Il racconto della festa

11 Agosto 2014

“È una festa alla povertà”, dice il venditore di libri usati di via Vittorio Emanuele all'indomani del festino. “Non è una festa, ma il racconto della festa”, rincara la dose il mio amico Nicolò che, come me, assiste per la prima volta al festino di Santa Rosalia, da 390 anni momento clou del culto della fanciulla nata intorno al 1128 che secondo la leggenda e la devozione popolare liberò dalla peste Palermo nel 1624.

 

Come accade ormai da qualche anno, il festino – che cade nella prima metà di luglio, quindi in un'atmosfera anche meteorologicamente torrida – porta a galla le tensioni sociali di una città da molti definita come “in ginocchio”, in cui il centro storico cade letteralmente a pezzi e i lavoratori, o ex-lavoratori, protestano a margine della festa in faccia a una politica sprofondata nelle sue logiche di potere. Una terracotta dell'artigiano Vincenzo Vizzari rappresenta così la pupilla della città: seminuda, i lunghi capelli con cui viene rappresentata dall'iconografia tradizionale sparsi al vento, mentre con espressione angosciata ed esausta regge sulle spalle la città intera insieme alle sue macchine, alle sue strade e palazzi, al suo eterno caos.

 

La città pullula di turisti, e il clima è clemente. Sulla facciata della cattedrale, accanto ai quadri mobili che rappresentano la vita della santa, la pubblicità di un negozio di cellulari propone un'imperdibile promozione. La voce che introduce il festino ingiunge di non dimenticare il valore della festa (“la festa è parte di noi”) e racconta delle sessantuno donne che quest'anno per la prima volta nella storia del festino tirano il carro, peccato che il carro è brutto e spoglio mentre il cunto (il racconto) della vita della santa viene declamato in italiano da una voce scialba e poco comunicativa.

 

“Una voce settentrionale”, dice la mia amica Gilda, e così raggiungiamo subito il climax del disprezzo. La retorica sulle donne che trascinano il carro lungo l'antico Cassaro giù fino al porto e, in generale, sulle donne palermitane che reggono il peso di una società non certo tenera nei loro confronti, alle nostre orecchie suona consolatoria e vagamente stonata. D'altra parte la presenza del femminile si avverte eccome, visto che doppi della santa si intravedono un po' ovunque: sui carri, sulla tradizionale altalena appesa ai Quattro Canti, sul pallone aerostatico che accoglie la folla a Porta Felice, tra le ragazze del posto, di cui qualcuna indossa la classica coroncina a fiori.

 

Tra i notabili spicca il faccione del sindaco Orlando, che portò il festino a fasti mai più ripetuti, secondo la vulgata del luogo, mentre in questi tempi economicamente bui ogni euro speso per la festa sembra simbolicamente scippato a disoccupati e poveri che aspettano la casa, anche da anni.

 

In ogni caso il festino, che sia di alto o di basso profilo, è chiaramente una festa popolare che celebra la fascinazione palermitana per la donna, meglio se giovane e leggiadra. L'indomani, alla processione che accompagna le reliquie della santa a Piazza Marina, i membri delle congregazioni religiose della città, alcuni dei quali esibiscono meravigliose facce da malacarne, ripetono a voce bassa e con aria solenne le parole dell'inno religioso che celebra Rosalia di Sinibaldi come “rosa fulgida” e “fiore freschissimo”: una bella ragazza dunque, prima ancora che santa potentissima.

 

D'altra parte, non l'adorano solo i palermitani: Monte Pellegrino, sede del santuario, è luogo di culto anche per gli indiani Tamil, che hanno accolto la santa palermitana nel loro pantheon e l'hanno letteralmente ricoperta di doni, facendo a gara con gli abitanti del posto nel dimostrarle fedeltà e venerazione. Monte Pellegrino, su cui ogni 4 settembre settembre si svolge la festa che ricorda la morte della santa, è da sempre luogo sacro, visto che nell'antichità era sede di un culto punico dedicato a Tanit, dea della fertilità, e oggi accoglie sia i fedeli indiani che i palermitani che percorrono a piedi la salita che separa la città dal santuario, oltre che le coppie che col favore delle tenebre si giurano amore eterno davanti alla statua della santa, dato che Rosalia aiuta non solo gli appestati, ma anche gli innamorati.

 

Chi scrive ricorda chiaramente una notte in cui fece una promessa d'amore eterno ai piedi della statua di Monte Pellegrino, ma confida nel carattere indulgente della santa e nella sua comprensione, per non aver – ahimé – mantenuto la promessa.

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