Questa nostra vita / Dulcamara
Melanzane, pomodori, peperoni e peperoncini in giardino o sul balcone? Perché no! Sono piante belle nei fiori e nei frutti e gli inglesi le hanno accolte nelle loro aiuole da tempo.
Solo con le patate avrei qualche dubbio. Nessuno invece per il tabacco (Nicotiana tabacum) e per tutte le nicotiane ornamentali dagli attraenti fiori imbutiformi e multicolori. Che hanno in comune queste essenze? Appartengono tutte alla numerosissima e importante famiglia delle Solanaceae, con esemplari che da tempo rallegrano il verde di casa come petunie, Dature e Brugmansie. Ma a queste ultime ho già dato. Vorrei invece soffermarmi sul Solanum jasminoides e sul Solanum rantonnetti, entrambi originari del Sudamerica. Il primo, sarmentoso, vuole un sostegno cui affidarsi e può svilupparsi in altezza anche oltre i cinque metri, oppure lo si può lasciar libero di ricadere a cascata dall’alto. L’aggettivo lo assimila al gelsomino con cui, in verità, poco lo accomuna: forse per le stelline candide (o cilestri) a cinque petali, ma il cuore di antere gialle e stilo pronunciato è come quello dei fiori di patata, paragone ai miei occhi non declassante, e la lieve fragranza serale non è comparabile a quello dell’oleacea tirata in causa. Sui rami flessibili e sottili porta foglie perenni lanceolate, di un verde intenso e brillante. La fioritura dei racemi apicali è generosa, e si prolunga da giugno a ottobre se l’esemplare è ben collocato al sole, in terreni drenati e riparati, esposti a temperature invernali non proibitive (meglio non al di sotto dei 7 °C). Un altro bellissimo rampicante è il Solanum wendlandii, originario della Costa Rica: elegante e singolare per i fiori più grandi, blu tendenti al lilla via via più tenero, e per il polimorfismo scalare delle foglie, con lamine seghettate alla base, trilobate a seguire e lanceolate agli apici. Ma è più delicato del compagno e abbisogna di un clima temperato.
Il Solanum a me più caro è però il rantonnetti, un arbusto sempreverde, tondeggiante e compatto: sarà per il blu-viola delle corolle che s’aprono a profusione, o perché mi ricorda il Salento dove lo ritrovo in grandi vasi sul bianco calce dei muri. La lunga fioritura seguita da piccole bacche arancione, ne fa un’essenza da privilegiare sui terrazzi, ma d’inverno al nord va prudentemente protetta, non appena il termometro scavalla sotto lo zero. Lo trovate anche nella variante alba, ma perché privarsi in piena estate di un tuffo in quel blu ametista così intenso?
Di certo conoscerete anche il Solanum capsicastrum (dalle mie parti la chiamano “Marinella”) e lo pseudocapsicum, che gli anglosassoni chiamano “Ciliegia di Gerusalemme”, chissà per quale motivo visto che viene dal Perù. Sono pianticelle che fanno capolino nei vivai a ottobre per le loro allegre bacche rosse e arancio, di indubbio valore ornamentale, più delle minime stelline fiorali.
No, non sto dimenticando la Dulcamara (Solanum dulcamara) del titolo, anche se non è considerata una pianta ornamentale. Ma è proprio questa specie ad offrire l’aggancio letterario e, in questo caso, persino uno musicale, perciò si merita un accenno descrittivo. Come le parenti strette Solanum nigrum e Solanum villosum, note al volgo come “erba morella” – nera o rossa a seconda delle bacche – è diffusa in tutta la penisola allo stato spontaneo, e con quelle condivide in parte anche il nome popolare: “morella rampicante”, per le propaggini sarmentose. Più coloriti, gli spagnoli le hanno affibbiato il poco gentile epiteto “erba del diavolo”, da noi speso per un’altra sua parente, la datura stramonio. La Dulcamara – il nome viene dal sapore prima amaro poi dolce di tutte le sue parti – è una perenne che può superare il metro d’altezza; il fusto è legnoso poi erbaceo nelle esili ramificazioni, per lo più pubescente. Le foglie alterne, sono lanceolate con apice acuto e margine intero spesso lobato verso il picciolo in due o tre, persino quattro lobi ovali. I piccoli fiori violacei sono raccolti in racemi penduli e hanno corolle di cinque petali ovati, prima aperti poi reclinati all’indietro a mostrare ciascuno una coppia di macchiette verdi alla base (falso nettare), cinque stami dalle antere gialle unite e uno stilo con stimma capitato. Il frutto è una bacca che da verde diviene rossa e poi nera a maturità di cui van ghiotti gli uccelli. Vegeta lungo i fossi, negli incolti, all’umido dei boschi ed è circondata da un alone di rispettoso timore per la sua tossicità, specie i rami e le foglie giovani: contiene infatti solanina, che se ben dosata è un calmante e un medicamento per dermatiti reumi e spasmi intestinali. Se in eccesso, invece, provoca convulsioni, rallentamento cardiaco e può persino portare al camposanto.
Ed è questa l’atmosfera che si respira nella poesia che vi propongo di Cees Nooteboom, il bravo poeta olandese che meriterebbe di essere più conosciuto e più tradotto in italiano. È tratta da una raccolta del 2000 intitolata proprio Dulcamara ma noi, digiuni di olandese, dobbiamo accontentarci del dittico omonimo accolto nell’antologia Luce ovunque 2012-1964, tradotta da Fulvio Ferrari per i tipi di Einaudi (2016). Questa è la prima delle due, l’altra la lascio alla vostra curiosità:
Dulcamara
Dolceamara,
solanum dulcamara,
foglie lanceolate,
stami gialli, trappola
dentata d’un sogno.
Dolceamara,
cresce su recinti, cumuli di pietre,
coltello zigrinato nel buio,
tradimento segreto
con un bacio.
Dolceamaro,
il passo dell’amata
nella casa dove il cancro
divora il mio amico
con forchetta e coltello,
dolceamari,
gli anni di voluttà,
il muschio sulla lapide
di nessuno,
il nome coperto di muffa.
Dolceamara,
questa nostra vita.
Aleggia senza uguali nel tempo,
e non si volta
sulla porta.
Insomma, nelle solanacee c’è tutto un cesto di piante, e mettiamoci pure l’Atropa bella-donna (o Morella furiosa), che in tempi nemmeno troppo lontani rinviavano a streghe e stregoni, pozioni e filtri più o meno magici. Ma, per risollevarvi dalle nuances noir che il «viola soave dei fiori/ e il veleno dei frutti» (è il finale di Solanum dulcamara sempre di Nooteboom), hanno ispirato il poeta, voglio finire con una nota buffa. Ci viene dalla cavatina di Dulcamara, un personaggio del melodramma giocoso, in due atti, L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Ecco il testo dell’aria (atto I, scena V), ma ascoltatela e vi divertirete un sacco:
Io già suppongo e immagino
che al par di me sappiate
ch'io sono quel gran medico,
dottore enciclopedico
chiamato Dulcamara,
la cui virtù preclara
e i portenti infiniti
son noti in tutto il mondo... e in altri siti.
Benefattor degli uomini,
riparator dei mali,
in pochi giorni io sgombero
io spazzo gli spedali,
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.
Compratela, compratela,
per poco io ve la do.
È questo l'odontalgico
mirabile liquore,
dei topi e delle cimici
possente distruttore,
i cui certificati
autentici, bollati
toccar vedere e leggere
a ciaschedun farò.
Per questo mio specifico,
simpatico mirifico,
un uom, settuagenario
e valetudinario,
nonno di dieci bamboli
ancora diventò.
Per questo Tocca e sana
in breve settimana
più d'un afflitto giovine
di piangere cessò.
O voi, matrone rigide,
ringiovanir bramate?
Le vostre rughe incomode
con esso cancellate.
Volete voi, donzelle,
ben liscia aver la pelle?
Voi, giovani galanti,
per sempre avere amanti?
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gl'isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato,
che in moda diventò.
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Nonostante il nome del ciarlatano sia Dulcamara, il che la dice lunga sulla notorietà popolare dell’essenza, la pozione altro non era che vino di Bordeaux: inevitabile e appropriato quindi il lieto fine, con Nemorino e Adina che si sposano e vivranno per sempre felici e contenti, e così spero di voi.