Biografia del tempo

24 Febbraio 2022

Il filosofo e scrittore tedesco Rüdiger Safranski ha gli occhi così chiari da parere trasparenti. I suoi pensieri sono visibili, il tempo li attraversa. Soprattutto questa volta in cui Safranski parla e scrive proprio del tempo. (Rüdiger Safranski, Il tempo. Che cos’è e come lo viviamo, Keller, 2021).

È l’ultima sua opera tradotta in lingua italiana. Ma non è l’ultima opera di Safranski, che è scrittore e filosofo e che scrive di filosofi e di filosofia che sembra spalmare crema nutritiva sugli occhi di chi legge. L’ultima opera, non tradotta, e che è presente da tempo nelle classifiche dei libri più venduti in Germania è Einzeln sein. Eine philosophische Herausforderung [Il singolo. Una sfida filosofica], affascinante racconto storico-filosofico del formarsi del concetto di individuo unico e singolo in una galleria di periodi e personaggi storici (Machiavelli, Lutero, Montaigne, Rousseau, Diderot, Stendhal, Kierkegaard, fino a Arendt, Sartre e Jünger). 

 

La biografia del tempo

In questo libro invece il protagonista di cui si seguono vita e avventure è il tempo. Quel tempo che, come fa dire Hugo von Hoffmansthal alla Marescialla nel Cavaliere della rosa (1911), giusto per non citar sempre Sant’Agostino,

 

 …è cosa strana. 

Quando si vive, non è niente,

ma poi, d’improvviso, non senti altro che lui:

ci sta d’intorno e anche dentro.

Die Zeit, die ist ein sonderbares Ding. 

Wenn man so hinlebt, ist sie rein gar nichts. 

Aber dann auf einmal, da spürt man nichts als sie: 

sie ist um uns herum, sie ist auch in uns drinnen.

Eccolo lì quel tempo che sta fuori e dentro di noi, che quando si vive si crede di sapere che cos’è, cioè niente. E invece quando ci pensi non sai più che cos’è, eppure c’è, lo avverti intorno e dentro di te. E anche se ti sfugge sai che c’è e però fugge. Fugge il tempo e con lui le torme delle cure, e fugge la vita e pensare al tempo esistenziale non può che portare alla fine del tempo per ognuno, alla morte di ognuno. 

 

Tutto ciò è molto heideggeriano, e a Heidegger Safranski ha dedicato una delle sue meravigliose biografie, forse la più toccante e vibrante, che le storie sembra di viverle ed essere lì con Heidegger e Cassirer sulle nevi e le cime di Davos a parlare di filosofia, altro che di finanza. Heidegger parlava dell’essere per la morte, ma se l’argomento disturba meglio girare all’indietro le lancette degli orologi e pensare al tempo della nascita, dell’inizio di ognuno. Meglio esorcizzare lo scorrere del tempo fino alla fine, il tempo chiuso, gli anni compiuti, con il piacere dell’inizio, l’attimo squisito e splendente dell’origine: un nuovo amore, un nuovo anno, una nuova epoca, una nuova normalità... No grazie. No davvero. Ridateci quella vecchia per favore, con tutti i suoi problemi e i suoi inconvenienti, lo sfruttamento, l’inquinamento, i migranti, il cancro, la fretta, la depressione e la bulimia, ridateci il lavoro, la vita, tutto ciò che il tempo lo riempiva, anche se troppo. Ridateci il tempo pieno di movimento, di persone e di cose che si muovono e agiscono e fanno e sbagliano, invece di questo tempo sospeso, vuoto, morto, che per salvarci da una morte ci condanna a un’altra.

 

«Immondizia velenosa e conti da saldare».

Il libro di Safranski è del 2015 e ci parla di un tempo ancora pieno di lavoro, di vita, di affetti, di incontri, di abbracci, di conflitti. Mi fa pensare a questa strana coincidenza tra la fine proclamata (!?) della guerra a un virus e l’inizio di una guerra vera che chissà come andrà avanti, la guerra in Ucraina per l’Ucraina e per interessi di potenza. Come dire, ricominciamo con le cose serie e con le guerre vere, però a distanza, almeno per chi tira, in presenza per chi è colpito.

 

Rüdiger Safranski.


Torno alla biografia di Safranski, che nonostante la difficoltà di dire qualcosa di nuovo sul tempo, fisico, astronomico, letterario e filosofico, pubblico e privato, ci riesce veramente. Lo scrittore filosofo descrive la condizione umana lungo il filo conduttore dell’esperienza del tempo. Da cui anche i titoli dei dieci capitoli, disposti in ordine tutt’altro che convenzionale; iniziano infatti dal tempo della noia, altro motivo heideggeriano, già che la metafisica di Heidegger cerca proprio di arrivare all’essenza del tempo attraverso l’interpretazione dell’essenza della noia. E solo dopo il tempo della noia arriva il tempo dell’inizio, e poi quello della cura, e quello della società.

 

Poi ancora si attraversano il tempo regolamentato, il tempo della vita e il tempo del cosmo, il tempo proprio e privato, per concludere con il giocare con il tempo e per ultimo con tempo pieno e eternità. Il tutto su un sottofondo in cui risuona il basso continuo delle fondamentali opere sul tempo di Harald Weinrich: il tema del tempo dimenticato di Lete. Arte e critica dell’oblio (tr. it. Bologna, il Mulino, 1999), e il tema della scarsità di tempo di Il tempo stringe. Arte e economia della vita a termine (ivi, 2006).

 

Il basso continuo di Weinrich risuona per esempio nell’idea del tempo che scarseggia; e ciò in relazione a quante azioni ci mettiamo dentro, come in una famosa gag di Charlie Chaplin che tagliava con le forbici quel che fuorusciva da una valigia strapiena; oppure in rapporto all’accelerazione provocata dal credito, che crea aspettative e promesse nel futuro che poi si rivelano, per figli e nipoti, assevera Safranski, «immondizia velenosa e conti da saldare». Altro che virtù e resilienza. Il basso continuo di Weinrich riecheggia anche nella tematica dei ritmi e tempi imposti al tempo pubblico, quello prigioniero del lavoro e al tempo privato dello svago (il tempo libero). Domina, riprende Safranski, un diktat temporale imposto che finiamo per interiorizzare e autoimporci, grazie anche agli orologi che regolano trasporti e lavoro. 

 

Il tempo di Amsterdam

 

Un esempio di regime temporale imposto è l’ora legale. Un altro, proveniente da un passato non troppo lontano, è quello che i tedeschi imposero nel 1940 ai Paesi Bassi quando, dopo aver occupato il paese, lo obbligarono ad adottare l’orario tedesco che era spostato di un’ora e quaranta, 100 minuti esatti. Fino a quel momento le campane avevano battuto l’ora di Amsterdam, anche le campane della Westerkerk, la chiesa protestante calvinista in pieno centro città, non lontano dalla casa dove Anna Frank e i suoi familiari trovarono riparo prima di essere deportati, il cui suono confortava la ragazza, è scritto nel suo diario, in quella disperata situazione.

 

Oggi il suono delle campane più non conforta l’insonne né dà l’indicazione dell’ora, nelle nostre vite banali, messo a tacere per l’abbandono delle chiese o per il disturbo che recherebbe al sonno. Ma là dove le campane battono le ore, e alcune le mezzore e i quarti d’ora, è possibile di notte, tenendo gli occhi chiusi e le tempie sul cuscino (le tempie, tempora in latino, là dove batte il tempo, tempus, tum tum, ancora un’intuizione di Weinrich), è possibile, dicevo, sapere «che ore sono». Mi è capitato di recente di sentir battere le ore e le mezzore e i quarti d’ora, alloggiata per un festival letterario in un centralissimo albergo della Friburgo svizzera a fianco della torre campanaria della cattedrale, senza riuscire in effetti a prendere sonno.

 

Il tempo dell’universo e della rivoluzione

 

E comunque oggi non è più il tempo delle campane, diamine, è il tempo della misurazione del tempo con gli strumenti della fisica e dell’elettronica – e siamo nel capitolo 7, il tempo universale, il tempo dell’universo, il tempo misurato e misurabile. Ma il bello del tempo sta proprio nel contrasto tra il tempo misurato e il tempo sperimentato, tra il tempo dell’esperienza e il tempo della misurazione, il tempo della vita e il tempo degli orologi.

Coperto di premi letterari, Safranski ha scritto di letteratura e di filosofia, dei Romantici, di Heidegger, Nietzsche e Schopenhauer. E anche in questo libro si parla del tempo in termini prevalentemente letterari e filosofici: il tempo della noia e della cura e di tante altre rappresentazioni. Un tempo cui Safranski volge uno sguardo onnicomprensivo, globale vien da dire, prima che il tempo cessi, per lui. «Scrivere questo libro mi ha divertito», ha dichiarato in un’intervista. 

 

Sembrerebbe però che la tematica, oltre che a divertire il nostro, abbia anche risvegliato il suo spirito ribelle, comunque mai completamente sopito. Serve infatti, proclama Safranski a proposito della occupazione del tempo, a p. 148: «niente di più e niente di meno che una nuova politica del tempo, una rivoluzione dal regime temporale della società, che includa la difesa e la possibilità di realizzazione del tempo privato di ciascuno, dal punto di vista psicologico, culturale ed economico». Parole che nel 2015 suonavano benedette e che oggi, nell’inverno del 2022 suonano ironiche a noi che ci tocca vivere in un tempo privato privatissimo, privato del movimento e dello svago, degli incontri e degli abbracci, nonché dei diritti fondamentali e delle più elementari libertà.

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