senza rinunciare a un linearismo fumettistico molto prossimo a quello della Pop Art, mostrando di padroneggiare appieno i codici delle tendenze artistiche in auge nell’America del suo tempo ma anche di anticipare il linguaggio postmoderno in quel mix di purismo e di decorativismo che, uniti a un’esuberante tavolozza cromatica, gli erano propri.
Il grande talento di Girard non risiedeva tanto nella progettazione di singoli oggetti (di cui ci ha comunque lasciato notevoli esempi), quanto piuttosto nel saper comporre l’insieme degli arredi, coordinando magistralmente tra loro dettagli anche apparentemente inconciliabili. Egli possedeva l’innata dote di saper unire tessuti provenienti magari dal Marocco a cuscini dell'Afghanistan, lampade moderniste in tubolare d’acciaio a pezzi della tradizione popolare, creando fra loro una perfetta combinazione di colori e attorno a loro le giuste proporzioni di spazio con un equilibrio armonioso e godibilissimo.
Per la progettazione dei mobili de La Fonda del Sol si era avvalso della collaborazione dei suoi amici ‘storici’, Charles e Ray Eames, già autori di pezzi di design di grande successo, cui aveva chiesto di creare una sedia con uno schienale più basso del tavolo in modo da consentire una visuale ininterrotta dell’insieme del locale da qualunque punto lo si osservasse. È così che è nata la famosa sedia che porta lo stesso nome del ristorante. A stampo in vetroresina, con la seduta imbottita, rivestita poi dal Girard con i tessuti su suo disegno, dai colori sgargianti e dai motivi più inconsueti, è stata prodotta dal colosso americano Herman Miller e ha avuto un tale successo da diventare un’icona del design, largamente imitata, di cui sono stati venduti centinaia di migliaia di esemplari.
Chiamato confidenzialmente ‘Sandro’, all’italiana, dagli amici più intimi, Alexander Girard è nato a New York ma si è formato a Londra presso l’Architectural Association, dove si è laureato nel 1929, quindi a Firenze, a Stoccolma e a Roma, ma soprattutto nei suoi numerosi viaggi intorno al mondo che lo hanno portato ad apprezzare e a prediligere le culture figurative popolari, in modo particolare quelle dell’India, del Messico e del Nord Africa, dei cui prodotti artigianali è diventato appassionato collezionista.
Il suo primo studio di architettura e di interior design lo apre nel 1932 a New York, ma già cinque anni più tardi lo trasferisce a Detroit e quindi nel 1953 definitivamente nel New Mexico, dove sceglierà di abitare e lavorare fino alla fine dei suoi giorni, spostandosi di volta in volta laddove lo chiamavano nuovi progetti.
Herman Miller
Nel 1952, Girard viene reclutato dalla scuderia di Herman Miller, la più importante e prestigiosa azienda americana di produzione di mobili moderni, chiamatovi a dirigere la divisione tessile, che coordinerà fino al 1973 arrivando a disegnare più di 300 motivi decorativi per tessuti, carta da parati, stampe decorative, pannelli serigrafati e arazzi, senza contare l’ampio gruppo di mobili e di oggetti. A volerlo con loro alla Miller erano stati Charles e Ray Eames, suoi amici per tutta la vita, che già lavoravano per il brand, e lo stesso George Nelson, che ne era il direttore artistico. I disegni dei tessuti di Girard, dalle composizioni complesse e articolate, spesso da realizzare con filati insoliti e una gamma di colori accesi e vibranti, erano difficili da produrre. Si deve all’abilità dell’industria tessile Maharam se si è potuto realizzarli rivoluzionando i fondamenti del disegno per tessuti non solo degli Stati Uniti ma di tutto il mondo.
Fondata nel 1902 da Louis Maharam come azienda specializzata in scenografie e tessiture per il teatro, dagli Anni Sessanta si volgerà alla produzione di tessuti per l’arredo occupando fin da subito i vertici del settore, dove si trova ancora oggi, grazie alla messa in produzione di stoffe disegnate da prestigiosi architetti e designers quali Girard, appunto, Charles e Ray Eames, Anni Albers, Koloman Moser, Gio Ponti e molti altri
Per ottenere i suoi famosi tessuti a mano in 100% cotone, detti "mexidot" e “mexicotton”, veri must della Herman Miller, che neppure Maharam riusciva ad ottenere, a un certo punto ‘Sandro’ arriverà addirittura a rimettere in funzione una filanda del XIX secolo scoperta nel Messico centrale, tanto ‘filologico’ era il suo rispetto per la tradizione.
T&O
Sedottto dal fascino dei tessuti del Girard e dalla sua collezione di pezzi Folk Art provenienti da tutto il mondo, Herman Miller, nel 1961, aprirà sulla 53° Street Est di Manhattan lo showroom T&O (Tessile e oggetti). Purtroppo l’esperimento si rivelerà fallimentare e lo spazio chiuderà poco dopo l'apertura. Le cause sono da imputare sia ad un marketing poco adeguato che al pubblico americano non ancora pronto a sostituire ciò che aveva in casa con i pezzi variopinti ed esotici proposti da T&O; inoltre, affezionato ai toni pastello tipicamente Anni Cinquanta, non era evidentemente ancora pronto a quell’esplosione di colori che lo contagerà invece di lì a vent’anni, nell’euforia Postmoderna.
Braniff International Airways
Nel 1965 Girard viene incaricato dalla Jack Tinke & Partners (la più famosa e innovativa agenzia pubblicitaria americana del momento) di occuparsi della corporate identity della Braniff International Airlines, con sede a Dallas. La Braniff International Airways , fondata nel 1930 da Vega Paul R. Braniff e rimasta attiva fino al 1982, metteva in comunicazione il Midwest e il sud-ovest degli Stati Uniti con il Sud America, con Panama, l’Asia e l’Europa. Grazie al suo intervento progettuale Girard la fece diventare l'epicentro del design cool americano degli Anni Sessanta. Egli partorì, infatti, ben 17.543 progetti, dal logo, alle livree degli aerei (che volle coloratissimi affinché fossero distinguibili da quelli anonimamente bianchi delle altre compagnie aeree); dal design degli interni (con 56 tipi di tessuto variopinto da lui disegnati), agli oggetti di cabina (addirittura le scatole di fiammiferi e le bustine di zucchero!) senza escludere i check point di terra e l’immagine coordinata, dai manifesti pubblicitari alla carta da lettere. Il successo fu immediato e straordinario. Tuttavia, sebbene il Girard avesse stabilito che ciascun aeromobile Braniff dovesse essere in tinta unita, con solo un piccolo logo "BI" sulla coda e il nome Braniff sull’esterno della fusoliera, per esigenze di marketing il logo fu invece apposto più grande e le ferree regole dell’ingegneria aeronautica imposero che le ali e la coda fossero lasciate bianche. Inoltre, delle otto cromie scelte da Girard per le livree degli aerei ne vennero messe in produzione soltanto sette, perché la tonalità Lavanda, applicata ad un solo B720, fu subito abbandonata in quanto ritenuta infausta sia nel Messico che nel Sud America.
Il progetto delle uniformi delle hostess, chiamato “The Air-Strip Gemini4”, fu affidato dalla Jack Tinke al leggendario stilista italiano Emilio Pucci, che condivideva con il Girard la tavolozza e il gusto per il decorativismo. Da questo felice connubio creativo presero vita aerei allegri, vere e proprie “bombe cromatiche”, sia dentro che fuori, a loro modo pop-art e optical al tempo stesso, che vennero a costituire uno degli esempi più riusciti e “alti” (e non solo per le quote a cui si librarono) di “Arte applicata all’Industria”.
L’Etoile
Alexander Girard ha sempre avuto dei committenti prestigiosi, dalla Jack Tinke al mitico Jerome Brody, il geniale imprenditore che ha rivoluzionato la cultura della ristorazione di New York inventando i ristoranti a tema. Per sua volontà sono infatti sorti l’elegantissimo Four Seasons, nel Seagram Building a Manhattan (progettato nel 1958 da Ludwig Mies van der Rohe, Hans Wagner e Philip Johnson, con alle pareti quadri di Mirò e di Picasso) e ancora il Rainbow Room, l’Oyster Bar, il Forum dei Dodici Cesari e la Fonda del Sol, di cui si è già detto. Nel 1966 Jerry Brody affidò a Girard la progettazione di un altro dei suoi straordinari ristoranti: l’Etoile, situato nello Sherry Netherlands Hotel sulla 5th Ave.
Poiché si trattava di un ristorante francese, ‘Sandro’ gli conferì un tocco di eleganza di gusto più europeo, realizzando un arredamento austero giocato sui toni del grigio argento, con interferenze cromatiche ridotte al minimo e concentrate soprattutto nelle poltrone, prodotte come sempre da Herman Miller, questa volta su suo disegno. Diede forma di margherita ai piani dei tavoli, con tanto di petali e di bottone serigrafati sopra insieme al riuscitissimo logo. Anche in questo caso il successo fu immediato, il locale infatti entrò da subito nelle grazie del jet set newyorkese diventando uno dei luoghi cult delle star di Hollywood e degli artisti trendy.
Interior design
Insieme alla curatela e all’allestimento di mostre diventate dei veri e propri modelli di riferimento, il campo in cui il Girard ha massimamente eccelso è stato indubbiamente l’interior design non solo di ristoranti, ma anche di abitazioni private, quali, ad esempio il Miller Cottage a Muskoka, in Ontario, del 1950-52; la Irwin Miller House a Columbus, nell’Indiana del 1953 e la sua propria casa a Santa Fe di quello stesso anno.
Su progetto di Eero Saarinen, con i magnifici giardini di Dan Kiley e i geniali arredi di Alexander Girard, la “Miller House and Garden” nel 2000 è stata dichiarata Monumento Storico Nazionale. Vero e proprio capolavoro del modernismo americano, commissionata dal mecenate e magnate dell’Industria Irwin Miller e da sua moglie Xenia Simons Miller, dal 2011 è aperta al pubblico dopo che i loro eredi, nel 2009, l’hanno donata all’IMA (Indianapolis Museum of Art).
Il punto di forza dell’interior design della Miller House è la zona conversazione nel living. Concepita dal Girard come se fosse una cavea teatrale, si sviluppa su un’area quadrata sita ad una quota inferiore rispetto a quella del pavimento così da non turbare con il suo ingombro la visuale dell’insieme degli spazi. Questa “fossa” di conversazione – che sarà poi largamente imitata dai designers di tutto il mondo – cui si accede da una comoda scala, è circondata da un divano che ne perimetra i lati, adorno di una miriade di cuscini multicolori che gli conferiscono una nota di vivacità. Altro elemento geniale del progetto Girard è la parete attrezzata lunga quasi 16 metri, dove nicchie, scaffali, armadi e librerie contengono, occultandoli alla vista, gli oggetti di uso quotidiano lasciando in bella mostra solamente i pezzi della collezione di Irwin Miller, dalle opere d’arte colta ai cimeli di arte popolare provenienti dal Messico, dall’Asia e dall’Europa dell'Est. ‘Sandro’ vi ha firmato anche le tende, le tappezzerie e i tappeti, tutti realizzati in coloratissime fogge, il monogramma dei Miller inglobato nella decorazione insieme a motivi e a simboli ispirati alla loro storia di famiglia.
John Deere & Co
Guardando il murale tridimensionale che Girard ha eseguito nel 1964 nella sede della John Deere & Co a Moline, in Illinois, come non pensare all’effetto Duchamp sulla cultura artistica americana del dopoguerra e al conseguente Nouveau Réalisme di Robert Rauschenberg?
Si tratta di un’opera spettacolare, lunga sessanta metri, un vero e proprio “muro della storia”, composto da centinaia di oggetti “recuperati” (genere ready made) tutti aventi a che fare con la quotidianità e con il lavoro agricolo dell’America del XIX secolo (dal 1837, anno in cui John Deere ha inventato l'aratro in acciaio, al 1918, anno in cui la John Deere & Co ha iniziato a produrre trattori). Il murale, oltre a rendere omaggio al fondatore della più importante azienda di macchine agricole d’America, celebra anche la memoria della vita rurale di quella terra e delle sue tradizioni, cristallizzandone le vestigia prima della loro definitiva cancellazione ad opera della civiltà industriale e della conseguente meccanizzazione dei processi produttivi. Per poterlo comporre, ‘Sandro’ e sua moglie Susan, nell’estate del 1963, hanno battuto a tappeto il Midwest, acquistando pezzi alle aste, nelle fattorie, dai rigattieri, selezionati non già in base alla loro rarità o al loro stato di conservazione, quanto piuttosto alla loro forma, al loro colore e al materiale con cui erano realizzati, non esclusi quelli conservati negli archivi Deere, dai brevetti, agli erpici e perfino ai rastrelli.
Costruito nella nuova sede del Centro Amministrativo della John Deere & Co, progettata da Eero Saarinen, il murale di Girard, con la ruggine di alcuni suoi pezzi, con le sue forme handmade, i colori caldi delle sue trapunte patchwork, i suoi tappeti di stracci, i pupazzi di pezza e gli scialli consunti, dialoga con le strutture in acciaio corten e con le pareti in vetro a specchio della modernissima architettura che lo accoglie. Come già nei suoi straordinari allestimenti di mostre al MOMA, anche qui gli oggetti esposti fluttuano nello spazio, galleggiando sospesi a un piolo, a un filo, oppure poggiati su ripiani di vetro, su specchi che ne moltiplicano l’immagine, generando vetrine all'interno di vetrine, camere all'interno di camere per un infinito guardare come se chi li osserva fosse una novella Alice nel Paese delle Meraviglie.
La collezione di Arte popolare
Alexander Girard è stato un grande collezionista. Dai suoi trentennali viaggi in giro per il mondo, in Africa, tra Nigeria, Benin, Ghana, Senegal, Dakar e Costa d’Avorio, in Asia, nell’Europa dell’Est e in America Latina ha riportato più di centomila oggetti di artigianato tradizionale, che nel 1978 ha donato al Museo di Arte Folk di Santa Fe nel New Mexico, progettandone anche la sede espositiva.
Vitra Design Museum
Tre anni dopo la sua morte l’intero patrimonio personale di Girard è stato acquisito dal Vitra Design Museum di Weil am Rhein (Basilea). Composto da oltre 5.000 pezzi tra disegni e fotografie, comprende anche molti schizzi inediti, centinaia di campioni tessili, oltre ad accessori, a elementi di arredo e a oggetti di arte popolare. È proprio da questo immenso archivio che il 12 marzo 2016 ha potuto nascere la mostra “Alexander Girard. A Designer’s Universe” lì allestita fino al 29 gennaio 2017. Curata dallo studio londinese Raw Edges, diretto da Shay Alkalay e Yael Mer con Jochen Eisenbrand, è la prima grande retrospettiva sull’attività di questo straordinario e vulcanico artista che sarebbe ormai tempo di definire maestro, un maestro dell’altro mondo.