La reductio ad unum della complessità / L'onda nera che avanza in Europa

8 Gennaio 2018

Ci vorrebbe quel tragico panico freddo auspicato con lucido realismo da Paul Virilio per farsi le giuste domande nell’auspicio di capirci qualcosa, di fronte all’onda nera che avanza in Europa. Al suo centro c’è quella pericolosa e netta distinzione tra amici e nemici, nella quale si identifica la cornice in cui trovano progressivamente posto le tessere delle forme totalitarie del potere. Come ogni buona analisi di psicologia del potere evidenzia, le vie della sua affermazione non si ripetono mai. Ogni volta gli inizi sono diversi e minime differenze iniziali producono esiti irriconoscibili se non col tempo. Spesso quando è troppo tardi. Una certa spontanea ingenuità iniziale, inconsapevole persino ai portatori, diventa poi una belva indomabile. L’antagonismo, si sa, è un eccitatore di emozioni di base, arcaiche, che vanno direttamente dal biologico al comportamentale, saltando la mediazione fragile eppure capace di filtro della riflessione. Del resto che cos’è la democrazia se non la disposizione impegnativa a darsi tempo per il parlamento anche conflittuale in cui le differenze e il pluralismo convivono, mediante l’incontro delle differenze. Gli humus sono numerosi e a caratterizzarli e ad alimentarli è una propensione a preferire il bianco e il nero, disdicendo la ricchezza della tavolozza dei colori e le sfumature, tutte ritenute segni di debolezza e di perdita di tempo. Tra gli humus più fertili si impone il populismo. Suona evidente l’affermazione recente di un mediocre e alquanto volgare leader politico italiano che si inorgoglisce di essere populista affermando che preferisce parlare con il popolo piuttosto che con i banchieri. Appunto: tertium non datur. Il panico freddo però non appare all’orizzonte e l’indifferenza vince. Quella sospensione eccessiva della risonanza con il mondo e gli altri che caratterizza la nostra contemporaneità alienata persiste e si conferma come uno dei codici prevalenti del nostro tempo.

 

Quando avevamo iniziato ad occuparcene non avevamo compreso che, lungi dall’essere una patologia sociale e collettiva parziale, fosse un segno dei tempi, un modo di stare al mondo, uno stile di vita. In questi giorni è stato pubblicato lo studio European Populism Trends, Threats, and Future Prospects, che analizza l’andamento dei movimenti populisti in trentanove paesi del continente europeo. Al centro del populismo il rapporto evidenzia l’esistenza di una netta distinzione tra amici e nemici, nella quale i sostenitori del populismo sono identificati come il popolo legittimo, e tutte le opposizioni sono considerate illegittime. Il populismo cresce in modo continuo da quasi vent’anni. Il numero dei partiti populisti è quasi raddoppiato, da 33 a 63, e il consenso medio è passato dall’8 per cento nel 2000 a circa il 25 per cento di oggi. Nell’Europa centrale e dell’est il populismo non è più una forza ribelle ma è andato al governo. Nel rapporto si legge che se si viaggia dal mar Baltico fino al mar Egeo non si lascia mai un paese governato dai populisti. Buona parte della zona Ue che è diventata democratica dopo la caduta del comunismo all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, ora è governata dal populismo e la democrazia appare in pericolo.

 

A proposito di humus in cui cresce l’onda nera in Europa, anche il nazionalismo sta conoscendo una costante affermazione. Non è ovviamente automatico il rapporto tra populismo, nazionalismo ed espansione continua dei movimenti xenofobi, razzisti, reazionari, illiberali, ma pare esserci una relazione stretta tra diverse componenti dei processi in atto. I governi dei paesi dell’est europeo, oltre che populisti sono fortemente nazionalisti; l’Austria oggi ha un governo nazionalista e molti paesi dell’Europa occidentale hanno all’interno dei propri parlamenti forze nazionaliste che ne condizionano decisamente le scelte. Ciò autorizza a parlare di populismo nazionalistico e, nonostante i nazionalismi si dichiarino democratici, perseguono con tutta evidenza programmi illiberali.

 

 

È della metà di dicembre 2017 la procedura di infrazione che la Commissione Europea ha dovuto aprire nei confronti del governo polacco, per violazione dei principi dello stato di diritto, a causa dell’approvazione di leggi che introducono un controllo politico sul potere giudiziario, con una chiara connotazione autoritaria. L’esito prevedibile della procedura di infrazione è una prova degli effetti perversi e indesiderati delle regole democratiche: perché passi la sanzione è necessaria una maggioranza che quegli stessi paesi impediranno al momento del voto. Ciò conferma una crisi e una trasformazione in atto della democrazia dall’interno, in quanto le stesse regole democratiche sono usate contro la democrazia e i suoi principi fondamentali. Il “putinismo” si diffonde e molti paesi diventano sempre più simili alla Russia, con l’ostilità verso il pluralismo sociale e istituzionale. Vi è un altro aspetto particolarmente scivoloso che fa da humus, e riguarda i compromessi che le forze politiche non populiste accettano di fare con il populismo nazionalista, al fine di rincorrere e cercare consenso politico in quegli ambienti, come accade in Italia con le politiche migratorie. 

 

Un’atmosfera di incompiutezza e sospensione accompagna le nostre vite e le nostre società e molto spesso comanda la paura. A rendere tutto più impegnativo è il sentimento di innominabilità della paura e del disagio. Come ha mostrato Roberto Calasso in L’innominabile attuale (Adelphi, Milano 2017): “La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’“innominabile attuale”. 

 

È proprio il procedere nel vuoto, evidenziato anche da Marco Belpoliti commentando il libro di Calasso su doppiozero, a concorrere a creare quella “vittimizzazione secondaria” che abbiamo identificato come uno degli effetti più problematici del terrorismo.

Se qualcosa è innominabile vuol dire che è per noi in buona misura inaccessibile. Si profila un’affinità tra parola e movimento, tra linguaggio verbale articolato e sistema sensori-motorio. Ci muoviamo con disagio nel presente attuale e non abbiamo le parole per dirlo. Se non vi sono troppe sviste pare che sia una combinazione di fattori, dalla convivenza planetaria divenuta una realtà necessaria, alla conseguente vicinanza di culture diverse, alla crisi demo-economica e finanziaria, alle disuguaglianze macroscopiche nella appropriazione e distribuzione delle risorse, alla crisi ambientale e climatica, ai movimenti migratori, a generare una particolare ansia da vuoto e incertezza, e a dare vita a un’angoscia di certezza che si traduce in domanda di chiusura e di soluzioni totalitarie. Si aggiunga a tutto questo il web che sta rimescolando tutte le carte della conoscenza e del mondo sociale. Un meccanismo che accompagna il tutto è la sistematica ricerca paranoide di responsabilità e di capri espiatori. In ogni circostanza, anche con la travalicante diffusione delle notizie false o falsamente amplificate, si costruiscono colpevoli e si afferma la logica amico/nemico.

 

La funzione dei social media non è certo orientata a favorire la riflessione, ma a subire le soluzioni e le conclusioni frettolose. Non si può trascurare il ruolo che svolgono le radicalizzazioni religiose, incluso l’integralismo cattolico, nel produrre orientamenti difensivi e di chiusura, di negazione o esclusione delle differenze, con propensione al conformismo e al culto delle tradizioni, incluso un deciso revival etnico di cui il culto dello ius sanguinis che impedisce il riconoscimento dello ius soli è parte integrante. Del resto siamo giunti a ritenere espressioni affermative di una cosiddetta civiltà, parole come “tolleranza” e “integrazione”, quando la prima implica un tollerante e un tollerato a cui viene concesso di esistere; e la seconda muove dal presunto che esista un sistema dato in cui ci si può inserire ma solo alle condizioni di quel sistema, non come incontro di differenze che coevolvono e cambiano insieme. Questa angoscia della certezza, in un tempo in cui tutto cambia e l’incertezza è costitutiva del cambiamento, finisce per trovare in soluzioni ipersemplificate la via per riempire il vuoto. La reductio ad unum della complessità del presente, dove unum è l’invenzione sociale e condivisa di più fattori, è forse la matrice dei processi difensivi e rassicuranti che stanno alla base dell’onda nera che attraversa l’Europa, sotto gli sguardi distratti e indifferenti di molti. È così che accade: “cervelli ben lavati”, come li chiama Amos Oz, “producono una sola frase”, “…e la massa ignora”, diceva Antonio Gramsci; mentre gli intellettuali tacciono, si potrebbe aggiungere. 

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