Ernesto Sabato, prove di assoluto
“Oggi 30 aprile 2011 è morto Ernesto Sabato, l’autore della trilogia romanzesca composta da Il tunnel (1948), Sopra eroi e tombe (1961) e L’angelo dell’abisso (Abaddón el exterminador, 1974) e di saggi come Hombres y engranajes (1951), Heterodoxía (1953), Lo scrittore e i suoi fantasmi (1963), Tre approssimazioni alla letteratura del nostro tempo (1974), Diálogos con Jorge Luis Borges (1976), Apologías y rechazos (1979), Entre la letra y la sangre (1988), Antes del fin (1999), La resistencia (2000).
Gli editori italiani avrebbero dovuto fare di più e meglio per il maestro argentino. Per onorarne davvero la memoria, infatti, bisognerebbe ripubblicare, dopo più di trent’anni il suo terzo romanzo che uscì per Rizzoli nel 1977 e che da allora non è più riapparso. Bisognerebbe, come è stato fatto in altri paesi europei, pubblicare un cofanetto con i tre romanzi. Bisognerebbe pubblicare Uno y el Universo (1945), il primo libro di Sabato, una raccolta di pensieri e aforismi, essenziale per comprendere il percorso che lo portò dalla fisica alla letteratura. Chiedo alla nostra editoria di fare qualcosa. Non importa se poi traduzioni, cure, onori, andranno ai soliti esperti, ai bisognosi di riconoscimento. L’opera è ciò che mi interessa, l’opera e basta”. Così scrivevo quando un blog, tredici anni fa, mi chiese un articolo dopo la morte di Ernesto Sabato.
Oggi è il 30 aprile del 2024. A che punto siamo in Italia con Sabato? Resta per i lettori uno sconosciuto, come quasi tutta la narrativa latinoamericana, senza la quale, come ho detto più volte, la storia del romanzo del XX secolo è impossibile.
Tuttavia, qualcosa si è mosso. Si è ripubblicato L’angelo dell’abisso nell’ottima traduzione di Raul Schenardi (SUR, 2012); è uscito nel 2011 il saggio autobiografico Prima della fine (sempre tradotto da Schenardi e sempre per SUR) e, qualche mese fa, Castelvecchi ha pubblicato Resistenza, a cura di Maurizio Fantoni Minnella.
Nel frattempo, però, sono diventati indisponibili Tre approssimazioni alla letteratura del nostro tempo (uscito da Editori Riuniti nel lontano 1986 a cura di Paolo Vita-Finzi) e, soprattutto, uno dei saggi sul romanzo più importanti della seconda metà del XX secolo (a mio avviso solo L’arte del romanzo di Milan Kundera gli può stare accanto): Lo scrittore e i suoi fantasmi, uscito nel 2000 da Meltemi e tradotto da Luis Dapelo.
In attesa di un Meridiano, che forse non ci sarà mai…
Del resto, Ernesto Sabato non è stato molto amato né da Borges, né da Bioy Casares, né dai romanzieri del “boom” come García Márquez e Cortázar, né da Piglia, né da Bolaño, né tanto meno dalle nuove generazioni di scrittori latinoamericani nati tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso. Le ragioni sono estetiche e, in parte, politiche.
Veniamo alle ragioni politiche.
Sabato è stato un anarchico, poi un comunista e poi uno dei pochi liberali dell’America Latina. Precisiamo: un liberale ribelle e utopista, se si vuole, ma contrario a ogni ideologia di destra e di sinistra. E questo sin dagli anni trenta, quando, da leader in odor di eresia della gioventù comunista, fu spedito nell’Unione Sovietica di Stalin, “dove uno veniva guarito o finiva i suoi giorni in un gulag o in un ospedale psichiatrico”. Sabato preferì per qualche anno far la fame a Parigi. Fu qui che decise di dedicarsi all’universo delle scienze esatte. Di ritorno in Argentina, prese un dottorato in Fisica, sopportando quasi quotidianamente gli insulti dei suoi ex compagni di partito che lo accusavano di essere un traditore della causa rivoluzionaria. Un classico epiteto rivolto a poche anime elette del XX secolo! Il gran traditore, in effetti, non era forse quel baffuto georgiano, ex seminarista, che stava facendo fuori tutti coloro che avevano combattuto davvero per la rivoluzione? Il tradimento del comunismo di Sabato fu ribadito da diversi scrittori del “boom” ancora negli anni sessanta e settanta, i quali non solo avevano ignorato i delitti commessi dallo stalinismo, ma avevano taciuto di fronte alle atrocità commesse dal regime sovietico prima, durante e dopo il cosiddetto periodo di “disgelo” proclamato da Chruščëv. Come diceva Albert Camus: “si può sempre trovare una filosofia a sostegno della mancanza di coraggio”. E il coraggio non mancò mai a Sabato. Neppure quando, dopo gli anni di Perón e il golpe del 1976, a cui fece seguito la tragedia dei desaparecidos, il paese uscì da quell’incubo sotto la presidenza di Alfonsín e lo scrittore fu posto a capo della commissione che redasse il rapporto (cinquantamila pagine!) noto con il nome Nunca más (1985), dove si denunciava la dittatura, ma anche il terrorismo di stato. E dove Sabato si opponeva tanto alla politica peronista di destra quanto alle stragi degli operai peronisti da parte della guerriglia comunista.
Se non stai a destra né a sinistra, se non pensi che esistano dittature buone e dittature cattive, così come torture a fin di bene e torture atroci, da che parte stai? Chi sei? Un franco tiratore? Un socialista utopista? Un anarchico risentito? Un antiquato umanista? Un liberale eterodosso? O semplicemente qualcuno che ha visto prima di molti altri come il razionalismo, il materialismo e l’individualismo, questo mostro a tre teste, sorto all’inizio dei Tempi Moderni, abbia divorato sé stesso nel corso del XX secolo? E che, per questa ragione, non può porsi a fianco di chi fa la Storia, ma sempre e solo al servizio di chi ne è vittima?
E veniamo alle ragioni estetiche.
Sabato, caso più unico che raro, prima di dedicarsi alla letteratura, è stato, come ricordato, fino al 1945, un brillante fisico teorico. Dopo il dottorato, ritornò nel 1938 a Parigi e lavorò all’Istituto Marie Curie. Solo che a Parigi, se di giorno frequentava provette e laboratori, di notte trascorreva ore al Dôme o al Deux magots a bere e a conversare di “cadaveri squisiti” con i surrealisti, in particolare con gli amici Wifredo Lam, Péret, Matta e Oscar Domínguez. “Antiche forze – ha scritto in Prima della fine – rinchiuse in qualche oscuro recinto, preparavano l’alchimia che mi avrebbe allontanato per sempre dall’incontaminato regno della scienza”. Il tempo di pubblicare per il Massachussets Institut of Technology (MIT) di Boston un lavoro sui raggi cosmici e di insegnare alcuni mesi all’Università de la Plata la teoria della relatività e dei quanta, ed ecco Sabato che, in crisi e in cerca di pace, se ne va a vivere sulle montagne di Cordoba in un ranch senza acqua corrente e luce elettrica. Ogni crisi è un tradimento, nel senso che l’uomo in crisi volge lo sguardo verso un punto all’orizzonte che non conosce e che lo attira proprio perché non lo conosce. Così Sabato, dopo aver attraversato con devozione la cittadella delle scienze matematiche e fisiche, abbandonò le sue aspirazioni alla purezza e all’ordine geometrico, approdando in un altro territorio, incerto e pericoloso: quello in cui le congetture non precedono mai le azioni e in cui le azioni, molto spesso, non sono frutto di congetture: il territorio del romanzo. Per Sabato, questa regione intermedia in cui si mescolano senza soluzione di continuità le idee e il sangue, questa “regione chiamata anima”, ontologicamente ambigua, impura e propria dell’individuo finito e concreto, coincide con il territorio esplorato dal romanzo. Coincide, non confina. Per questo Sabato ha scritto che “il romanzo è la patria dell’uomo”. Il romanzo, infatti, è il luogo in cui l’uomo, in esilio sulla Terra e lontano dagli dei, diventa amico dell’uomo, e impara a essere fedele alla sua imperfetta condizione. Lui stesso, in Lo scrittore e i suoi fantasmi, ha definito questo atteggiamento, scusandosi per l’espressione un po’ magniloquente, come “neoromanticismo fenomenologico”. Una definizione che contiene in filigrana tutti i passaggi chiave della sua formazione: il romanticismo tedesco (Hölderlin, soprattutto), la critica al razionalismo cartesiano e alla filosofia tedesca idealista, Nietzsche, gli scrittori russi (Dostoevskij, soprattutto), il pensiero russo di Berdjaev e di Šestov, la fenomenologia di Husserl, l’esistenzialismo francese (“sorta di paradossale razionalismo”), Camus, la critica alla “falsa” oggettività del Nouveau Roman (“tutto possiamo dire dei sogni, ma non che non siano veri!”)…
Sebbene uno scrittore abbia con un filosofo una relazione simile a quella che esiste tra un criminale e un detective, o, se si vuole, tra un bracconiere e una guardia forestale, o ancora, tra un mercenario e un generale decorato, il pensiero di Sabato, il pensiero da cui si irradia tutta la sua opera romanzesca è che la civiltà occidentale a un certo punto ha confuso la ragione con la conoscenza e da quel momento ha razionalizzato, cioè reso “astratto”, a tal punto il mondo da renderlo disumano. Ottenendo così due risultati altrettanto disastrosi: ha reso la scienza un culto sincretistico e le ha permesso che fossero adottati i suoi criteri di verità in territori che non le sono mai appartenuti. L’uomo non è fatto solo di idee chiare e distinte. La ragione è cieca di fronte ai valori e all’ansia di assoluto che, malgrado tutto, eroi, santi, artisti e poveri diavoli provano. Così come è cieca a un paesaggio o a un amore. Possiamo davvero conoscere una città solo seguendo le indicazioni di Google Maps? E allora, a meno che, scrive Sabato “non vogliamo negare la realtà di un amore o di una follia, dobbiamo concludere che la conoscenza di vasti territori della realtà è riservata all’arte, e all’arte del romanzo in particolare”.
È difficile sopportare di vedersi nello specchio dell’opera di Sabato, sempre così stretta all’abisso della confusa realtà umana. Meglio Borges, la sua arte della combinazione, meglio il suo animo ludico, il suo esercitarsi con la metafisica, “branca della letteratura fantastica”. Meglio il gioco a scacchi con le verità infinite. Non è un caso se Borges è diventato il faro di Piglia, di Bolaño e di tutti coloro che sono venuti dopo. Di quasi tutti.
Meglio mettere una croce, o un “post”, sulla modernità e sulle sue prove di assoluto.
Che altro possiamo fare? Resistere, come suona appunto il titolo di uno degli ultimi saggi di Sabato, pubblicato di recente anche in Italia.
Resistere a che cosa? Resistere affinché la felicità zoologica, a cui tende irresistibilmente l’odierna tecnolatria, non vinca sull’infelicità umana.