Tatiana Rosenthal, alle origini della psicoanalisi 

27 Agosto 2024

Da Minsk a Berlino, da Zurigo a Vienna, da San Pietroburgo – che inizia la sua metamorfosi semantica e nel 1914 diventa Pietrogrado – a Mosca. Sono le tappe principali dell’esistenza di una giovane donna ebrea determinata a inseguire studi e passioni, consapevole di vivere “giorni fragorosi e feroci”, come sono quelli della guerra e della rivoluzione. Il nome di Tatiana Rosenthal, nata nel 1884 a Minsk, è rimasto sconosciuto a lungo, le tracce della sua opera sono state relegate in note a piè di pagina, come è capitato ad altre figure femminili che hanno fatto parte dell’avanguardia della storia della psicoanalisi. A Zurigo ha conosciuto Sabina Spielrein, si ipotizza che siano state anche compagne di stanza, il destino di entrambe è stato deciso dalle atrocità della Grande storia. Le vicende travagliate della psicoanalisi russo-sovietica appaiono comprensibili solamente se inserite nelle giravolte degli eventi politico-culturali.

Tatiana Rosenthal. Pioniera della psicoanalisi russa (a cura di Maria Zalambani e Leonid Kadis, Edizioni Ets, 2024) è la prima monografia che attesta non solo il suo lavoro di psicoanalista ma anche il suo impegno sociale con i bambini disabili e abbandonati nella Russia postrivoluzionaria. Maria Zalambani ricostruisce le peculiarità del contesto – è recente il suo Letteratura e psicoanalisi in Russia all’alba del XX secolo –, mentre lo psicoterapeuta di San Pietroburgo Leonid Kadis ha condotto un’accurata ricerca negli archivi a caccia di testi e documenti che confermassero la sua poliedrica attività.

È durante il cosiddetto Secolo d’argento della cultura russa, tra la fine dell’Ottocento e la fine degli anni Venti quando si imporrà il realismo socialista, in un periodo frenetico dal punto di vista artistico e filosofico, che si leggono e diffondono le opere di Freud il quale, in una lettera a Jung del 1912, scrive: “in Russia (a Odessa) imperversa un’epidemia locale di psicoanalisi”. 

La società russa di fin-de-siècle ha paura dei “microbi della mente”, le Grandi riforme hanno trasformato la collettività, la famiglia si individualizza; psichiatri, psicologi e criminologi si interrogano sulla psicologia delle masse, il metodo psicoanalitico pare adatto a curare il disagio mentale del popolo. Le avanguardie artistiche creano nuove forme espressive: la ricerca di linguaggi rimanda all’indagine dello spazio interiore e alla scoperta dell’inconscio. “In una società letteraturocentrica come quella russa – afferma Maria Zalambani –, dove da secoli la letteratura ingloba e domina le altre discipline, (…), la psicoanalisi con le sue narrazioni, i racconti dei pazienti e lo stile letterario dello stesso Freud, si associa nella mente del pubblico al discorso letterario”. Parlare attraverso la letteratura è anche un modo per divulgarla e attribuirle autorità. È proprio quello che farà Tatiana Rosenthal con due testi originali e tuttora significativi. 

“L’età pericolosa” di Karin Michaëlis alla luce della psicoanalisi, pubblicato nel 1911, interpreta con categorie freudiane un libro di grande successo, molto dibattuto, uscito l’anno prima – una versione sintetica è apparsa in Clinica poetica, Rivista di psicologia analitica, numero 31, 2011. La protagonista, Elsie Lindtner, a quarantadue anni vicina alla menopausa, decisa a uscire di scena prima di invecchiare, si rifugia in una villa isolata su un’isola deserta. La sua fuga nella solitudine, la separazione dal marito, il trasporto per un uomo più giovane, l’impossibilità di soffocare il desiderio sessuale, le fantasie autoerotiche e le tendenze omosessuali risultano scandalose per l’epoca. 

“Oggetto del nostro studio è il diario di Elsie Lindtner, la sua autoanalisi”, scrive Tatiana Rosenthal, che ripercorre l’infanzia e la giovinezza dell’autrice e le mette in rapporto a diverse personalità femminili della sua opera. “Il giudizio di Elsie sul suo passato è severo; tuttavia vi è in esso una piccola aberrazione psicologica. (…) Lei non prende in considerazione l’influenza inconscia dei suoi complessi sui suoi sentimenti e sulla sua volontà. (…) Non sono stati né il pensiero cosciente, né la volontà cosciente a determinare il carattere delle reazioni di Elsie verso l’ambiente circostante, ma il carattere inconscio della sua vita affettiva, le cui radici, nell’ambito della nostra analisi psicologica, abbiamo visto risalire all’affettività infantile e alla costellazione genitoriale”.  

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Tatiana Rosenthal entra in relazione con il personaggio di Elsie come se fosse una sua paziente, legge L’età pericolosa come il racconto di un caso, adotta un procedimento non troppo dissimile da quello di Freud con la Gradiva (Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen, 1906).

È curioso che anche Melanie Klein, in un testo del 1929 intitolato Opera d’arte come cura, scelga un altro racconto della scrittrice danese Karin Michaëlis per descrivere un processo di creatività femminile. Lo spazio vuoto è la storia di una donna ricca e indipendente, sottilmente depressa. La sua melanconia si riflette in un buco sulla parete. Per colmarlo si mette a dipingere un quadro che rappresenta una donna anziana, un gesto che la porterà a diventare una pittrice.

L’altro testo nel quale Tatiana Rosenthal applica la psicoanalisi alla letteratura è Sofferenza e creatività in Dostoevskij. Uno studio psicogenetico apparso nel 1919. Nel saggio si azzarda per la prima volta l’ipotesi che l’epilessia di cui soffriva lo scrittore non fosse di tipo organico ma isterico. “Quando non si verifica epilessia vera e propria, i turbamenti interiori influiscono sulla comparsa degli attacchi. In tal caso si osservano i seguenti sintomi psichici: estrema irascibilità, cambiamenti d’umore patologici, stati di angoscia e di obnubilazione della coscienza accompagnati da senso di colpa e, alle volte, da allucinazioni”. Anche Freud, in Dostoevskij e il parricidio, uscito nel 1927, afferma: “Ora, è oltremodo probabile che questa cosiddetta epilessia fosse soltanto un sintomo della sua nevrosi, e che per conseguenza essa debba venir classificata come isteroepilessia, ossia come una grave forma di isteria”. 

Ma Freud, sempre preoccupato di mantenere la proprietà intellettuale delle sue idee, non cita il testo di Tatiana Rosenthal. Eppure l’aveva conosciuta, anche lei faceva parte della Società psicoanalitica viennese – in una lettera del 1911 ad Abraham parla di una loro breve corrispondenza. Forse, in questo caso, la sua omissione è dipesa anche dalla critica, contenuta nel testo, al “monismo psicosessuale di Freud, che funge da forza motrice del processo artistico, non regge né dal punto di vista teorico, né da quello pratico. (…) L’idea che la genesi dell’arte sia solo di tipo sessuale è assolutamente falsa”. Lo scritto della psicoanalista è particolarmente acuto nell’indagare le connessioni possibili tra la personalità dello scrittore russo e la sua capacità di creare tipi umani tormentati da parti scisse e doppie: tratti che gli permettono di identificarsi con figure di santi e di criminali.

Tatiana Rosenthal. Pioniera della psicoanalisi russa termina con due inediti, la Relazione sull’educazione sessuale infantile (1919), proposta di un modello di educazione sessuale che unisce tradizione e innovazione, e la Psicoanalisi nella pedagogia medica (1920), tentativo di utilizzare il metodo psicoanalitico in una istituzione medico-pedagogica statale. 

Anche l’asilo psicoanalitico di Mosca, primo esperimento di educazione infantile su basi psicoanalitiche – per un breve periodo vi lavora anche Sabina Spielrein, la si vede in alcune sequenze del film Prendimi l’anima –, che continuerà l’attività fino al 1918, conferma l’incredibile dinamicità dei primi anni della rivoluzione.

Lentamente, ma inesorabilmente, ogni pensiero critico diventerà eretico, il dibattito tra freudismo e marxismo sfocia in una condanna della psicoanalisi composta, last but non least, da troppi intellettuali ebrei. L’uomo nuovo non ha il tempo di formarsi e di crescere, lo stato sovietico gli riserverà un trattamento spietato e crudele. 

Il 6 gennaio 1920, in modo inaspettato e inspiegabile, viene arrestato per abuso, speculazione e concussione Michail Rozen, marito di Tatiana. Ricopriva cariche amministrative, dirigeva istituzioni che gestivano le cooperative di consumo, faceva parte della Sezione culturale del Soviet della comunità ebraica di Pietrogrado. Tatiana Rosenthal cerca di mantenere il suo lavoro e di occuparsi del figlio Adrian, ma non riesce a salvare il marito ritenuto innocente anche dai suoi collaboratori, condannato ai lavori forzati. In condizioni materiali sempre più difficili, esausta e indebolita finisce in una clinica psichiatrica. Lo stato psichico si aggrava: il 15 aprile 1921 si toglie la vita. “La morte di Tatiana è un atto strettamente individuale, – conclude Leonid Kadis – seppur realizzato in una situazione socio-politica ben definita. La sua fine è il risultato di un insieme di fattori: l’arresto e la detenzione del marito, l’infrangersi delle sue speranze, la delusione rispetto agli ideali giovanili, l’interruzione obbligata del lavoro da lei tanto amato, la tubercolosi e, infine, la carestia a Pietrogrado”. 

All’inizio degli anni Trenta la psicoanalisi entra in clandestinità, i testi circolano in modo sotterraneo, la liberalizzazione arriverà con la perestrojka, ma non è facile cambiare la forma mentale di una cultura dove l’io deve essere sempre sussunto da un noi. Dopo la caduta dell’Urss sarà di nuovo importante la sua dimensione di pratica sociale. Oggi con la guerra in Ucraina la psicoanalisi russa rischia di nuovo di rimanere stritolata dal conflitto di quello che si riteneva essere est e di quello che si riteneva essere ovest.

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