Lovely! The Glamour of Italian Fashion

3 Giugno 2014

Lovely !, How nice !”. L’aggettivazione è sobria, ma l’entusiasmo è alle stelle. Non sono al centrale di Wimbledon, ma nella seconda stanza della mostra di primavera del Victoria and Albert Museum: The Glory of Italian Fashion Since 1945 e donne inglesi di tutte le età apprezzano, quasi a bocca aperta, tutto quel ben di dio di estro, creatività, eleganza. I non pochi italiani presenti gonfiano il petto d’orgoglio. L’occasione è succulenta: mai in Italia si è riusciti a fare una mostra storica sulla nostra moda, vanto del sistema Italia, inaugurata dal Presidente del Consiglio che ha subito provveduto a farci avere un selfie in compagnia di Dolce & Gabbana e Franca Sozzani.

 

The Glamour of Italian Fashion 1945-2014

 

Secondo molti osservatori la nostra moda è in declino, seguendo il destino del paese, e allora tornare alle origini, scoprire il segreto di una parte ormai costitutiva della nostra identità, può essere una buona occasione per riflettere.

E in effetti le prime due grandi stanze della mostra sono bellissime: c’è un introibo sull’autarchia, la nascita del “marchio di garanzia” nel 1936 (senza approfondire però la storia delle fibre artificiali che ricevono un impulso dopo le sanzioni della guerra d’Etiopia), ma è molto ben documentata la stagione fiorentina con la mitica sfilata fiorentina del 12 febbraio 1951 voluta da Giovan Battista Giorgini nella sua abitazione di Villa Torrigiani. Il grande successo fa sì che la manifestazione venga replicata (fino alla metà degli anni Sessanta) nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. È interessante scorrere le liste degli invitati, compratori (buyers) dei grandi magazzini (Department stores) del Nord America e dell’Europa occidentale, e giornalisti (Firenze riceve la benedizione di Diana Vreeland, la leggendaria direttrice di Harper’s Bazaar e poi di Vogue), e notare che solo i francesi si astengono dal partecipare con l’eccezione, mi pare, di Printemps. Già nel ’55 arrivano 500 buyers e 200 giornalisti da tutto il mondo.

 

The Glamour of Italian Fashion 1945-2014

 

Chi sono gli stilisti? Simonetta (Paliani di Cesarò), Fabiani, le sorelle Fontana, Schuberth e Carosa di Roma, Germana Marucelli, Jole Veneziani, Noberasco e Vanna di Milano; per la moda-boutique il fiorentino Emilio Pucci. Da notare come non manchino i nobili (lo stesso Giorgini) che, dopo la fine della monarchia e lo scioglimento della Corte, trovano qui uno dei pochi ambiti di legittimazione. La prevalenza di donne (e più tardi di gay) crea un ecosistema che, per quanto mi consti, è il primo ambiente pubblico femminile in Italia, anche in termini di potere, denaro, visibilità, a cui si aggiungono le prime giornaliste. Fondamentale il ruolo pionieristico di Irene Brin che collega la moda al mondo della cultura – e la Brin significa Leo Longanesi, artefice, malgré soi, della modernità italiana – e qui andrebbero ricordate almeno Brunetta e Maria Pezzi – che schizzavano le creazioni con lo stesso occhio penetrante con cui Camilla Cederna ritraeva l’affluent society degli anni ’50 e ’60. Nei filmati LUCE degli avvenimenti anonimi operatori usano istintivamente come fondale gli scenari che l’arte e l’architettura italiana offrivano ad libitum, come avrebbe fatto, con diversa consapevolezza, William Wyler con Audrey Hepburn nell’immortale Vacanze romane (1953). È, in fondo, un prolungamento dello spirito del Grand Tour. La mostra ricorda poi alcuni film ambientati nel mondo della moda come Le amiche di Michelangelo Antonioni (1955) e Le ragazze di Piazza di Spagna (1952) di Luciano Emmer, anche se manca uno dei più brutti film di Mario Monicelli, Donatella (1955), costruito su misura per Elsa Martinelli, l’Audrey Hepburn di casa nostra in tempo di maggiorate. È la stagione di “Hollywood sul Tevere”, con le grandi produzioni americane (Cleopatra, Ben Hur) di stanza a Roma, che offre uno straordinario volano alla moda di casa nostra (compresi gli accessori: Bulgari, Ferragamo, ecc.). Nel catalogo è riportata una lettera di Jacqueline Kennedy a Irene Galitzine, la “russa di Roma”, in cui ringrazia per il ‘pigiama palazzo’: “Dovresti vederci qui. Sembriamo in convento. Io, Jeanne, Marella [Agnelli] e Lee [Radzwill, la sorella]: siamo in uniforme tutte le sere”. L’elegantissima Marella Agnelli sfila al braccio del marito Gianni, in un abito di Mila Schoen per il Black and White Ball che Truman Capote organizza a New York per festeggiare il successo di A sangue freddo (1966).

 

The Glamour of Italian Fashion 1945-2014

 

Siamo entrato nella seconda stanza, il clou della mostra, , in cui si registra l’apice della moda sartoriale degli anni Sessanta (il geniale Valentino, la classicità milanese di Mila Schoen e Biki, la Galitzine, Maria Antonelli, un clamoroso vestito optical che Getulio Alviani disegna per Germana Marucelli) e il passaggio al prêt à porter. Chiedo (importuno) alcune visitatrici per cercare di capire quale fosse la differenza tra la moda francese e quella italiana a quel punto. Più avanti, dagli anni Settanta, è chiaro anche a un profano come me: rapporto degli stilisti con i gruppi tessili, con i distretti (Como, Biella, Prato, Carpi), a conferma dello storico policentrismo italiano; Milano che sostituisce Firenze come capitale della moda con una serie di manifestazioni sempre meglio strutturate, la sede delle grandi riviste di settore (fondamentale L’Uomo Vogue a cui collabora anche Ugo Mulas), le prime boutique che sorgono intorno a via Della Spiga a creare un tessuto connettivo che si irradia al resto del paese e La Rinascente (che nella mostra non è però ricordata, ma è molto importante, se non altro per essere stata la palestra del gusto in cui si è formato Giorgio Armani). Ritornando alla differenza tra Italia e Francia, secondo alcune visitatrici sta nella qualità del tessuto, per altre in una certa classica semplicità (ma Dior e Saint Laurent?).

 

 

Sempre in questa grande stanza – si sa che il V&A ha, per certi versi, più l’aspetto del magazzeno che del museo – si introducono gli anni Settanta con un intelligente confronto tra Walter Albini – torinese, il primo grande stilista, il “modello” di Armani e figura che andrebbe ulteriormente approfondita per i riferimenti culturali che riesce a immettere nei suoi vestiti – e Elio Fiorucci – milanese, l’inventore del concept store. Contini si rivolterà nella tomba, ma può essere utile riprendere le sue categorie di monolinguismo (Petrarca) e plurilinguismo (Dante) per distinguere due macrotendenze nella moda italiana: quella classica che parte di Albini (Armani, Prada, Ferré, Valentino, Romeo Gigli, Alberto Biani ecc.) e quella espressiva o trasgressiva che comincia con Fiorucci (Versace, Dolce e Gabbana, Moschino, Cavalli ecc.). Astenendosi da giudizi di gusto o, peggio, moralisti, l’insieme delle due tendenze rende la moda italiana la più interessante al mondo, almeno fino alla morte di Gianni Versace (1997) con quegli incredibili funerali nel Duomo di Milano alla presenza di Lady Diana, Sting, Elton John, Maurice Bejart, Julian Schnabel, il mondo della moda che sfila tra due ali di folla protetti dalle guardie del corpo. Ci sarebbe voluta la penna di Nathaniel West! Poi la nostra moda si globalizza, alcuni marchi (Pucci, Fendi, Loro Piana) sono venduti a gruppi stranieri. Negli anni d’oro della moda italiana c’erano importanti giornalisti (qui è molto ricordata Anna Piaggi), ottimi fotografi (Gastel, Ferri, a cui si potrebbe aggiungere Carlo Orsi), alcune modelle dalla bellezza poco catalogabile come Benedetta Barzini e Isabella Rossellini, a creare un ambiente davvero glamorous (ma anche vitale e trasgressivo) che trova nella Milano degli anni ’80 il suo zenith. Tra i meriti della mostra è valorizzare il geniale artista-artigiano romano Pantanella con i suoi accessori in legno e soffermarsi sulla comunicazione che fa Toscani per Benetton che, a suo tempo, fu una vera rivoluzione.

 

The Glamour of Italian Fashion 1945-2014

 

Purtroppo le ultime stanze e stanzette sono a coda di pesce con una specie di Manuale Cencelli applicato alla moda (un vestito per ogni stilista di una certa notorietà con la giusta valorizzazione di Marras come ‘giovane’). Chiudono interviste alle esangui sorelle Sozzani e altri rappresentanti del Made in Italy. Il catalogo in compenso è bellissimo, con una serie di interessanti saggi da cui ho appreso un po’ delle cose che leggete qui sopra.

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