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Navi a Lepanto
C’è un altro 7 ottobre, particolarmente caro ai teorici del cosiddetto scontro di civiltà. Il 7 ottobre 1571, la battaglia di Lepanto. Usiamo anche oggi il nome italiano della città greca di Naupaktos, ma in realtà lo scontro avvenne più a ovest, all’imboccatura del golfo di Patrasso. La battaglia era stata preceduta da una straordinaria mobilitazione dell’opinione pubblica verso quella che stava assumendo i contorni di una guerra religiosa: già mesi prima, in alcune città si erano svolti festeggiamenti alla proclamazione della Lega Santa tra papa Pio V, la Spagna e Venezia.
Il conflitto aveva avuto un’improvvisa accelerazione con la crisi di Cipro e l’assedio dei Turchi a Famagosta; la sorte di Marcantonio Bragadin, a capo della guarnigione di Venezia a difesa della città, è un capitolo di quella violenta lotta per immagini che ebbe luogo prima e dopo la battaglia vera e propria, da una come dall’altra parte. Torturato pubblicamente, appeso a lungo all’albero di una nave, venne infine scorticato in piazza; si racconta che la pelle, di nuovo appesa ed esposta, fu trasferita a Istanbul (per esser poi rubata anni dopo, e portata in una chiesa di Venezia) assieme alle teste di altri ufficiali veneziani.
Il gran numero di fonti a disposizione ha permesso una ricostruzione minuziosa delle varie fasi della battaglia, il numero e la tipologia delle imbarcazioni, gli schieramenti, le manovre, le decisioni dei comandanti e le tecniche di guerra adottate. Di diverse navi conosciamo addirittura la proprietà, l’intitolazione, l’insegna, il nome del capitano e la posizione nel teatro del combattimento.
A giudicare dalle illustrazioni a stampa, le imbarcazioni più ammirate per la loro minacciosa bellezza erano quelle della flotta veneziana. Non molti anni fa, uno studioso ha spiegato i retroscena di uno straordinario disegno che in alto raffigura la poppa e la prua di una “galea grossa” veneziana; in basso il profilo e la poppa di una “galea sottile”.
Il primo tipo di galea era sostanzialmente una nave mercantile che poteva essere facilmente convertita in nave da guerra (in tal caso prendeva il nome di “galeazza”); la “galea sottile” era un’agile nave militare. Rick Scorza ha collegato il disegno a una serie di lettere che si scambiano nel 1572 Giorgio Vasari e Cosimo Bartoli, uomo di lettere (ma anche agente dei Medici a Venezia). C’è ancora Lepanto sullo sfondo: Vasari sta progettando l’affresco destinato a celebrare la recente battaglia nella Sala Regia in Vaticano, e per questo chiede informazioni sulla forma delle navi veneziane a Bartoli. Le cose non erano così semplici: i veneziani – gli fa notare Bartoli – erano “gentilhomini sospettosissimi”, e per questo fanno circondare da sorveglianti l’Arsenale, il luogo in cui si costruiva la potenza navale e militare della Serenissima. In un primo tempo, il pittore scelto da Bartoli si avvicina alle navi, ma viene cacciato; nonostante la “paura, che era entrata nello animo di quel pittore che ci havea promesso di farle”, alcune riproduzioni di galee vengono comunque realizzate. C’era poi il problema dei colori; riferisce Bartoli che gli scafi delle galee veneziane erano in buona parte nere, perché rivestite di pece; solo prua e poppa erano decorate: “chi vi fa pitture, et chi intagli dorati, chi pesci, chi lioni, chi una cosa et chi una altra. I remi poi sono dipinti di colori diversi secondo il capriccio de padroni”.
Come accade per tutte le grandi battaglie, anche a Lepanto una serie di episodi più o meno romanzeschi contrappunta la più noiosa descrizione delle mischie, degli arrembaggi, delle distruzioni. Di sicuro quello più singolare è quello raccontato da un testimone, Ferrante Caracciolo, a proposito di Giovanni d’Austria, il comandante in capo della flotta alleata: “Allora Don Giovanni intrepidamente andò a prua e facendo sonar le trombe a battaglia, era in sì ardente desiderio d'attaccar presto la zuffa che, tratto da giovanil ferocità, fece suonar i pifferi e sopra la rombata con due cavalieri ballò la gagliarda”. Con un gesto spavaldo e sfrontato, il ventiquattrenne Giovanni e due ufficiali improvvisarono insomma una danza ben nota in quegli anni – la gagliarda appunto – fatta di movimenti agitati e di salti. Aveva la stessa età di Giovanni d’Austria un soldato spagnolo che nella battaglia verrà ferito al braccio sinistro da un colpo di archibugio, Miguel de Cervantes.
Al di là dell’effettiva incidenza sul quadro politico ed economico del Mediterraneo, la battaglia di Lepanto ebbe una risonanza enorme sull’opinione pubblica europea. La celebrazione letteraria fu vastissima: relazioni, orazioni, opere storiche, raccolte di componimenti poetici in latino, in greco, in volgare (e in dialetto) con la partecipazione di decine e decine di poeti da ogni parte d’Italia. A Venezia vengono pubblicati innumerevoli opuscoli che, secondo Carlo Dionisotti, “insieme compongono un capitolo fondamentale della storia dell'editoria popolare cinquecentesca”.
Le immagini giocano un ruolo altrettanto rilevante, capaci come sono di restituire il lato spettacolare dell’avvenimento. Prendiamo la raccolta poetica organizzata da Luigi Groto (Trofeo della vittoria sacra, ottenuta dalla christianis[ima] Lega contra Turchi nell'anno 1571) e pubblicata a Venezia nel 1572. Dopo poche pagine, un’incisione descrive, anche se in modo rigido e sintetico, la battaglia. Lo schema è quello adottato anche da Giovan Francesco Camocio: file contrapposte di navi delle due flotte viste dall’alto, mentre gli scontri infuriano al centro; sulla destra, solo un rapido cenno alle coste greche.
Un’altra immagine diffusa da Camocio (e visibile anche nel Trofeo, la raccolta poetica di Luigi Groto) è la “forma et vero ritratto del pomo over cimiero” che reggeva lo stendardo della nave del comandante ottomano. In basso, l’incisore ha sottolineato la valenza religiosa del supporto in argento dorato, riportando la traduzione delle iscrizioni che lo abbellivano; una di esse recita: “Alli fideli divino auspitio et ornamento. / Nelle degne imprese Dio favorisce Maumetho”. Insomma, la sconfitta del nemico diviene la sconfitta della sua religione. Come in ogni guerra, non si può fare a meno dei trofei: la notizia della vittoria era arrivata a Venezia il 19 ottobre insieme a una nave carica di oggetti strappati agli Ottomani.
A differenza di altre ricostruzioni della battaglia, un artista anonimo attivo a Venezia aggiunge numerose indicazioni geografiche e, soprattutto, i nomi dei comandanti dell’uno e dell’altro schieramento.
Il fatto è che la guerra deve avere una sua visibilità, anche a distanza di tempo. Nella Roma antica, durante le sfilate che celebravano le vittorie militari più importanti, venivano mostrati pannelli dipinti (tabulae triumphales) che permettevano agli spettatori di farsi un’idea delle fasi degli scontri. Idea ripresa agli inizi del Cinquecento in quell’interminabile processione con cui Albrecht Altdorfer magnifica i trionfi dell’imperatore Massimiliano I; in una delle scene, quattro soldati portano un grande quadro con una battaglia navale, mentre davanti a loro sfilano tre modelli di navi (Vienna, Albertina).
Forse nessuna delle illustrazioni della battaglia di Lepanto entra nel vivo del conflitto come quella incisa da Domenico de Franceschi (1572). La descrizione delle navi della Lega e degli Ottomani è particolarmente minuziosa, e così la segnalazione dei diversi comandanti. Una cura speciale viene riservata alle insegne degli uni e degli altri, molto più che semplici mezzi per distinguere le imbarcazioni: alcune grandi bandiere vengono esposte a poppa, mentre lunghi stendardi sventolano in alto sugli alberi. Su tutte le insegne spicca il leone di San Marco, scelta ben comprensibile visto che anche questa incisione venne pubblicata a Venezia: ben presto, infatti, Lepanto assume i contorni di un evento leggendario, capace di contribuire a sua volta all’immagine mitica di Venezia, della sua prosperità e della sua potenza politica e militare.
Nella fascia alta, ecco il titolo dell’incisione: La miracolosa et gran vittoria datta da Dio a christiani contra Turchi. La vittoria venne ben presto presentata come esito della grazia divina: papa Pio V dichiarò il 7 ottobre festa di Nostra Signora della Vittoria, Gregorio XIII la confermò col titolo di Beata Maria Vergine del Rosario.
Il continuo richiamo a Lepanto e alla cristianità (che aveva però come sottinteso il conflitto tra Riforma protestante e Controriforma) sfociò in soluzioni figurative inattese, come quella proposta dalla stamperia di Nicolò Nelli nel 1572, ancora una volta a Venezia. Sorprendentemente, la flotta occidentale è del tutto assente, per lasciar posto a una nave guidata dal papa, dall’imperatore e dal doge di Venezia; alle loro spalle alcuni santi, e le personificazioni delle Virtù Teologali. Il motivo evangelico della pesca miracolosa viene rovesciato: nella rete sono finite decine di imbarcazioni ottomane, mentre altri uomini sono in mare o scappano lungo la costa.
Nella storia delle immagini, anche dopo il Cinquecento, la scena di Lepanto porta con sé il timbro di una irrimediabile contrapposizione tra mondo cristiano e mondo islamico. E non stupisce che lo conservi anche oggi, in particolare nelle pagine web delle associazioni ultracattoliche: Lepanto viene inserita, assieme a Poitiers e a Vienna, nelle battaglie combattute “per salvare l’Europa dall’Islam”, o “contro la minaccia del terrore”. La retorica della “vittoria cristiana” contro il “barbaro invasore orientale” continua a funzionare piuttosto bene, serve solo qualche aggiustamento; basta precisare che si trattava di impedire “l’invasione musulmana” e di assicurare “la difesa dei confini e dei territori europei, nonché della cristianità”.
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