Chinese boxes

10 Maggio 2012

“Polifemo pensa per livelli, Ulisse per dimensioni…”

 

Franco Farinelli

 

 

Per il mio ultimo dispaccio da Campus in Camps (prima puntata), ho deciso di “togliermi dalle scatole”. Fuori per un attimo dalle categorie, in iperventilazione, all’interno di un conflitto multidimensionale, con tante chiavi e poche porte, i danni vengono passati da mente a mente attraverso le idee e il ferro nei corpi, nel tempo. Mi suona familiare, come se non riguardasse solo questa terra contesa… sei d’accordo?

 

“The dreamer can always remember the genesis of the idea. True inspiration is impossible to fake…” (Ariadne in Inception, Christofer Nolan 2010). Rendere possibile un incubatore di nuove idee, nate da sognatori in eruzione in un ambiente sedato o martoriato. Questa è in linea di massima una traccia ideale che mi sembra interessante seguire, notte tempo e oltre. Una plausibile formula per chiarire l’utilità di questo programma, articolato come progetto sperimentale e pilota. Uno spazio “protetto” dove tentare l’inusuale, aggiungere informazioni, definire nuovi significati, applicare strumenti visionari, progettare nuove fondamenta mobili a innalzare strutture smontabili. La carovana che parte, attraversa e trasforma lo spazio, trasformandosi, è un’immagine che apre. Agenti di un pensiero politico, che si spostano smaterializzando i livelli e riconfigurando le dimensioni della realtà è un’immagine che ispira.

 

Tenda beduina sulle colline del Wadi Qelt. Sullo sfondo, Ramallah.

 

Chinese box #1: Retorica
Nel villaggio è domenica, il cielo coperto, ma fa caldo. Un matrimonio sta avendo luogo tra gli ulivi e le pietre. Da qui si vede Yafa e il Mediterraneo, la pista dell’aeroporto e gli airbus che manovrano arrivi e partenze. Uno spazio accessibile solo con lo sguardo, mentre il corpo da questa parte del confine paga il dazio invalicabile dell’identità. Una donna proveniente da un campo profughi siriano giunge in sposa, con il suo seguito familiare, a un uomo del villaggio. La sensazione di accoglienza ti fa sparire tra i tanti giunti oggi al seguito dell’evento, sei parte di esso. Siedi comodo su un sasso con gli amici, godi dei canti e del cibo semplice e gustoso, preparato da mani muliebri e forti la notte stessa. Assapori il tè con foglie di menta o salvia. Giri il collo, la coda dell’occhio è attratta da qualcosa: due ragazze fiere che si fanno fotografare abbracciando un mitra, con lo sfondo del paesaggio irraggiungibile, perduto nel ’48. Seguono altre foto di rito, bambini arrampicati sugli ulivi in vesti tradizionali indossate solo per oggi, a rinforzare nella loro memoria futura l’abito della provenienza.

 

Chinese box #2: Distacco
Che ne pensi? La West-Bank, a confronto dei campi siriani e libanesi, è un campo di fiori. Questo spiega molte cose. Ne parlo qualche giorno dopo con due ragazzi che scuotono la testa, esprimendo un empatico allontanamento da questa iconografia, pur provenendo loro stessi da un campo profughi. Sono giovani, hanno viaggiato, percorrono un immaginario diverso nel loro tragitto, determinati a costruire il sogno fuori dalla gabbia, dalla mappa e della confusa e complice conduzione dei leader del momento. Confrontarmi con loro mi aiuta a posizionarmi su un versante con ampia visuale, con altre scelte possibili e altri pensieri da coltivare.

 

Chinese box #3: Dolore secco
Salam. Da dove vieni? Gaza… com’è la situazione? Sì… immagino. Oh no… ho visto i servizi alla tivù… gli articoli su aljazeera e the guardian… come reagisce la società lì? Ah non c’è più società… certo… le guide politiche confondono, non sapete più dove andare… capisco… Io? Sto seguendo un progetto qui, è interessante, aspetta che ti spiego. Sì è bello. Ci proviamo anche noi, ne vale la pena, altrimenti tutto è perduto. Aspetta, voglio raccontarti cosa ho visto ieri in un villaggio, durante un matrimonio, voglio sapere cosa ne pensi… Davvero… non volevo aprire questa voragine… mi dispiace, continua… lo so che non ce l’hai con me, ma mi stai guardando come se fossi loro, non riesco a sostenerlo. La tua furia. È senza lacrime, ma i tuoi occhi sono piegati, secchi. Il tuo sorriso… sorridi piegando solo gli angoli della bocca… a 90 gradi. E basta. Comprendo…

 

Chinese box #4: Social fiction
Da lì non vedi niente, comprendo. Nelle mie poche parole sbagliate cerchi sensazioni che già conosci. Attenzione adrenalinica. Se non ne sei parte, forse puoi trovare conforto e aperture dal racconto. Comprendo. Ma ti invito a passare di qui. Altrimenti posso venire a trovarti se vuoi.

 

Il percorso “umido” del Wadi Qelt.

 

Out of the box, Camps of Knowledge
Corre l’anno 2040 e hai ottenuto il tuo Diritto al Ritorno a un luogo, un ambiente, un diritto civile… scegli tu.
Stai guidando un gruppo di persone nel campo dove sei cresciuto.
Ricopri ora un ruolo decisionale qui.
Com’era nel passato, nel 2012?
Com’è ora, nel 2040? Com’è l’ambiente? Come sono le persone? Cosa sta succedendo attorno? Descrivilo in tutti i particolari…

 

Un esercizio apparentemente innocuo dopo i Camp Experiences, “scampagnate” assieme allo straniero e agli altri refugee. Come posso invitarti a osservarti da fuori e con i tuoi occhi, contemporaneamente? Pillola rossa. “È stato durissimo svegliarsi…”. Lo so è un pò crudele, ma è nella mia natura. E il mio lavoro. Ma quante visioni differenti sono emerse da 15 persone. Allora è mica vero che pensate tutti di tornare alla casa perduta… ci sono tante cose là sotto… quanti immaginari, quanti linguaggi diversi e tutto questo in una settimana! Mabrùk, complimenti.

 

Una causa è sterile se continuiamo a friggere nell’orgoglio o nel dispiacere. Per quanto il dolore ci faccia pensare di essere al centro dell’universo. Non è finita qui, ora viene la parte più difficile: prendere per mano questa sensazione liberatoria e spiacevole al tempo stesso per lavorarla e non abbandonarla. È questo il momento di affondare il colpo, con il sudore e, se possibile, con grazia.

 

A questo punto non siamo nemmeno tanto certi di volere uno Stato. E anche se volessimo (ce lo fanno annusare ogni giorno con diverse ricette) non ce l’abbiamo. Possiamo avere comunque i nostri diritti? Per primo, quello di muoverci e conoscere? Il diritto di essere riconosciuti per quello che possiamo offrire e ricevere?

 

Quello che cerchiamo non è una nazione. Quello che cerchiamo è un apri-scatole.

 

Un cammino che giunge a Jericho.

 

Mindset playground
In Camps of Knowledge: Back to the future, i partecipanti hanno presentato al pubblico le proprie visioni immaginando di guidare un gruppo di visitatori nel refugee camp, nell’anno 2040. Nelle due settimane a venire, sollecitando il muscolo dell’immaginario, ho proposto loro questa filmografia. Mi mancava davvero tanto il cinema.

 

Inception (Christopher Nolan, 2010)
Latcho Drom (Tony Gatlif, 1993)
Crossing the bridge (Fatih Akin, 2005)
Goodbye Lenin! (Wolfgang Becker, 2003)
Architecture + Art: Edi Rama & Anri Sala (The Architecture Foundation, 2010 su VIMEO)

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