Ministro senza tecnica

21 Novembre 2011

La nomina di Lorenzo Ornaghi a ministro dei Beni culturali suscita perplessità istituzionali e politiche. Perché il solo ministro non tecnico del governo Monti è assegnato ai Beni culturali? Mancavano forse in Italia, in ambito storico, letterario o specificamente storico-artistico e archeologico, candidati autorevoli? Non è in discussione il prestigio scientifico dell’allievo di Gianfranco Miglio, studioso della dottrina fascista della corporazione e delle élites nel contesto della trasformazione o crisi progressiva dello Stato liberale; né il suo rilievo istituzionale. Per tre volte rettore dell’università Cattolica di Milano e direttore dell’Alta scuola di economia e relazioni internazionali dal 1996, Ornaghi è membro del cda del quotidiano Avvenire e direttore della rivista Vita e Pensiero. È il politologo oggi forse più vicino al cardinale Camillo Ruini, presidente della Commissione episcopale italiana: con Ruini condivide l’istanza di cattolicesimo politico, di “Chiesa extraparlamentare” contraria a attitudini o dimensioni di separatezza. Le perplessità scaturiscono piuttosto dall’esclusione del candidato elettivo. Nei giorni che hanno preceduto l’insediamento del nuovo governo si è diffusa la convinzione che Salvatore Settis, già direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e del Getty Center for the History of Art and the Humanities, sarebbe stato eletto ministro: atteso e per più versi inevitabile, l’incarico avrebbe restituito Settis alla responsabilità dei Beni culturali dopo le dimissioni dalla presidenza del Consiglio superiore per i beni culturali rese nel febbraio del 2009 in contrasto con l’allora ministro Sandro Bondi. Settis è uno studioso di fama internazionale e ha scritto tanto, anche polemicamente, sul patrimonio culturale italiano, la sua vulnerabilità, le particolari relazioni che legano opere d’arte e territorio: tra i suoi volumi più recenti Italia S.p.A. (2007) e Paesaggio, costituzione, cemento (2010). Nei suoi confronti, si è detto, c’è stato un veto del PdL: i commenti taglienti su Bondi e Tremonti non sono stati dimenticati. Ammettiamo la delusione. Opinabile per l’eccezione al principio di competenza osservato per le altre nomine, la nomina di Ornaghi rinnova la colpevole denegazione del professionismo umanistico nel nostro paese; e sembra discriminare un archeologo di convinzioni laiche e progressiste. Possibile che un atteggiamento ideologico abbia sorretto le scelte di un esecutivo presentato come tecnico? Per di più nel conferire incarico a chi, leggiamo, avrà il compito di “promuovere il valore e il merito nei posti chiave”, ad esempio alla presidenza della Biennale di Venezia? Qual è, per questo governo e per le parti politiche che lo sostengono, il ruolo sociale e culturale dei corsi di storia dell’arte all’interno delle facoltà umanistiche? E quale quello di queste ultime nella loro interezza?

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