Speciale
La nave di Demokleides
Ammettiamo pure che manchi qualcosa, che una volta i colori aggiungessero dettagli che ora non si vedono più. Ma la sostanza dell’immagine non cambierebbe di molto: vestito di una tunica leggera, un giovane uomo è seduto a terra, e appoggia la testa sul palmo della mano destra. Sappiamo il suo nome, inciso sul marmo pochi centimetri sopra: Demokleides, figlio di Demetrios. Nessun’altra parola se non queste due, il nome del padre, il nome del figlio. È una stele funeraria alta neppure un metro, scoperta nell’Ottocento nella zona del Pireo, l’antico (e moderno) porto di Atene; viene datata tra la fine del V e gli inizi del IV secolo avanti Cristo.
Poco dietro il ragazzo, uno scudo circolare è posato sul terreno, e sopra lo scudo un elmo di tipo corinzio. Davanti a lui ecco invece una nave, o meglio il profilo della prua (próra in greco) di una nave da guerra. In basso si riconosce il congegno che caratterizzava le triremi, lo sperone a tre lame (émbolon, quello che i Romani chiameranno rostrum tridens). Questo elemento in bronzo era inserito nella struttura lignea dello scafo in modo da sporgere di circa due metri, e poter così sfondare le navi avversarie.
La stele è dedicata a un soldato morto in battaglia, ma non sappiamo altro: quale spedizione militare, quale battaglia navale, un naufragio? Demokleides faceva parte dell’equipaggio, o faceva parte di un contingente di soldati che erano a bordo? Agli amici o ai parenti che commissionarono il piccolo monumento importò solo di lasciare il ricordo del giovane.
Quando a metà del Settecento rivoluzionò il modo di leggere l’arte classica, Johann Joachim Winckelmann sostenne che la semplicità era un elemento essenziale del linguaggio artistico dei Greci (e mentre celebrava questa “semplicità nobile”, deprecava implicitamente certe forme amplificate ed enfatiche dell’arte barocca). In questa stele del Pireo la semplicità diviene concisione. Al punto che non riusciamo a distinguere che cosa succede nella scena davanti a noi. Vediamo solo una parte della nave, solo accennata con una sagoma. E il soldato è lì, sulla prua, ma in una posizione del tutto improbabile.
Demokleides si trova effettivamente a bordo della nave? La posizione così elevata della sua figura, rispetto alle dimensioni della lastra marmorea, lo fa sembrare in cima a una roccia, mentre siede piangendo dinanzi al mare. Lo scultore aveva in mente un passo omerico? Nell’Iliade (I, 348-350) Achille è adirato perché Agamennone gli ha preso la schiava (e compagna) Briseide; abbandona la tenda, innalzata nei pressi della nave, e rimane da solo: “sedeva piangendo, lontano dai suoi compagni, / in riva al mare bianco, e guardava la distesa infinita”. Forse a qualcuno dei visitatori della necropoli saranno venuti in mente questi versi. Invece qualcuno di noi, magari senza accorgersene, sovrapporrà al triste Demokleides gli uomini e le donne che, ripetutamente, Caspar David Friedrich dipinge davanti alla “distesa infinita” del mare.
Nonostante la sua brevità, la scena scolpita sulla stele è più sfaccettata di quanto sembri a prima vista. Che a sinistra ci sia il mare lo intuiamo, ma non è neppure tratteggiato. E la nave è come vista in dissolvenza. In compenso scudo ed elmo sono descritti con cura, e lo è ancor di più quel lembo della tunica che, sotto la figura del giovane, si incunea nel marmo. Assistiamo qui, per quanto in proporzioni minime, a quell’uso espressivo degli abiti che percorre l’arte classica (ma giunge fino alla modernità): la tunica cadente non si pone come simbolo della morte di Demokleides, ma contribuisce – forma inanimata che si carica di vita – a riprodurne visivamente la sofferenza.
C'è un’inattesa distanza tra l'efficacia della scena e il suo meccanismo, che resta almeno in parte indecifrabile. Il centro della scena è la posa del giovane, nel gesto che per millenni serve a rappresentare il dolore, abbassare la testa e appoggiarla al palmo della mano. Ma la sorpresa è proprio qui: la voluta imprecisione del bassorilievo (la nave appena intravvista) serve a dirci che il ragazzo si trova in una regione indefinita. È morto, eppure piange. Il dolore si affaccia nella sua reciprocità: soffrono i parenti, gli amici, i commilitoni, ma piange anche lui che è pianto.
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