Resistenza e rinascita / Albert Uderzo, il padre di Asterix
Per capire la grandezza di Albert Uderzo, il disegnatore francese scomparso martedì all’età di 92 anni, non servono molte parole. Basta prendere una pagina qualsiasi di un albo di Asterix – la serie creata insieme a René Goscinny più di sessant'anni fa, si stima ce ne siano 375 milioni di copie in giro per le case del mondo – e cercare i molti disegni dove compaia un personaggio, apparentemente secondario, che non parla mai. Un cagnolino bianco, con la punta delle orecchie nere, inserito per scherzo in un’avventura del 1965, e che d’allora non ha più lasciato la coppia comica più nota del fumetto europeo. Quel minuscolo cane in genere occupa appena un angolo del disegno, di poco sporgente sopra lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra, eppure la sua presenza ha la capacità di illuminare l’intera tavola. Poche e precise linee lo caratterizzano, rendendolo estremamente mosso, espressivo e soprattutto necessario, un piccolo mimo, un coro in miniatura che accompagna l’azione.
Sono partito da Idefix non solo perché i miei occhi di lettore bambino cadevano come calamitati su di lui, mentre seguivo rapito le avventure del piccolo grande guerriero gallico e del suo enorme e impacciato amico Obelix, scultore di menhir, ma perché è proprio dalla vividezza dei particolari, visuali e letterari, che bisognerebbe entrare in quel tempio del disegno umoristico e del fumetto popolare, di cui Uderzo è stato certamente uno dei maggiori interpreti.
Nato sulle pagine del giornalino per ragazzi “Pilote” nel 1959 – dopo il fortunato incontro del destino tra Uderzo e Goscinny a Bruxelles, capitale del fumetto francofono e della ligne claire – fin dai primi albi Asterix mostra tutti gli ingredienti che ne decreteranno il successo. L’humor e il calembour, la ripetizione di efficacissimi moduli narrativi, e naturalmente il disegno, che diventa via via più ricco e denso, rimanendo sempre leggibile e pulito. Ritmo ed espressività sono il marchio di fabbrica di Uderzo, che riesce a riversare un’enorme quantità di particolari nelle vignette senza mai appesantirle, permettendo il dispiegarsi dell’enorme potenziale comico di Goscinny (il linguaggio in Asterix meriterebbe un trattato a sé, basti pensare alla difficoltà di traduzione che comporta). Pensiamo alle scene di battaglia, alle ciclopiche scazzottate tra Galli e Romani, alla ricchezza di paesaggi urbani e naturali, alla varietà di mezzi di trasporto, alla mille fogge di popoli e genti rappresentati con miracolosa leggerezza e coerenza dalla mano d’oro di Uderzo.
Del resto era uno dei pochi fumettisti in grado di passare senza problemi dal disegno realistico, nel quale si era fatto le ossa a partire dai quattordici anni, a quello umoristico, come testimoniano i volumi “Uderzo l'intégrale” pubblicati da Hors Collection. Un disegnatore che negli anni mitici era in grado di lavorare a più serie allo stesso tempo – prima di Asterix, sempre con Goscinny, ricordiamo Oumpah-Pah, giovane nativo americano che condivide con il più noto Lucky Luke l’ambientazione western – con ritmi di produzione impensabili (si dice dieci tavole alla settimana), quando ogni più piccolo ritardo avrebbe compromesso l’uscita nelle edicole dei seguitissimi albi.
Entrambi figli di quella terra d’immigrazione che è stata la Francia – di origini italiane Uderzo, cresciuto in una banlieue popolare di Parigi da genitori provenienti da la Spezia; di ascendenze ebraiche ashkenazite il poliglotta Goscinny, padre polacco e madre ucraina – non potevano che dare luogo ad un universo comico multiculturale, nel quale esorcizzare i conflitti, la miseria e le paure della guerra, da poco lasciata alle spalle. Entrambi riconoscevano l’influenza per la loro opera, oltre che del BD belga di Hergé, dell’animazione americana (Walt Disney e Topolino, ma anche Popeye e le sue scazzottate), come accadeva anche dall’altra parte del mondo ad Osamu Tezuka nella nascente industria dei manga. E proprio al tentativo di creare un proprio studio di animazione – non a caso chiamato Studios Idéfix – dedicheranno entrambi grandi e infruttuose energie.
Goscinny morì improvvisamente nel 1977, a soli cinquant'anni, stroncato nel cuore mentre era in ospedale ad eseguire dei test per controlli medici. Uderzo rimasto solo deciderà, tra mille polemiche, di portare avanti le avventure di Asterix nella doppia veste di disegnatore e sceneggiatore. Fino a ritirarsi definitivamente nel 2009, cedendo i diritti dei personaggi ad Hachette, che ne prosegue la pubblicazione con nuovi autori.
Facciamo fatica a comprendere oggi, che quel mondo è definitivamente tramontato, le vere dimensioni del fumetto popolare, la sua capacità di diffondersi e plasmare l’immaginario di un’intera nazione. Ma forse sarebbe più corretto dire dell’intera Europa, se consideriamo quanto gli innocui stereotipi sui quali Uderzo e Goscinny hanno giocato – l’orgoglio degli spagnoli, la rigidezza britannica, la sgangheratezza italiana... – fossero ciò che un continente prostrato dalla guerra e dal nazionalismo aveva bisogno per riconoscersi.
In una delle ultime interviste, Uderzo ricordava che un giorno, mentre camminava per strada con Goscinny, sentì un uomo chiamare il suo cane. “Asterix, vieni qui!”. “Bene, ci siamo detti io e René: di solito sono i bambini che chiamano i loro peluche col nome degli eroi dei fumetti. Asterix era entrato nel costume”. Tanto da raggiungere perfino lo spazio, dando il nome nel 1965 al primo satellite artificiale francese.
Malgrado la sua altezza, e in fondo la sua normalità, il piccolo gallo e il suo ancor più piccolo villaggio riescono a tenere sotto scacco l’intero esercito di Cesare. E se tutti ora abbiamo sopra di noi una forza soverchiante, contro la quale crediamo di non poter fare nulla, l’ironia, la leggerezza e la gioiosa irriducibilità di Asterix ci insegnano uno stile di resistenza e rinascita.