Mantieniti vivo

27 Ottobre 2011

“Tradiscono i decenni” recitava il refrain di una canzone di successo del 1998; un’espressione riuscita per registrare come anche lunghi archi di vita possano essere ridotti a sensazioni più che a memoria. Sembra essere stato così per gli anni ottanta e la loro esteriorità, diluitasi nella “melassa” degli anni novanta, così come - scomparso ogni ottimismo - in quella del decennio da poco concluso. Per molti l’impressione è stata quella di vivere una lunga stagione concentrata sull’individuo, alla ricerca di un ombelico del mondo difficile da trovare, inesistente oppure polverizzato in miriadi di interessi, soprattutto personali.

 

Il cibo non è stato forse una perfetta metafora di questi anni? In questo lungo arco di tempo c’è stata un’attenzione spasmodica e quasi ossessiva per l’alimentazione, inimmaginabile fino a solo due generazioni prima. Per la prima volta il cibo è stato “pensato” almeno quanto consumato.

 

La dietetica, la storia, l’arte, la letteratura, ma anche la moda o lo sport hanno contaminato il cibo e da questo sono state contaminate. L’educazione alimentare è diventata parte dell’istruzione, lo chef e l’esperto di nutrizione sono assurti al ruolo di maitre à penser, mentre la cultura alimentare è diventata cultura tout court, in mille sfumature diverse, in mille rivoli di interessi differenti.

Una percezione del cibo del tutto “nuova”, vertice simbolico di un recente benessere alimentare. Ma, al di là di ogni attenzione indotta da questa provvisoria modernità, è a un’altra immagine che bisogna probabilmente legare l’interesse che abbiamo per l’alimentazione, quello più generale, vasto e profondo, appartenente all’umanità di ogni tempo e di ogni luogo. L’atto alimentare del resto esprime forse la più potente metafora del tempo e dell’esistenza, perché è una metafora incisa profondamente nella carne: il cibo con cui attraversiamo i nostri giorni non è mai indifferente e mai ci lascia come siamo.

 

Così è per la nostra biologia quotidiana, così è per le feste e ricorrenze che si inseguono nel corso dell’anno, scandite attraverso il cibo che diventa presenza ciclica di ogni agricoltura e di qualunque calendario, “ingrediente” indispensabile nelle date in cui celebriamo noi stessi e i nostri cari, e con cui contiamo i nostri giorni.

All’inizio c’è stato il sapore di madre, poi è stato ancora attraverso il gusto che abbiamo esplorato e conosciuto il mondo, prima che con qualunque altro senso. Infine, non è il rifiuto del cibo la spia che più di ogni altra l’uomo ha sempre temuto? Quello il segno del vacillare del nostro legame con il mondo: si spezza il filo con la sostanza vivente, con ogni idea, emozione, condivisione che lo attraversa… viene meno il cibo e viene meno il tempo che resta, viene meno la vita.

 

Questo probabilmente l’interesse profondo e nascosto verso l’alimentazione. Perché  il cibo davvero è “solo vita”, consapevolezza che, se avvertita, fuori dei suoi limiti razionali  può diventare nudo sentimento dell’esistenza, forza generatrice, dove il bisogno di mantenersi vivi - alla lunga inevitabile illusione - è consapevolezza che percuote i sensi ed emoziona, sintesi minima essenziale della nostra fragilità.

 

Mantenersi vivi…. Keep yourself alive è stata una lontana hit dei Queen, anzi la loro prima hit, quasi dimenticata negli anni seguenti della loro ascesa e del loro successo. Keep yourself alive è quasi un manifesto. Mantenersi vivi come scopo, la vita per quello che è prima di ogni morale o insegnamento, solo nella sua semplicità e immediatezza.

 

Dunque è anche Freddie Mercury che si può inaspettatamente incontrare, leggendo un tema ricorrente in George Steiner (Errata, 1997, Il linguaggio e il silenzio 2001), vale a dire Achille non come divinità guerriera ma come esempio della fragilità umana che ci portiamo addosso.

 

Il passo è quello in cui il troiano Licaone subisce il fato e ancora una volta, vinto, è alla sua mercé; in precedenza era stato risparmiato dal Pelide e dato in riscatto ma ora, nuovamente, tremante è ai suoi piedi. Questa volta Achille non ha pietà e invano Licaone lo supplica, trattenendo il giavellotto con le mani; nel dialogo drammatico in cui gli viene negato ogni scampo la scena volge rapidamente all’epilogo, ma prima che Achille sia carnefice c’è una pietà che va oltre Licaone e la sua sorte; una pietà rivolta all’uomo in quanto tale, al destino che tutti accomuna “Perché sì piangi? Morì Patròclo che miglior ben era. E me bello qual vedi e valoroso e di gran padre nato e di una Diva, me pur la morte ad ogni istante aspetta, e di lancia o di strale un qualcheduno anche ad Achille rapirà la vita”.

 

La vita nella sua nudità fa sì che il carnefice si specchi nella vittima e in ciò che resta di ogni recita umana, indipendentemente dagli esiti e dalla volontà di ogni singolo, la vita semplicemente come vita e basta.

 

Keep yourself alive è stata una lontana hit dei Queen… la vita per quello che è prima di ogni morale o insegnamento, solo nella sua semplicità e immediatezza -“Bread and butter for a smile” – le forze primordiali del sesso e del nutrimento - “Well I’ve loved a million women in a belladonic haze and I ate a million dinners brought to me on silver trays” - come metafore e manifesto minimo essenziale perché ognuno si lasci vivere per quel che è. Quello di cui si ha veramente bisogno è nutrire corpo e anima per cui “I tell you just be satisfied to stay right where you are, keep yourself alive, keep yourself alive”, perché alla fine, recitano le parole di Brian May,  “penso che ogni giorno che passa sono solo due passi più vicino alla mia tomba”. Sembra esserci in questa remota canzone dei Queen quella fragilità che Steiner scopre in Achille, la consapevolezza di una fragilità che pare essere solo umana.

 

Nel canto conclusivo dell’Iliade Achille incontra Priamo venuto a reclamare il corpo del figlio Ettore. L’incontro è tremendo per significato e carica emotiva eppure, in conclusione, i due trovano finalmente tregua agli eventi e a se stessi: mentre subentra il sollievo dei corpi e delle emozioni si sorprendono a studiare le qualità dell’altro e, solo perché la vita semplicemente lo richiede, arrivano a condividere il cibo e mentre Priamo riposa, finalmente Achille, come ogni notte, si corica a fianco della “bella figlia di Briseo”. L’Iliade sta per concludersi e la vita si impone nella sua nuda evidenza: respirare, mangiare, amare. Come George Steiner dice, le onde del mare continueranno a battere la spiaggia anche quando di Troia saranno rimaste solo rovine.

 

Keep yourself alive,  hit quasi dimenticata negli anni dell’ ascesa e del successo dei Queen. Mantieniti vivo, verità elementare e insieme consapevolezza che pare solo umana, di una fragilità da preservare: respirare, mangiare, amare, “battito necessario” per sentirsi vivi.

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