Speciale
Scene virtuali / Un oceano di voci
Il silenzio dei teatri chiusi nella capitale rimbomba nell’etere riverberando una molteplicità di voci. Il Teatro di Roma da ieri, venerdì 3 aprile, dà il via a Radio India, stazione radiofonica gestita ogni giorno dalle 17 alle 20 dagli artisti di Oceano Indiano, il progetto di residenze creative ideato da Francesca Corona, consulente artistica del Teatro India, lo spazio dello Stabile deputato alla sperimentazione di linguaggi e di nuove relazioni col pubblico. Con la chiusura per l’emergenza sanitaria dopo alcune settimane di riflessioni e confronti la programmazione annullata si è trasformata in un’originale stazione radiofonica liv, che si può seguire su www.spreaker.it e in podcast su Spotify e sui canali online del teatro. Gli artisti Fabio Condemi, Daria Deflorian, Dom-, Industria Indipendente, MK, Muta Imago, con molti ospiti, daranno vita a programmi di silenzi, sparizioni, dischi reali o immaginari, viaggi nelle rovine, audiopaesaggi, kamere speculative, evasioni, incontri con persone straordinarie e ordinarie, radiodrammi, musiche per danzare sfrenatamente, dediche, bagni di suono. Il palinsesto, in aggiornamento continuo, si leggerà sul sito del Teatro di Roma. I sei promotori ci illustrano il progetto.
Perché una radio
Francesca Corona, dopo le prime due settimane di quarantena ci ha convocati in una riunione su zoom (un programma per riunioni allargate online che prima nessuno conosceva e oggi viene usato per organizzare gli aperitivi a distanza). Guardando dritta dritta nella telecamera del computer ci ha rivolto la domanda che ognuno di noi, nel proprio intimo, si stava ponendo da giorni: e adesso?
Il programma di Oceano Indiano, il progetto residenziale del Teatro di Roma che coinvolge cinque compagnie (Fabio Condemi, Dom-, Industria Indipendente, MK, Muta Imago) doveva iniziare a metà marzo: venivamo tutti da mesi di industrioso lavoro e preparazione per qualcosa che all'improvviso non poteva esistere più e che non sarebbe mai più esistito nella forma che avevamo immaginato. Ci sentivamo orfani, non solo ognuno delle proprie singole progettualità, ma anche e soprattutto del sentirsi parte di un percorso comune, inedito, che ci aveva fatto passare un inverno vicini, in un luogo, il Teatro India che mai come allora, stava tornando ad essere epicentro di pensieri e azioni collettivi e comunitari.
Forse è proprio dovuto all'improvvisa mancanza di quell'intimità, di quel senso di impresa comune, che ognuno di noi, di fronte alla domanda di Francesca Corona, è riuscito a sconfiggere il proprio intimo rifiuto a immaginare alcunché di telematico. Credo di parlare per tutte e tutti se, in questo momento in cui le nostre case sono invase da informazioni e contenuti il cui senso e significato è interamente schiacciato sul presente, sentivamo come superfluo e ridondante qualsiasi tentativo di "portare" il teatro online.
Però. Però, come ci ha detto Daria Deflorian, quando si è aggiunta al gruppo di lavoro, era già da due settimane che non potevamo più essere artisti. Ridotti al rango di intellettuali, iniziavamo tutte e tutti a sentire quel vuoto di ascolto, quel vuoto di confronto diretto tra l'immaginazione e lo sguardo, che struttura il nostro fare quotidiano. Pensare alla radio è stato naturale. Già all'interno di Oceano Indiano esisteva il progetto di realizzarne una, una radio nomade che avrebbe seguito gli eventi dal vivo, per raccoglierne la testimonianza: gli eventi hanno soltanto accelerato qualcosa che sarebbe accaduto comunque, a un certo punto.
La radio riesce a mantenere il senso di una liveness, seppure in differita. La radio è l'ultimo, vero, mezzo di comunicazione intimo che esista. La radio la scegli, non ti viene addosso.
E così, identità artistiche profondamente diverse, riescono a incontrarsi in maniera inaspettatamente ricca e completa, proprio grazie al fatto che il terreno di incontro è inedito per tutti, e non appartiene a nessuno.
Noi da oggi andiamo in onda, desiderando già che quello che inizia ora possa continuare a esistere una volta che questi tempi di emergenza saranno passati. Ci saranno programmi ideati dalle singole compagnie e format condivisi; ci saranno ospiti lontane e lontani (lo siamo tutti oggi) nel tempo e nello spazio che vogliamo tornare a sentire vicine e vicini. Ci saranno parole, suoni, musiche, corpi e gesti. Un po’ come a teatro, insomma.
Non si tratta infatti di sostituirci a chi la radio la fa, l’ha sempre fatta, ma di rimanere quello che siamo, progettare nei termini in cui sappiamo progettare, confrontarci e a volte scontrarci con una dimensione collettiva del fare creativo “prendendo la forma immateriale” che questo tempo sospeso ci ha obbligato ad assumere. Ci è sembrato che questo potesse rispondere a due impulsi forti e opposti che ognuno di noi sente in questo momento: da una parte quello di accogliere questa mano sulla spalla che ci ferma e ci porta a rallentare e dall’altra quello di rafforzare la capacità di creare legami. Fin dalla prima riunione sulla piattaforma zoom ci è stato subito chiaro che il confine tra lavoro e vita si era ulteriormente frantumato, abbiamo festeggiato un compleanno, abbiamo osservato come eravamo vestiti più del solito, ci siamo mostrati le case. Vedere l’altro nello schermo in casa con il cappuccio in testa o avere un bambino come sfondo mobile, imparare uno dall’altro come cambiare in maniera digitale lo sfondo alla nostra figura casalinga che poteva improvvisamente essere nel deserto o in mezzo alle stelle è già stato un altro modo di progettare e di esprimere desideri o resistenze, o dubbi o necessità. Decidere in che orario trasmettere, per quanto tempo ci ha fatto raccontare uno all’altro come passiamo le giornate. Capire quanto fosse importante andare in diretta il più possibile ci ha dato la misura della nostra natura performativa che rivendica il tempo presente. Abbiamo scelto che alcuni programmi fossero a cura di tutta la redazione e non di un singolo autore per incrociare le competenze. E le non competenze, chiedendo o dando lezioni di montaggio audio via WhatsApp e scaricando programmi come Garage Band. Il programma delle Dediche è nato in una riunione, scherzando e raccontandoci cos’è stata per noi la radio da ragazzini, che cosa è per noi la radio adesso. Abbiamo anche stabilito da subito che Radio India sarebbe stato uno spazio aperto, non solo per gli ospiti e le ospiti, i collaboratori e le collaboratrici, i lettori e le lettrici che da subito abbiamo messo in campo, ma perché ogni settimana un artista avrà un’ora che potrà gestire come vorrà. Ogni riunione è stata lunga e sempre lievemente inconcludente, finita perché ha vinto la fame, perché altre riunioni online dovevano cominciare o perché qualcuno diceva: basta, non ce la faccio più, ci sentiamo. E subito dopo partivano messaggi più interni, appuntamenti per risolvere la questione dell’acquisto della piattaforma, domande sulla Siae, o pagine Excel con orari delle trasmissioni. Una valanga di vita che si è riversata nelle nostre case. E che si è trasformata in una decina di giorni in un primo palinsesto: sghembo, stranito e sospeso, come questi giorni qui.
La redazione di Radio India
Fabio Condemi, Daria Deflorian, Dom-, Industria Indipendente, MK, Muta Imago.