Logos o mythos? / Eilenberger e la filosofia in Germania

11 Settembre 2018

La filosofia di lingua tedesca è molto cambiata nell'ambito degli ultimi due decenni: da una parte la filosofia accademica universitaria; dall'altra, la filosofia «popolare» che incide su un folto pubblico con la sua presenza mediale. Diversamente che in Italia però, i due campi sono occupati da personaggi differenti. In Italia partecipano ai festival filosofici, sempre più diffusi da un ventennio a questa parte, gli stessi personaggi che esercitano la loro professione di docenti nelle università. Le medesime persone, in Italia, occupano anche le pedane mediatiche. Ma soprattutto, i pensatori accademici vengono, sempre in Italia, proposti, se magari non perfettamente recepiti e compresi, anche al pubblico generico televisivo. Non tutti allo stesso modo: alcuni hanno la brandina su cui dormire dietro le quinte dello studio, tanto la loro presenza è assidua; altri ci capitano di rado (le donne per esempio), ma non è questo il punto.

In Germania è stato così ancora per Habermas, Popper o Jaspers: i loro libri trovavano grossa attenzione ovunque, le loro teorie venivano assorbite ed elaborate da un pubblico non necessariamente specialistico. Oggi invece le direzioni sono diverse. Da una parte la filosofia accademica universitaria si orienta agli Stati Uniti, parla e scrive in inglese, pubblica non più libri, trattati o altro, ma articoli e saggi su riviste specializzate in lingua inglese. I «libri» di filosofia sono a questo punto le pubblicazioni di tesi di master e di dottorato che nessuno legge ma che servono per andare in cattedra. I professori universitari non scrivono praticamente più libri diretti a un grosso pubblico intellettuale.

 

Dall'altra parte troviamo la filosofia popolare, i cui protagonisti sono Peter Sloterdijk – con le sue esortazioni a praticare una filosofia che esca dal «grembo delle università», per entrare «sugli schermi, nelle scuole e nei festival popolari»; David Precht, e ora anche Wolfram Eilenberger e Barbara Bleisch, malvisti dalla filosofia accademica.

Oltre a ciò già da tempo è stata abolita, in Germania, l'obbligatorietà della materia scolastica della filosofia dalle scuole superiori, come pure è stato da tempo soppresso un corso preparatorio alle discipline scientifiche, chiamato Philosophicum, che introduceva gli studenti alle problematiche etiche e alle dimensioni umanistiche in genere. In Germania la filosofia come materia scolastica è sì presente in alcuni licei ma non è obbligatoria. Dove è insegnata, in genere da un insegnante di religione o di tedesco immolatosi alla causa, è disciplina facoltativa e insegnata sovente con poco rigore, slegata dal contesto storico e proiettata sulla libera discussione di alcune idee, prevalentemente dilemmi morali in linea con la tradizione protestante. Ancora una differenza con l'Italia, dove «filosofia» resiste (non sappiamo fino a quando) in molti licei come materia obbligatoria, per quanto in forma di storia della filosofia (il che non è poi da buttar via...).

 

Insomma in questa situazione Wolfram Eilenberger, pur sempre fondatore e ex capo-redattore della più diffusa rivista tedesca di filosofia popolare, Philosophie Magazin, che si vende nei chioschi delle stazioni e in città in numeri molto alti (60.000 esemplari!), e ora conduttore della trasmissione televisiva zurighese Sternstunde Philosophie della quale dirò qualcosa in seguito, ha iniziato un dibattito sui giornali nei quali dichiara il suo livello di stima nei confronti della filosofia accademica: zero. Dove è finito il paese di Leibniz e Kant, Hegel e Schopenhauer, Nietzsche e Arendt? Vedi su questo l'illuminante saggio di Donatella De Cesare, “La filosofia tedesca è morta, dopo 300 anni”.

 

Il vuoto del pensiero tedesco lo si può rilevare, sostiene Eilenberger, nel fatto che la filosofia si è messa a correre dietro al modello delle scienze naturali: così la costrizione a pubblicare in lingua inglese e soltanto in determinate riviste (a pagamento) per entrare nel ranking e ricavare un numero alto di citazioni, il conformismo, la spasmodica ricerca di costruirsi una carriera con questi mezzi fanno sì che si producano prevalentemente quelli che Hannah Arendt chiamava «pensieri congelati», parole aride e senza vita per quanto precise e meticolose. Parole in inglese però, e prive di carattere nazionale: non si può e non si deve parlare di filosofia tedesca (o di pensiero italiano) più di quanto non si può parlare di fisica o di chimica di questo o quel paese, affermano gli avversari di Eilenberger e in genere i filosofi analitici, i quali a loro volta accusano Eilenberger di romanticismo e di falsa esaltazione del genio e della magia (si pensi al titolo originale del libro di Eilenberger, Die Zeit der Zauberer, Il tempo dei maghi, più che degli stregoni) e del carisma dei filosofi.

Immagino che Eilenberger concorderebbe con la posizione di Protagora. Nelle battute iniziali del dialogo platonico Protagora, l'omonimo sofista è sollecitato a dimostrare che la virtù è insegnabile. Spiegando la sua posizione Protagora aggiunge:

 

«Socrate, non mi rifiuterò; preferite però che ve lo dimostri raccontando un mito, come gli anziani ai più giovani, o con un ragionamento» (mython legon epideixo e logo diexelthon)? Molti dei presenti risposero che scegliesse lui. «Mi sembra più piacevole – disse – raccontarvi un mito». E via col mito della nascita dell'uomo animale nudo e indifeso. Secondo Protagora – ma la posizione è condivisa dallo stesso Platone – ci sono due modalità, perfettamente equivalenti, di sostenere una dimostrazione: col logos, il ragionamento astratto, la raccolta e il calcolo (léghein); oppure col mythos, non favola destituita di verità, ma racconto, narrazione. Dimostrazione mythica o dimostrazione logica, in alternativa dunque, ma dove la prima ha una carica di piacevolezza sconosciuta alla seconda: è infatti più aggraziata (chariesteron), contiene maggior piacevolezza e diletto. Troppo facile rispondere alla domanda su quale stile filosofico preferisca Eilenberger. Il quale immagino non abbia nulla nemmeno contro l'uso dell'associazione di pensiero che si pratica con analogie, metafore e metonimie, demonizzato spesso dalla corrente logico-analitica e dai critici – mettiamoci dentro anche loro, dài – del politicamente corretto.

Dicevo che Elenberger conduce una trasmissione filosofica, notizia con la quale concludo questa breve esposizione: la perla dei programmi cultural-filosofici svizzeri di lingua tedesca, la trasmissione Sternstunde (L'ora delle stelle) Philosophie.

 

Si tratta dell'unico luogo in cui, sui media della Svizzera tedesca, viene esplicitamente usata la parola «filosofia», assente dalle rubriche dei quotidiani e dei settimanali o di altri programmi radiotelevisivi, in cui si discute magari, e anche spesso, di filosofia, ma senza usare esplicitamente il termine. Gli ospiti della Sternstunde Philosophie, che viene trasmessa alle 11 del mattino della domenica come una specie di messa laica, non sono soltanto filosofi ma anche personalità del mondo della cultura, dell'arte, della scienza, della politica e/o dell'economia. Quel che è decisivo tuttavia è che le persone vengono interrogate in maniera approfondita, intorno al generale e al particolare del loro pensare e operare, si chiede loro di riflettere sul perché questa o quella situazione vengono presentate così e non in un altro modo. Nel rispetto del pubblico televisivo si pongono questioni accurate con cui si richiedono risposte profonde e dettagliate sul senso e sul fine, sulle cause e sulle speranze, sui desideri e le utopie. Insomma si fa filosofia. Condotti e moderati (anche) da Eilenberger.

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