Commento alla Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi
Ancora una volta ripeto qui ciò che ho più volte scritto, ovvero che le questioni interne alla Chiesa dovrebbero essere lasciate all'interno della stessa e che la soluzione di molti problemi dovrebbe essere affidata a una chiara separazione del dominio dello stato da quello della religione; a quel punto, come ha scritto con chiarezza Sebastiano Maffettone sul suppl. Domenica del Sole24Ore del 25 ottobre, «tutto seguirà di conseguenza». Nel caso dei matrimoni gay, scrive ancora Maffettone, «si offra a tutte le coppie, omosessuali o eterosessuali che siano, un'unione civile piena di diritti, e si lasci dipendere il matrimonio dalla religione in armonia con le norme che la regolano». Inappuntabile. Ma tale chiara separazione, che non è data di certo nelle teocrazie, non è presente nemmeno talvolta nelle democrazie, e anche questo è un fattore che ci spinge a esprimerci. Come pure lo fa il titolo della relazione medesima, che aggiunge a La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa, «e nel mondo contemporaneo», nel quale ci siamo anche noi.
«Senza famiglia». Il paradosso del sinodo
Facendo di mestiere la metaforologa, non posso non rimanere colpita dal fatto che i vescovi del Sinodo – tutti maturi maschi celibi che hanno scelto di non conoscere donna e di vivere senza famiglia – chiamino loro stessi «padri» e «papa» o «santo padre» il loro superiore. È una metafora, mi si dirà, e in quanto metafora mente. Giulietta non è il sole anche se Shakespeare lo afferma («Juliet is the sun»): è una ragazza che irradia la luminosità e il calore dell'amore; i vescovi non sono padri; si definiscono tali perché dichiarano di offrire protezione, cura e autorità, come ci si immagina facciano i padri. E sia. Suona un po' strano però che in tutta questa faccenda riguardante la famiglia, in cui il documento afferma di schierarsi a «difesa e promozione della donna» [27], di donne, a deliberare, non ce ne sia neanche una. Quel che si offre loro nel testo sono promozioni modeste, quali una non meglio specificata partecipazione a processi decisionali (quali?) e al governo di alcune istituzioni (quali?) e il loro coinvolgimento nella formazione dei sacerdoti [27] (sempre e inesorabilmente maschi, tra i quali saranno nominati, non eletti, i vescovi). E uno spostamento di posto nella giaculatoria in cui Maria sopravanza Giuseppe, ponendo ingenti problemi di rima.
Detto ciò a mo' di premessa, passo a individuare e discutere in maniera succinta quattro punti problematici per il mondo contemporaneo, che è ciò che qui interessa:
1. Esaltazione dello spirito missionario
2. Auspicio di crescita demografica
3. Invasione di territori di competenza statale
4. Adozione di una ontologia della differenza sessuale in due categorie naturali come base del «vero matrimonio naturale»
1. Sul «missionarismo»
Due delle tre grandi religioni monoteiste, cristianesimo e islam, sono anche religioni missionarie. Il primo si propone di evangelizzare e investe qui la famiglia di «identità missionaria»[2], [3], [89]. Ogni membro battezzato della chiesa ne è «discepolo missionario»[56]. La famiglia dei battezzati è per sua natura missionaria (di questa natura diremo più avanti al punto 4), per sua natura deve «donare» la fede agli altri [93]. La famiglia fattuale si dedicherà a insegnare la fede ai figli, la famiglia metaforica, la chiesa, la porterà agli «altri». Ora, anche se l'evangelizzazione cristiana avviene oggi prevalentemente con la parola e non con la violenza fisica dei secoli passati, il missionarismo non è un valore da esaltare. Abbiamo assistito ad altre forme di mission in cui ciò che si voleva donare era la democrazia, e ci siamo accorti che trasmettere o imporre o bombardare tali valori funziona poco e male, anche se li consideriamo ottimi.
2. Sulla crescita demografica
L'auspicio alla crescita demografica è ripetuto in vari passi del documento, nel quale si depreca il calo della natalità attribuito a vari fattori [7];[62]. L'aborto, si aggiunge, non è lecito in quanto è dramma sociale [64] e assassinio di innocente [33] (si immagina quindi che l'assassinio di colpevole sia lecito, e infatti il Vaticano ha abolito la pena di morte, che dichiara ora di rigettare fermamente, solo nel 2002. Meglio tardi che mai). Deprecare l'uso di contraccettivi ed esortare a formare famiglie numerose (ma non bisognava smettere di riprodursi «come conigli»?) rivela un pensiero ecologicamente irresponsabile, a meno che il messaggio implicito non sia: «sì alle famiglie numerose nella chiesa, no a quelle fuori»).
3. Invasione dei territori di competenza statale
Chiamiamo in questo modo le esortazioni alla religione di uscire dalla sfera privata e a entrare nella sfera pubblica [6]. Nei passi dove per es. si dichiara che «la responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzitutto della Chiesa locale»[24]. Tale affermazione così enunciata è scorretta e viola le prerogative dello stato sovrano, cui spetta l'assistenza ai rifugiati. Se poi associazioni, enti, privati, chiese vorranno offrire aiuto, le loro proposte verranno vagliate ed eventualmente accolte, ma non di più. L'invasione del territorio pubblico, che sembra non favorire la separazione tra stato e chiesa che si auspicava qui agli inizi come soluzione di molti problemi, si rivela anche in diversi altri punti del documento; per esempio a proposito della critica all'insegnamento che promuove rispetto per tutte le forme di sessualità; della esortazione all'obiezione di coscienza in caso di diritto all'aborto; fino alla pretesa che nelle coppie in cui un membro sia ateo e l'altro non-ateo, l'educazione dei figli debba farsi nella «fede cristiana»[74] e a quella di portare nella politica l'impostazione della chiesa [92].
4. La differenza sessuale «naturale»
L'ultimo aspetto, tra quelli che ho scelto di commentare, riguarda la visione filosofica della naturalità della presenza di due sessi, maschio e femmina e la conseguente naturalità del vero matrimonio naturale, quello tra uomo e donna. Personalmente ritengo che una lucida separazione dell'ambito statale da quello religioso sarebbe la soluzione. Ma ci sono persone che cercano anche nella chiesa rispetto e parità di diritti per tutte le forme di preferenze sessuali. Il termine naturale ricorre varie volte nel documento; in particolare in [47] si insiste sulle proprietà naturali del matrimonio proponendo l'analogia tra il rapporto tra marito e moglie e il rapporto tra Cristo e Chiesa. Ora, se si va a leggere il passo di Paolo nel quale si illustra la relazione marito moglie nel vero matrimonio naturale, si legge qualcosa di diverso dalla citata frase paolina iniziale che esorta i cristiani a essere «sottomessi gli uni agli altri»(Ef 5,21). Quel che si legge è infatti:
Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, poiché l'uomo è capo della donna come anche il Cristo è capo della chiesa... Ora come la chiesa è soggetta al Cristo, così anche le donne ai loro mariti, in tutto (Ef 5, 22-24).
Il passo prosegue esortando più volte i mariti ad amare le mogli ma non viceversa. Le donne i loro mariti li rispettino (Ef 5, 28 e 33). Credo che sul fatto di chi sia superiore e debba amare e chi inferiore e debba rispettare non ci sia bisogno di commento. Del resto, compito naturale dell'uomo nella famiglia è quello di «protezione e sostegno» di figli e moglie [28], la quale, eterna minore, direbbe Kant, non è in grado di proteggersi e sostenersi da sé .
Sulla naturalità delle nozze gay invito comunque a leggere il pamphlet di Nicla Vassallo e le sue parole in questo contesto, e concludo con due considerazioni. La prima si chiede se i rapporti tra i membri di una coppia gay non abbiano il grande vantaggio di essere ben più equi di quelli proposti da Paolo e vigenti tutt'oggi come vangelo, parola del Signore; la seconda mette in guardia tutti, atei e non atei, dall'affermare la naturalità di molte cose (nel nostro caso, i rapporti amorosi e di coppia eterosessuali e la tanto proclamata differenza ontologica tra il maschio e la femmina invece che le differenze di ogni essere umano da ogni altro essere umano, perché non dovremmo mai dimenticare che siamo ciascuno diverso da tutti gli altri). Lo hanno fatto tanti filosofi illustri, persino Immanuel Kant, quando dichiarava, nella Metafisica dei costumi (Laterza, Roma-Bari 2009, p. 98) che i padri, o capi di famiglia, sono nella famiglia la parte che comanda, mentre la donna è la parte che obbedisce. Cosa che conseguiva logicamente dalla «superiorità naturale delle facoltà dell'uomo rispetto a quelle della donna nell'opera di procurare l'interesse comune della famiglia e nel diritto al comando che ne deriva».