Cecco del Caravaggio. Un dialogo

9 Maggio 2023

Appoggiato allo schienale di una poltrona rivestita di pelle e messa di traverso rispetto a un banco stretto da lavoro, un giovane si volta verso di noi e rimane a fissarci: senza troppa intenzione, semmai con un certo languore, come per un segreto gioco a cui ci invitano anche, misteriosamente, gli oggetti posati sul tavolo, alla rinfusa. Tra noi che guardiamo e il giovane che è guardato e ci guarda a sua volta, un cassetto semiaperto costruisce una paradossale linea di continuità visiva tra il suo e il nostro spazio. Siamo intorno alla metà del secondo decennio del Seicento. L’uomo indossa un elegante cappello di pelliccia rossa ornato da una lunga piuma bianca, e, sotto un gilet di pelle, una camicia stravagante, con la gorgiera arricciata e il tessuto delle maniche tagliuzzato e ricucito con inserti e risvolti in seta rossa. Posando il gomito sul bracciolo della sedia, la mano destra, dal polso delicatissimo grazie agli effetti di luce, tiene un tamburello; mentre la mano sinistra stringe una moneta tra pollice e indice, mostrandocela maliziosamente, quasi per sfida. Ci sta offrendo dei soldi? Oppure ha ricevuto del denaro? E perché? Chi è e cosa ha visto quest’uomo, che ci affronta tenendo la bocca a cuore, mentre le sue labbra trattengono, come trastullandosi, un piccolo oggetto sferico (qualcosa che cerca la nostra attenzione, abbagliandoci attraverso la dominante cromatica d’insieme del bianco che dalla piuma, alla bocca, al collo fino alla camicia, riveste di sensualità il corpo)? Cosa c’è mai in quella bocca? magari un confetto preso dalla scatola rotonda foderata da una velina e piena di palline simili: è l’oggetto che si intravede sul tavolo, quasi nascosto sotto uno specchio rotondo con tanto di coperchio, accanto a un violino, un borsello, un libro, tra fogli vari, un telescopio e una fiasca. 

Chi sei mai, e cosa fai? viene voglia di chiedere a questo giovane dipinto da Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, adesso che, per un altro mese ancora, possiamo andare a vederlo da vicino, a meno di un metro di distanza e all’altezza dei nostri occhi, su una parete della sala dell’Accademia Carrara a Bergamo, prima che torni a Londra. Sei veramente, possiamo domandargli, un giocoliere, un prestigiatore? O un fabbricante di strumenti musicali – come disse Roberto Longhi riferendosi con il medesimo titolo a un quadro dal medesimo soggetto, sempre di Cecco? 

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Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Fabbricante di strumenti musicali, olio su tela, 123,8 x 98,4 cm Londra, The Wellington Collection, Apsley House (English Heritage).

Assieme al suo quadro gemello, ma meno svolto, conservato ad Atene, il cosiddetto Fabbricante di strumenti è esposto in questi mesi e ancora per poche settimane nella prima mostra monografica dedicata a Francesco Boneri, passato alla storia come Cecco del Caravaggio perché fu modello, allievo, e probabilmente amante: “ragazzo” (“his boy”) di Caravaggio, come lo definisce un viaggiatore inglese. L’esposizione, imperdibile, potrà essere visitata fino al 4 giugno, nella sede appena rinnovata dell’Accademia Carrara, a Bergamo (proprio queste, difatti, sarebbero le zone d’origine del pittore: le medesime terre lombarde di Caravaggio, secondo la ricostruzione di Gianni Papi confermata anche dalle ricerche fatte in occasione della mostra da Francesca Curti e Gianmario Petrò) 

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Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio, olio su tela, 129,5 x 174 cm, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

Ho potuto visitare la mostra, per doppiozero, conversando con Gianni Papi, curatore dell’esposizione assieme a Maria Cristina Rodeschini. Papi studia Caravaggio e il caravaggismo da decenni, da una vita intera. I suoi primi lavori sull’autore in mostra risalgono al 1991, quando cominciò a ricostruire, dietro al soprannome, l’identità di Francesco Boneri, a cui ha dedicato la prima monografia nel 1992. 

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Daniela Brogi: Chi era Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio?

Gianni Papi: Era uno dei quattro ragazzi seguaci di Caravaggio che Giulio Mancini (1559 – 1630, medico, cultore d’arte e autore di una delle più antiche biografie su Caravaggio) inserisce nella “schola di Caravaggio” assieme a Spadarino, Ribera e Manfredi. Ma, rispetto agli altri tre, che pure avevano conosciuto direttamente Caravaggio, Cecco ebbe con lui un rapporto ben più continuo e intimo, tant’è vero che ha fatto da modello in sette dipinti, tra il 1600 e il 1606 – per esempio nel Davide e Golia, in mostra. Lo vediamo crescere via via e, come possiamo ricostruire anche grazie alla testimonianza (1650) di un viaggiatore inglese, l’Amore vincitore, di Caravaggio, ha proprio il volto e il corpo di Cecco.

Nel catalogo della mostra (pubblicato da Skira) hai scritto che probabilmente in quel quadro Caravaggio ha ringiovanito il volto e il corpo di Cecco. Quando era nato Boneri?

Secondo me Cecco, anche a giudicare dalle sue sembianze, dovrebbe essere nato tra il 1586 e il 1587, quindi nel Martirio di San Matteo, nella Cappella Contarelli, dovrebbe avere tredici-quattordici anni.  

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Caravaggio, San Giovanni Battista, dettaglio; Martirio di San Matteo, Roma, San Luigi dei Francesi, dettaglio; David e Golia, dettaglio.

Sei il massimo studioso del caravaggismo. So di chiederti molto, ma puoi fissare in modo essenziale e sintetico cosa si può intendere con questo termine?

Prima di tutto si intendono i quattro pittori che già citavo sopra (Ribera, Spadarino, Cecco del Caravaggio e Bartolomeo Manfredi) che a mio parere hanno conosciuto direttamente Caravaggio, cominciando a lavorare accanto a lui. Abbiamo la certezza per Cecco, ma è probabile anche per gli altri tre. 

Quindi prima di tutto stiamo parlando di una circostanza storico-biografica.

Sì, a cui dobbiamo subito accostare, e sempre procedendo, come mi hai chiesto di fare, per punti essenziali, la rivoluzione più importante del caravaggismo. Caravaggio, infatti, non usa disegni preparatori: tiene il modello come centro di tutto. Dipinge direttamente dal modello, dai modelli, senza utilizzo di disegni preparatori, come si indicava di fare invece nelle Accademie, come facevano i fiorentini, i bolognesi e chi, in generale, aveva un’istruzione accademica. 

Caravaggio non ha mai disegnato?

Certo, ha disegnato: quando ha fatto l’apprendistato con Peterzano (1535 -1599), ma dopo, la differenza rivoluzionaria è e diventa avere il modello davanti a sé. 

Per questo storiche e storici dell’arte insistono sempre sul “naturalismo” di Caravaggio, giusto? Insisto perché è un chiarimento importante per chi riflette su questi aspetti anche arrivando da altri ambiti e linguaggi, dove, per esempio in letteratura, quando si parla di naturalismo si pensa al romanzo sperimentale francese ottocentesco, e dunque si rischia di confondersi. Adesso invece possiamo far capire meglio l’uso preciso del termine: il “naturalismo” caravaggesco riguarda prima di tutto la scelta di dipingere “dal naturale”. 

Sì. In più, la rivoluzione del naturalismo caravaggesco include anche l’“invenzione” della luce, che è sempre artificiale, piove dall’alto e rende scultorei i corpi, delineati come sono tra luci e ombre. Il più grande manifesto di questa pittura è il Martirio di San Matteo, a San Luigi dei Francesi, un’opera che lasciò tutti abbacinati. Infatti il pittore accademico Federico Zuccari, come ci raccontano i biografi Giovanni Baglione e Giovan Pietro Bellori, quando arrivò, strattonato dalla folla accorsa a vedere, al cospetto del Martirio, esclamò: «Che rumore è questo? Io non ci vedo altro che il pensiero di Giorgione». Dove colpisce, di quelle frasi, la testimonianza del gran “rumore” provocato dalle novità stilistiche caravaggesche.

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Cecco del Caravaggio, Ragazza con colomba, olio su tela, 66x47 cm, Madrid, Museo Nacional del Prado

Torniamo a Cecco…

Francesco / Cecco impara a dipingere vivendo accanto a Caravaggio: ne vive e condivide gli umori, le avventure, le storie, lo assiste mentre lavora. Sì è, letteralmente, un imparare a dipingere vivendo. 

Al tempo stesso, come mostrano le diciannove tele visibili tutte insieme all’Accademia Carrara, siamo anche in presenza di una personalità artistica, non solo di un modello e di un allievo.

Nessuno dei caravaggeschi è un imitatore. Nessuno di loro recupera precisamente iconografie o stili precisi. Ognuno porta avanti una sua interpretazione del linguaggio del maestro. Io li chiamo i quattro evangelisti, perché ognuno di loro traccia una traiettoria che parte da Caravaggio, ma poi va verso altre direzioni che a loro volta creano influenze nei pittori che arrivano nel secondo decennio del Seicento. Ma la rivoluzione del Caravaggismo è una fiammata anche nel senso che alla fine del terzo decennio sarà già in crisi. 

Quali erano i committenti di Cecco e come pesarono sulla sua fortuna?

Principalmente tre: anzitutto Alessandro Montalto Peretti, il Cardinale che gli commissionò l’affresco a Bagnaia, e il San Lorenzo (come abbiamo recentemente scoperto grazie al saggio di Francesca Curti); la seconda committenza importante è quella di Vincenzo Giustiniani, per la Cacciata dei mercanti. Stiamo parlando di uno dei più grandi collezionisti romani forse il più importante per i caravaggeschi. Il terzo grande committente è Piero Guicciardini, ambasciatore dei Medici a Roma, che gli fa realizzare la Resurrezione, un quadro poi rifiutato. È proprio grazie ai documenti di questo rifiuto che ho ricostruito che il misterioso Francesco Boneri (citato sei volte nei pagamenti) era proprio Cecco del Caravaggio. 

La Resurrezione purtroppo non è in mostra, perché si trova a Chicago ed era complicato spostarla, ma sul catalogo c’è una scheda molto accurata che ci mostra un’opera davvero incredibile, anche come progetto compositivo…

Era troppo, per quel tempo. Chissà come avrebbe reagito la società artistica di Firenze, tutta basata sul primato del disegno, a quel quadro. 

Cecco dunque, nato intorno al 1586, sta a Roma insieme a Caravaggio. Poi, come scrivi, avrebbe seguito il suo maestro anche a Napoli, dopo l’omicidio Tomassoni (28 maggio 1606). 

Sì, oltre a certi tratti stilistici che mi fanno pensare all’ambiente napoletano, è anche ragionevole considerare che Cecco abbia seguito Caravaggio a Napoli perché poteva essere rischioso rimanere a Roma, esposto alle vendette dei parenti del Tomassoni. Ma, ripeto: al di là di questa induzione biografica, sono i quadri che fanno pensare che abbia frequentato l’ambiente napoletano. La mostra cerca di ragionare su questi aspetti mostrando, accanto alle tele di Boneri, le tele di Filippo Vitale (La liberazione di San Pietro) e Louis Finson. 

Che, nella mostra, avete messo a fianco del San Sebastiano di Varsavia. Un quadro misterioso, che ci prepara e ci accompagna nella sala successiva, che potremmo definire la sala degli enigmi, perché è quella dove avete messo accanto (varrebbe la pena di venire alla mostra solo per questa esperienza) i due Fabbricanti di strumenti musicali, il San Giovanni e l’Amore al fonte di Cecco del Caravaggio: una delle immagini più scabrose della storia dell’arte. Ricorrendo a parole di oggi potremmo forse aiutarci, per descrivere la nostra percezione del quadro, anche del termine “queer”…

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Cecco del Caravaggio, Amore al fonte, olio su tela, 87x71 cm, Collezione Koelliker.

Che intendi?

Un’eccentricità nella composizione e nello sguardo sui corpi che resta fuori da canoni e ideali della bellezza e del desiderio eteronormati. Non sto proponendo di usare questa definizione sostituendola ad altre e per etichettare, per così dire, queste immagini; me ne servo per capire se questo linguaggio possa farci riflettere meglio anche sul nostro modo di guardare e vedere i quadri. 

Sono d’accordo. 

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Cecco del Caravaggio, Fabbricante di strumenti musicali , olio su tela, 117 x 98 cm, Atene, National Gallery – Alexandros Soutzos Museum.

In questo senso, uno degli aspetti significativi di questo allestimento, mi pare anche la capacità, così appassionatamente seria e fondata su competenze storico artistiche maturate in decenni, di usare l’omosessualità senza trattarla come tema in più e nemmeno come chiave univoca, ma come situazione, come modo di “dipingere vivendo”, come dicevi prima tu stesso, che oggi, finalmente, possiamo guardare e riconoscere senza pruderie o reticenze di maniera. La sfrontatezza provocatoria del Fabbricante di Londra, per esempio, parla anche di questo, ma senza rappresentare un modo unico. 

Certamente tutti i quadri di Cecco sono pervasi da una dimensione anche omosessuale: basta riguardare le calzamaglie aderenti, le cosce così sottolineate, le figure di quinta con sederi in primo piano, il sadismo che abita la scena del San Sebastiano. Non è sfrontatezza dirlo, semmai è una rimozione negarlo, facendo fuori, tra l’altro, uno dei modi stilistici più forti e originali del caravaggismo, vale a dire l’ambiguità. Adesso, finalmente, lo possiamo dire. 

In copertina, Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, dettaglio.

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