Achille: la bestia, l'amore, il musico
Achille, la bestia
La bestia, «das Vieh» (Vieh in tedesco significa animale in senso dispregiativo, carogna). Così è chiamato costantemente Achille da Cassandra nell’omonimo romanzo di Christa Wolf (Cassandra (1983), E/O, 1984), un libro che varrebbe la pena di rileggere in tempi di guerra:
Non il piè-veloce, il Pelide, il divino, il glorioso, colui che è pari agli dei. Achille è soltanto e sempre la bestia, Achille la bestia. Per Cassandra, la profetessa inascoltata, la figlia di Priamo e Ecuba, che vede i suoi fratelli massacrati, le sue sorelle stuprate e rese schiave e che sa che subirà la stessa sorte (trascinata nel suo regno da Agamennone verrà con lui assassinata da Clitemnestra), Achille è sempre e soltanto «la bestia». Nessuna concessione al suo eroismo, non un barlume di umanità per lui, né quando pensosamente riflette sulla sua morte imminente, né allorché piange disperato la morte del suo amore, Patroclo. Delle sue esequie Cassandra/Wolf menziona soltanto la strage degli innocenti, dei dodici prigionieri, dodici «splendidi figli di Teucri» (Il, XXIII, 23), i più nobili, tra i quali due figli di Priamo, sgozzati uno dopo l’altro e posti sulla pira a bruciare insieme al cadavere di Patroclo.
Neanche un momento di commozione per l’episodio in cui, in seguito alla supplica di Priamo di rendergli la salma di Ettore da lui ucciso in duello, Achille accetta, non soltanto, ma invita il vecchio a banchetto e poi a coricarsi nella sua tenda: Cassandra/Wolf ricorda soltanto l’oro del riscatto, gli infiniti doni (Il, XXIV, 502), l’unico argomento che può convincere la bestia.
Achille, la morte
Eppure è proprio Achille che diventa, in un suggestivo romanzo/saggio autobiografico uscito nel febbraio di quest’anno in Germania, bello, da tradurre,la figura che accompagna il suo autore, il filologo classico Jonas Grethlein, nell’anno più difficile della sua vita (Mein Jahr mit Achill. Die Ilias, der Tod und das Leben [Il mio anno con Achille. L’Iliade, la morte e la vita], Beck, München 2022).
Quando ha ventisette anni, dopo che già una brillante carriera accademica gli si spalancava davanti, l’autore riceve la diagnosi di cancro alla vescica. È quello l’anno con Achille, narrato autobiograficamente, con un forte peso sulla propria persona. «Mio», il mio anno. L’io autorale si staglia nel titolo ancor prima del nome del più famoso guerriero della letteratura occidentale di tutti i tempi, Achille. Seguono parole importanti: l’Iliade, la morte, la vita. La morte di tutti ma in primo luogo la morte di Achille. Essenziale per questa figura è la morte da giovane, la morte programmata dalla sua stessa scelta, allorché di fronte all’alternativa tra una vita lunga e anonima e un’esistenza breve ma piena di gloria, Achille sceglie quest’ultima. Morte della quale l’eroe è consapevole come consapevoli ne erano i genitori, il mortale Peleo, la divina Teti. L’autore diventa a sua volta consapevole dell’intensità del sapere della propria morte nel momento della diagnosi, dopo i primi, trascurati disturbi, e poi nel periodo della cura, dolorosa e vergognosa, con quella penetrazione del corpo da parte del catetere che l’autore percepisce, nel sottoporvisi, come una violazione della propria integrità.
La consapevolezza di Grethlein si sovrappone a quella di Achille, in una sorta di identificazione. Con Achille, il più distante e il più freddo dagli eroi della mitologia omerica. Non Ettore, così attento, così responsabile verso Troia e i Troiani, così affettuoso con i suoi cari. Non Odisseo, accorto e arguto e interessato a conoscere, non Aiace lacerato dalla sua vergogna, ma Achille con la sua ira, Achille la bestia.
Sono accomunati dalla consapevolezza della morte, l’autore e Achille; dal fatto che le cose materiali non abbiano più importanza: contano soltanto la sopravvivenza e, sì, la gloria. Entrambi inoltre non hanno la consolazione di un aldilà di salvezza e beatitudine: Achille, vissuto prima della filosofia greca e del cristianesimo; Grethlein, vissuto dopo la morte di Dio, anche se qualche disperato ricorso alla preghiera e alla sua forza non gli è estraneo. Ma tutta l’Iliade non è soltanto un racconto di guerrieri in cerca di onore e dei loro eccessi di violenza, ma è anche e soprattutto una profonda riflessione sulla vita umana, sulla condicio heroica come forma aumentata della condicio humana. Lo dimostrano gli incantevoli paragoni con le foglie, quelli che il giovane Ungaretti riproporrà in Soldati (1918):
“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”.
E che nell’Iliade così suonano:
Vivono i mortali “simili a foglie, che adesso
crescono in pieno splendore, mangiando il frutto del campo,
e fra poco imputridiscono esanimi” (XXI, 464-466)
e
“Le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva
fiorente le nutre al tempo di primavera;
così le stirpi di uomini: nasce una, l’altra dilegua” (VI, 146-149).
L’Iliade assume per l’autore il carattere di una profonda riflessione sull’inevitabilità della morte e della propria morte, scritta con parole comprensibili e che toccano la mente, non con le gelide e oscure elucubrazioni di Heidegger. Eppure alla morte di Achille non si assiste, dal momento che il poema è composto in modo tale da terminare subito prima della morte dell’eroe e del crollo di Troia.
Achille, l’amore
Stretta si dipana, nell’Iliade, la dinamica tra Eros e Thanatos, tra Amore e Morte. La vicinanza della morte dà all’amore un’intensità particolare: la prova Achille che preso d’amore per Pentesilea, la regina delle Amazzoni, la uccide, nonostante la guerriera rivolga a lui una mano supplice, diretta, nella pittura vascolare, verso il mento, nella postura rituale del supplice, insieme all’abbracciare le ginocchia del supplicato.
O forse, all’inverso, Achille infligge a Pentesilea la ferita mortale e intanto si innamora di lei? Ma anche nella vicenda di Pentesilea Cassandra non conosce che una parola per Achille: la bestia. E l’amore di Achille, l’amato imberbe, l’eròmenos, per il suo erastès, Patroclo, l’adulto esperto? Anche in questo caso l’immagine aiuta la comprensione giacché Patroclo viene raffigurato con la barba che segnala l’adultità, mentre Achille è poco più che un fanciullo.
Omero descrive la relazione tra Achille e Patroclo come intima ma non come erotica: nel libro IX dell’Iliade, ricorda Grethlein, i messi inviati da Agamennone li incontrano sulla riva del mare: Achille che suonava la cetra e «cantava glorie di eroi», Patroclo a lui di fronte seduto, loro due soli. Ma quando la sera si coricheranno, ognuno di loro avrà una donna a fianco.
La relazione fra i due viene invece dipinta come un amore appassionato, per lunghi anni fedele ed esclusivo in un romanzo di grande successo di vendite, The Song of Achilles, di Madeline Miller, del 2012, tradotto in lingua italiana come La canzone di Achille, pubblicato da Marsilio nel 2012 e riproposto nel 2022.
Un caso editoriale per un romanzo per giovani adulti, tra il mitologico e il fantasy, con personaggi che non sfigurerebbero nel Signore degli anelli o in Harry Potter, vedi la Nereide Teti, madre di Achille. Nella sua rivisitazione dell’Iliade, che fa narrare in prima persona da Patroclo, Miller illumina la sua love story con Achille, facendola diventare un rapporto sentimental-sessuale tra coetanei che durerà per molti anni senza interruzioni (alcuni rapporti con donne non sono rilevanti) e si concluderà con l’uccisione di Patroclo, vestito con le armi di Achille, da parte di Ettore, dopo che già il dio Apollo e il guerriero troiano Éuforbo l’avevano spogliato della corazza e ferito.
Achille il musico
The song of Achilles, è intitolato il libro, un accenno a un aspetto particolare dell’eroe iracondo. Accenno che era stato notato, e con ciò concludo, da una filosofa ebrea di origine ucraina, Rachel Bespaloff, che compose la sua lettura dell’Iliade contemporaneamente alla ben più nota Simone Weil.
Bespaloff fu danzatrice e musicista prima di diventare filosofa, e soltanto nella musica trovava momenti di felicità e di profonda verità, cercando inoltre affinità e relazioni con i filosofi sui quali scriveva, ma anche con se stessa, attraverso la musica. Verità per lei e consolazione per Achille la bestia, che cerca conforto nell’amicizia con Patroclo e nella musica. La bestia Achille che si delizia del suono delle corde della cetra da lui toccate e canta le imprese degli eroi.
Canta alla cetra le imprese degli eroi, Achille, come Aracne tesseva al telaio scene di sopruso e di inganno degli dei verso i mortali, le mortali. La cetra dei Greci era uno strumento molto simile al telaietto portatile su cui tessevano le donne. Si tesse una tela come si tesse un canto, si tendono le corde della cetra come si tende la corda dell’arco. È quello che fece Odisseo prima di far «cantare» l’arco che avrebbe sterminato i pretendenti:
“...l’accorto Odisseo, all’improvviso,
dopo che il grande arco palpò e osservò da ogni parte,
come un uomo, che è esperto della cetra e del canto,
senza fatica tende le corde sui bischeri nuovi,
fissando ai due estremi il budello ben torto di pecora,
così senza sforzo tese, il grande arco, Odisseo.
Poi con la mano destra pizzicò e provò il nervo,
che bene gli cantò (àeide) sotto, simile a grido di rondine” (Od., XXI, 404-411).
Come Odisseo, anche Achille era aduso a tendere la corda dell’arco, ma lo era anche a tendere le corde della sua cetra, quasi unificando i due gesti che avrebbero prodotto entrambi canti. Canto di morte simile a grido di rondine quello dell’arco, canto di diletto il grido della cetra. Canta Achille accompagnandosi con la cetra, phorminx, che aveva imparato a suonare dal centauro Chirone, dice una tradizione tarda. La piccola cetra così simile, ripeto, al piccolo telaio, con la quale Achille si dilettava. Il verbo usato da Omero è terpo, térpomai, «trovare piena soddisfazione del proprio desiderio», nel cibo, nell’amore fisico o nella musica. O nella vendetta, nell’uccisione, nella strage, quando a suonare è l’arco? Sappiamo, dal libro XVIII che Efesto fabbricò per Achille scudo, corazza, elmo e schinieri, di metallo robusto e pesante, con un lavoro da fabbro. Ma di certo qualcun altro fabbricò la spada, e l’asta e l’arco che come la cetra sono di legno oltre che di metallo. L’arco che, come la cetra, cantava (àeide), come cantava (àeide) Achille con essa dilettandosi. Serviva, il canto all’eroe per smaltire l’ira a lui congenita, oltre che quella scatenata da Agamennone?