Ideologia, opportunismo e la favola di Lucas / Sembra Star Wars, parla come Star Wars, ha la musica di Star Wars

4 Gennaio 2020

Parafrasando Clausewitz, Star wars è troppo importante per farla fare solo ai cavalieri Jedi e infatti non è così. Star Wars non è solo un film tra fantasy e fantascienza, è il terreno di uno scontro che oggi attraversa la nostra cultura, sia che ne siamo consapevoli sia che non lo siamo. Anche chi ha sempre considerato questo film solo come un colorato e fracassone contorno per le feste di Natale, potrebbe fare uno sforzo e vedere come dietro anche le armi degli achei e dei troiani (lo Star Wars e MCU del mondo greco-romano) ci sia qualcosa di più profondo.

Prima di tutto, due parole per chi fosse stato rapito dagli alieni negli ultimi due anni. Il 30 Ottobre 2012, George Lucas vende alla Disney per 4 miliardi (!) di dollari la Lucasfilm che controlla, a sua volta, i diritti sulla saga di Star Wars da lui iniziata nel 1977: il più costoso acquisto di diritti su un prodotto di fantasia. Qualcuno scrive che Lucas ha svenduto. Intanto Lucas lascia una bozza per future avventure dei suoi cavalieri jedi e si ritira nel faraonico Skywalker Ranch, in Marin County (California). Sembra l’accordo del secolo: chi meglio della Disney può sviluppare e sfruttare il mondo fantastico di Star Wars

Peccato che tutto (o molto) non vada per il verso giusto. 

 

La Lucasfilm (cioè la divisione della Disney che controlla Star Wars), guidata da Kathleen Kennedy (suggerita dallo stesso George Lucas) viene percepita come una corporation senza anima e senza scrupoli che vuole appropriarsi di un mondo immaginario. L’attesa dei fan è enorme e la Disney non bada a spese nel rilancio della “galassia lontana lontana”: per il lancio in Cina cinquecento comparse vestite da Startrooper si esibiscono sulla grande muraglia. Ma il nuovo film, diretto dal regista di blockbuster J.J. Abrams, non soddisfa le attese. Molto è vecchio e quello che c’è di nuovo non convince. Pazienza, si aspetta il secondo film della trilogia mentre altri film collaterali vanno di male in peggio (da Rogue One a Solo: A Star War Movie). Non solo i critici sono divisi, ma la comunità dei fan si agita. Non si riconosce nei nuovi film della Disney. Cominciano a comparire articoli, blog e persino canali su Youtube completamente dedicati alla critica della gestione Disney dai nomi evocativi: Nerdrotic, Doomcock, Nobullshitter, Midnight edge e molti altri.

Poi, il disastro! Il secondo film della trilogia, diretto da Ryan Johnson, The Last Jedi, non piace quasi a nessuno. L’eroe della prima trilogia, Luke Skywalker, è rappresentato come un vecchio sconfitto che si nutre di liquidi organici di dubbia origine. Il film è pieno di errori (avete presente il presunto orologio da polso del legionario romano in Scipione l’africano del ’37 … ecco, molto peggio!). Dettagli, qualcuno potrà dire, ma ingiustificabili in una franchise di queste dimensioni (un solo film della saga costa 200 milioni di dollari).

 

E, ieri, il colpo finale. Il film finale della saga The Rise of Skywalker, tornato nelle mani di J. J. Abrams (non ha caso rinominato “Jar Jar” Abrams), ha cercato di rientrare nell’alveo della tradizione, riportando in vita un improbabile Palpatine e ha cercato di dare significato a un personaggio ridicolo e debole come Kylo Ren e soprattutto cercando di rendere più umana l’eroina, Rey. Per quanto riguarda il film mi limito a citare la lapidaria recensione di Yahoo!Entertainement: “The Rise of Skywalker non è un finale, né un reboot. Questo film è uno zombie”. Secondo Bloomberg, il film sarà quello con le peggiori recensioni mai avute da un film di Star Wars.

La domanda è: come si è arrivato a tanto? Come si è potuto tradire lo spirito di Lucas in questo modo? Per capirlo bisogna capire che questo film è la vittima di quella guerra, non stellare, da cui siamo partiti: la guerra tra la cultura woke e la cultura americana tradizionale, uno scontro che, nella politica statunitense corrisponde più o meno alla divisione tra democratici e repubblicani. La cultura woke, non sempre ben definita (niente a che fare con gli ewok di Guerre stellari) ha indicato negli ultimi vent’anni quell’insieme di posizioni che vanno dal politicamente corretto alla giustizia sociale, qualcosa di non troppo dissimile dalla figura dell’italiano radical chic. Essere woke ha assunto delle connotazioni negative associate alla tendenza delle classi ricche californiane di proporsi come modello di moralità. 

Insieme con l’acqua sporca, si butta anche il bambino. Dato che la cultura woke, a volte presentata ironicamente come composta di sjw (social justice warrior = combattenti per la giustizia sociale) ha difeso l’uguaglianza di genere, la integrazione culturale e sociale, molti di questi temi hanno finito con l’essere visti con sospetto dal grande pubblico soprattutto quando si è avuto l’impressione (spesso giustificata) che fossero usati strumentalmente dalle grandi compagnie mediatiche (prima fra tutte la Disney).

 

Facciamo un esempio. La Disney prende i diritti di Star Wars e decide, per apparire progressista e liberale, di inserire nella trama una eroina invece di un eroe, di dare l’incarico di generale dell’armata ribelle a una donna, di introdurre un personaggio femminile di etnia cinese per catturare il mercato orientale. Per non parlare di voler far coincidere tutti i ruoli maschili o con incapaci o con falliti o con cattivi (o tutte e tre le cose insieme). Tutto questo in modo del tutto indifferente alla logica della storia originale. 

Per dirla in modo sintetico, la saga di Star Wars della Disney è stata afflitta dall’uso strumentale degli ideali sociali che ha inevitabilmente ucciso l’anima della favola che George Lucas aveva creato in anni più liberi. 

 

 

La CEO della LucasFilm, Kathleen Kennedy, non ha fatto niente per evitare questa impressione. Si è fatta fotografare con magliette che dichiaravano “la forza è femmina”, si è vantata di avere assunto collaboratrici femminili solo per il loro genere e non per la loro competenza sulla saga. Lei stessa ha dichiarato con orgoglio che le sue collaboratrici “non avevano mai visto un film di Star Wars”. In questo modo la Kennedy ha dichiarato di aver voluto liberare Star Wars “dall’influenza negativa della mascolinità tossica” che, a suo dire, avrebbe afflitto la saga originale del suo mentore Lucas. Su internet è stata persino paragonata alla femmina dominante di una comunità di talpe glabre nelle quali la matriarca riesce a sottomettere e rendere sterili tutti i maschi della sua colonia.

 

Questo atteggiamento dei vertici Disney ha generato sulla Internet, vivaci reazioni che hanno trovato una camera di amplificazione nei Blogger e su Youtube e si sono poi raccolti intorno al tag #fandommenace: un gioco di parole tra il quarto film di George Lucas (La minaccia fantasma = The Fanthom Menace) e la minaccia di una comunità di fan non più amichevoli con la Disney In inglese fandom). 

È stato da manuale vedere come la Disney, che a Hollywood è una specie di regime sovietico di cui tutti hanno paura, ha reagito proprio con le armi tipiche di un sistema totalitario: cercando di denigrare gli oppositori. I media ufficiali (a volte mascherati come nel caso dei cosiddetti access media, ovvero quei giornalisti che fingono di essere liberi e invece pubblicano su sedi ufficiali presentando pareri di comodo) hanno attaccato chiunque su internet osasse denigrare le scelte della Disney. In questo modo i dissidenti sono stati dipinti dai media ufficiali nei modi più negativi: maschi sciovinisti, mascolinità tossica, razzisti, troll comunisti, misogini e chi più ne ha più ne metta. Secondo metodi che in Italia sarebbero definiti da “macchina del fango”, ogni parere avverso alla corporation è stata presentata come il prodotto di una mentalità misogina che non avrebbe accettato la presenza di forti personalità femminili. In realtà i fan volevano solo personaggi buoni e credibili a prescindere dal loro genere.

 

Imporre ruoli femminili per principio ha nuociuto alla consistenza narrativa e ha finito con il fare un pessimo servizio alla causa della parità di genere. Gli ultimi 5 anni sono stati un cimitero di film disastrosi dove l’imposizione ideologica ha distrutto il senso dei mondi immaginari di partenza per imporre scelte condizionate da un politicamente corretto ideologicamente condizionato. Faccio un brevissimo elenco: Ghostbuster 2016, Terminar Dark Fate, Doctor Who, Star Trek, Charlie’s Angels, James Bond No Time to Die. Che cosa hanno in comune? Che si tratta di film dove l’uguaglianza di genere è stata imposta a prescindere dal senso della storia, con risultati pessimi in termini di critica e botteghino. Al punto che in America si è diffuso il proverbio “get woke, get broke” (adotta la cultura woke e vai in rovina).

Queste forze, la cultura woke, un certo femminismo ideologico e misandrogino, la contrapposizione tra cultura d’elite e pancia del pubblico, si sono intrecciate in una sorta di tempesta perfetta che ha trovato nella figura di Kathleen Kennedy e nell’eroina Rey Skywalker il loro occhio del ciclone. Che problema c’è nel mettere al centro della saga una donna? Nessuno. Ci sono tantissime donne forti o fortissime che hanno fatto personaggi straordinari e amatissimi da tutti (maschi inclusi!). Una per tutte: Ellen Ripley nella saga di Alien, l’unico essere umano di cui anche gli alieni hanno paura! Purtroppo per Star Wars, Rey è una Mary Sue che procede nella trama grazie a una serie di Macguffin! Ma di che parlo? Una Mary Sue (a prescindere dal genere) è un personaggio che non ha bisogno di niente, che è sempre amato da tutti gli altri personaggi, che piega le leggi della logica e del suo modo per il proprio successo, che è sempre vincente. In altri termini, un personaggio che è lanciato come un sasso dall’esterno di un mondo fantastico e che crea intorno a sé onde che si propagano e si impongono arbitrariamente. Un Macguffin è un oggetto altrimenti inutile che viene introdotto nella trama per giustificare azioni e scelte dei personaggi. Facciamo un piccolo gioco se avete visto The Rise of Skywalker: quanti Mary Sue (Rey è già la prima) e quanti Macguffin avete visto? Per ognuno di loro togliamo un punto al voto del film (potete partire dai classici dieci punti!).

 

Voglio finire con una domanda: chi è il vero proprietario di una saga fantastica? La comunità che la nutre, vive, aspetta o la società che ne ha acquistato i diritti? Da un punto di vista legale, quest’ultima, ma da un punto di vista reale, sono i suoi fan che la mantengono viva. Una grande saga è come una religione. Senza i suoi fedeli non è nulla. La saga di Star Wars non vive nei diritti commerciali della Lucasfilm, ma nei cuori e negli occhi di generazioni che hanno, per un attimo, dimenticato le loro angustie quotidiane, e vissuto le avventure di un cavaliere Jedi in una galassia lontana. La Disney, comprando i diritti, non diventa la proprietaria di Star Wars, ma deve mettersi al servizio di questo mondo immaginario: ne può godere i diritti commerciali (tanti) ma non può tradirne lo spirito. E questa volta, Kathleen Kennedy ha fallito proprio perché ha tradito lo spirito di una favola che viveva nei cuori di tutti.

L’ultimo film della Disney sembra Star Wars, ha la colonna sonora di Star Wars, ha i personaggi di Star Wars, ma non è Star Wars. È uno zombie che pretende di essere Star Wars mettendo insieme pezzi dei precedenti film. È un mostro di Frankenstein rianimato con i soldi della Disney e ricucito insieme cercando di sfruttare opportunisticamente ideali sociali.

Tanto tempo fa, il maestro Yoda aveva detto a un giovanissimo Luke Skywalker: “Fai, o non fai. Provare non si può”. The Rise of Skywalker non ha fatto, anzi, ha fatto proprio male.

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