La quenelle

8 Gennaio 2014

Il gol è il momento in cui si scarica all’improvviso la tensione accumulata da giorni in attesa della gara (giornali sportivi, trasmissioni televisive, viaggi dei tifosi) e nelle ore immediatamente precedenti (ingresso allo stadio, cori, sventolio di bandiere); sugli spalti il boato è simultaneo, e altrettanto l’agitarsi di bandiere, di sciarpe, di braccia. Da anni i calciatori che segnano una rete ci hanno abituato a un repertorio a dir poco variopinto di atteggiamenti, che vanno dall’affettuoso al muscoloso e al violento: uno alza la divisa della squadra e mostra la maglietta con una scritta (saluti alla fidanzata, battute non spiritose, compleanni dei figli e simili); un altro apre le braccia e corre simulando un aeroplanino (finzione di una gioia infantile?); un altro giocatore porta le mani dietro gli orecchi come per dire «non sento bene i vostri applausi!». C’è chi corre sollevando un braccio e alzando contemporaneamente il dito indice, soluzione adottata del resto dai vincitori anche in altri sport; c’è chi preme l’indice sulle labbra – faceva così anche l’antico dio Arpocrate – a intimare il silenzio degli avversari (e questo è un gesto già più aggressivo).  

 

 

Entro questo vasto repertorio – gli esempi potrebbero infatti proseguire – troviamo anche i saluti politici. Non sono troppo lontani i saluti romani che hanno contraddistinto le esultanze di Paolo Di Canio, quando giocava con la Lazio: il calciatore si piazza contro la curva dei propri tifosi, solleva e tende il braccio con modalità che non richiedono interpretazioni. Peraltro lo stesso calciatore tiene a sottolineare che il suo saluto non avrebbe connotazioni politiche; è la stessa linea, come riferisce Maurizio Caprara su cui si schierava Sivio Berlusconi: «Un fenomeno di nessuna importanza. Di Canio è un ragazzo per bene, non è fascista. Lo fa solo per i tifosi, non per cattiveria. Un bravo ragazzo, ma un po’ esibizionista».

Ma tutti sanno che nelle curve degli stadi il tifo calcistico si mescola con posizioni politiche estremistiche, soprattutto di destra. Una delle rare eccezioni fu, negli anni Settanta, Paolo Sollier, più volte ripreso mentre sollevava il pugno chiuso in campo; faceva la sua parte anche il colore rosso della divisa calcistica del Perugia.

 

 

Qualche giorno fa i giornali hanno parlato di nuovo di saluti politici in campo: il calciatore francese Nicolas Anelka, già in Italia con la Juventus, durante una partita della Premier league inglese ha esultato, dopo una rete, con quella che è stata immediatamente riconosciuta come una «quenelle». Infatti ha puntato braccio e mano destra verso terra, poi ha piazzato l’altra orizzontalmente poco sotto la spalla. I video e le fotografie non lasciano dubbi che si trattasse di un atto intenzionale e non di un fraintendimento degli spettatori, tanto più che lo stesso calciatore, su Twitter, non fa finta di niente e anzi ne fa una dedica («Ce geste était juste une spéciale dédicace pour mon ami humoriste Dieudonné»).

 

 

Il personaggio in questione è un comico che in Francia accusano di posizioni razziste e antisemite; da anni ha fatto della «quenelle» una sorta di bandiera gestuale che punteggia le sue esibizioni e le sue apparizioni in pubblico.

 

Nella Francia legata all’estrema destra la «quenelle» sembra esser diventata così un vero e proprio tormentone, al punto che nel settembre scorso l’immagine di due militari ripresi con questo atteggiamento davanti a una sinagoga ha richiamato l’attenzione preoccupata di «Liberation». E basta guardare qua e là sul web per accorgersi che i riferimenti antisemiti della «quenelle» non sono per niente sporadici. È forse anche per questo che mesi fa lo stesso Dieudonné ha postato un video dal tono del tutto scherzoso in cui, tra le altre cose, sostiene di non essersi immaginato che un gesto piuttosto stupido potesse diventare «un atto sovversivo e l’innesco per avviare l'emancipazione delle masse lavoratrici»; il gesto ormai non apparterrebbe più a lui, ma «alla rivoluzione in arrivo». È più o meno a queste idee che Anelka si rifà in un altro Twitter : «Signification de quenelle: anti-système. Je ne sais pas ce que le mot religion vient faire dans cette histoire».

 

 

L’attenzione attorno alla «quenelle», dunque, era già molto alta prima della mossa di Anelka; si capisce bene perché in Francia e in Gran Bretagna, e non solo, il giocatore sia accusato di aver compiuto un gesto antisemita, un gesto che nella sua conformazione sarebbe una sorta di saluto nazista a rovescio, un saluto romano contraffatto. Alain Jakubowicz, presidente dell’associazione francese per la lotta al razzismo e all’antisemitismo (Licra), è arrivato a dire che la «quenelle» sarebbe corrispondente «au salut nazi inversé signifiant la sodomisation des victimes de la Shoah».

 

Di che cosa si tratta effettivamente? Si deve partire dalla cucina francese, da una ricetta a quanto pare tipica della zona di Lione: la «quenelle» è una polpetta dalla forma allungata con impasti di carne o di pesce. È lo stesso Dieudonné a usare l’espressione «glisser une quenelle» mentre allunga il braccio e porta l’altra mano sull’avambraccio o sulla spalla come per precisare una misura. Naturalmente, in questo contesto, «quenelle» è un doppiosenso che permette bene di cogliere la natura del gesto.
Di certo non siamo davanti a un saluto nazista cammuffato. Del resto neppure in questo caso saremmo davanti a un saluto vero e proprio. Come aveva osservato José Ortega y Gasset, se il saluto è un segno di attenzione, se è «atto inaugurale, iniziale o incoativo» e se a volte si configura come «tecnica di avvicinamento», allora pugni chiusi e saluti romani non sono propriamente saluti, ma piuttosto atti bellicosi e in sé aggressivi.

 

Bisogna ammettere che sono gli stessi avvocati di Dieudonné, opponendosi al presidente della Licra Jakubowicz, a cogliere la reale natura della «quenelle», non tanto perché parlano di «geste humoristique», ma perché lo equiparano a un «bras d’honneur détendu», cioè a una versione allungata di quello che noi chiamiamo «gesto dell’ombrello». Senonché, paradossalmente, ha ragione anche Jakubowicz quando evoca l’idea di una «sodomisation», se è vero che la «quenelle» è una variante del «gesto dell’ombrello». Non per nulla Isabella Poggi descrive quest’ultimo (detto anche «manichetto») come il «gesto fallico di battere con la mano destra l’incavo del gomito sinistro alzando tutto l’avambraccio sinistro».

 

Come si vede, siamo davanti a forme gestuali arcaiche: grazie al loro background minaccioso e osceno al tempo stesso, si prestano a riproporre antiche tonalità (quella umoristica vi è associata da sempre) e a ricevere significati nuovi e comunque aggressivi; in altre parole, è grazie a questo sfondo che alla «quenelle» oggi possono essere associate idee razziste e persino antisemite. Per ora la «quenelle» viene cucinata dalla politica – e con un gusto decisamente di estrema destra – ma non è detto che non rientri presto nel gruppo del dito medio o dell’ombrello, tra gli altri gesti di offesa, di derisione o di minaccia pronti per tutte le occasioni.

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