Schisi. Una collana di ebook / La chiocciola e la spirale
Nella creazione del programma culturale di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, ampia attenzione è stata data alla relazione tra l’Arte e la Scienza con l’individuazione di un tema specifico. Il tema Futuro Remoto rappresenta una riflessione sul rapporto millenario con lo spazio e le stelle; un rapporto che, ripercorrendo anche i passi di Pitagora, uno dei residenti più illustri della Regione Basilicata, esplora l’antica bellezza universale della Scienza. Si mettono a confronto pratiche antichissime con modelli di vita fruibili, capaci di influenzare le idee di cultura e di sviluppo dei prossimi decenni provando a rispondere all’annosa domanda: C’è una schisi tra Arte e Scienza, una separazione e una distanza tra le due? Le dimensioni principali del fitto rapporto tra Arte e Scienza di cui ci occupiamo sono: l’Arte e la Scienza come prodotti dell’evoluzione biologica e culturale; l’Arte e la Scienza come fonte reciproca di ispirazione; l’Arte come canale significativo della comunicazione della Scienza.
Matera 2019 Capitale Europea della Cultura e Doppiozero hanno creato, a sostegno dei progetti del programma culturale, una piccola collana di cinque e-book denominata Schisi, curata da Agostino Riitano; la collana nasce dalla convinzione che sia possibile tracciare una rotta tra le scienze umane e le cosiddette scienze esatte, quel passaggio a Nord-Ovest che, come ci ricorda il filosofo ed epistemologo Michel Serres, cercavano gli esploratori un secolo e mezzo fa tra i diversi continenti in luoghi estremi.
Gli ebook contengono saggi di cinque autori che rivolgono la loro attenzione agli aspetti interdisciplinari e si segnalano per la capacità di coniugare il rigore delle loro argomentazioni e una particolare cura alla leggibilità dei testi.
La «scienza» non è un moloch minaccioso – un enorme blocco monolitico di conoscenze, o addirittura, secondo alcuni detrattori radicali, di semplici credenze –, e neppure un luna park – le cui meravigliose curiosità ci fanno ritornare bambini. Come ha scritto la filosofa Susan Haack, la si può considerare, in prima approssimazione, come «una confederazione di diversi tipi di indagine (inquiry)», in continua metamorfosi, alla cui base stanno ipotesi, esperimenti quantificati e falsificabili e ragionamento (deduttivo, induttivo e abduttivo). Ma non è tutto qui. Il variegato insieme delle discipline scientifiche è integrato senza soluzione di continuità nel ben più vasto mosaico costituito dal complesso di tutte le attività culturali tipiche della specie Homo sapiens. Le cornici concettuali, o, se si preferisce, le strutture mentali – le «metafore» e i frames teorizzati da George Lakoff – attraverso cui vediamo il mondo sono l’esito di processi plurisecolari di stratificazione, di mutuazione e di ibridazione, che nessuna barriera geografica, linguistica o genericamente ideologica è in grado di arrestare. Né la matematica, né la fisica, né la chimica, pur essendo – è indubbio – forme di sapere e «pratiche» altamente specializzate, costituiscono territori in sé conchiusi, possesso esclusivo di conventicole di specialisti: al contrario, continuano a modificare non solo i loro confini ma anche la loro morfologia interna, e si mantengono in interazione continua con il resto delle attività conoscitive, humanities comprese.
Facciamo un esempio. Nell’aprile 2019 ha avuto vasta eco la notizia che gli «scienziati», usando i dati raccolti da una rete di otto telescopi, sono riusciti a catturare l’immagine di un buco nero, situato al centro della galassia M87, a 55 milioni di anni luce dalla Terra. Ai peana degli astrofisici alcuni hanno reagito con indifferenza, altri con un “Oh!” di stupefatta meraviglia. Se però non ci si accontenta di restare alla superficie delle cose, l’ormai celebre immagine – che non è una fotografia, ma una ricostruzione di computer graphics, e non riproduce un buco nero, ovviamente, ma una regione del cosmo più estesa dell’intero sistema solare – può essere fatta oggetto di considerazioni storiche (la relatività generale è stata formulata da Einstein oltre un secolo fa), o fisico-matematiche (nella descrizione di un buco nero è necessario usare insieme relatività generale e meccanica quantistica, due teorie inconciliabili), o epistemologiche (stiamo parlando di un oggetto fisico o di una singolarità dello spazio tempo?). E ancora. Il buco nero è stato battezzato Powehi, una parola hawaiana che significa (più o meno) «oscura e aggraziata sorgente di creazione senza fine» ed è tratta dal canto cosmogonico Kumulipo, le cui origini risalgono almeno al XVIII secolo – gli indigeni lo intonarono quando James Cook approdò alla loro isola nel 1779. Ebbene, si potrebbe argomentare che l’astrofisica di oggi, per quanto robustamente ancorata a teorie fisiche ben consolidate, mantiene, in una certa misura, una vocazione speculativa, che la connette all’antichissima tradizione dei «racconti della creazione», dal Genesi al Popol Vuh, dalla Teogonia esiodea alle Cosmicomiche. L’immagine del buco nero nella galassia M87, insomma, si può decodificare soltanto attraverso una fitta rete di riferimenti incrociati.
Ha osservato George Steiner, nel suo saggio In Bluebeard’s Castle, che «l’assenza della storia della scienza […] dai programmi scolastici costituisce uno scandalo». Ancora più scandalosa è la desolante piattezza culturale che contraddistingue, nella maggior parte degli istituti di istruzione secondaria superiore, l’insegnamento della matematica, della fisica, delle «scienze naturali» (proprio così, questa denominazione arcaica esiste ancora!). Queste materie sono per lo più presentate – salvo che in poche, lodevoli eccezioni, merito di docenti controcorrente e competenti – in modo acritico e aproblematico, e senza mai istituire alcun collegamento con la filosofia, la letteratura, la musica, le arti figurative. Come possono gli allievi capire idee (idee, sottolineo, non rinsecchite definizioni manualistiche!) come quelle di numero, di spazio e tempo, di funzione, di energia, di dimostrazione, di misura, eccetera, se si azzerano profondità concettuale e prospettiva storica? A livello universitario, d’altronde, la situazione appare, se possibile, ancora più fosca. Nell’insensata suddivisione in «settori scientifico disciplinari» che contraddistingue l’accademia italiana – una minuta parcellizzazione del sapere in oltre 300 feudi di potere baronale – anche la storia della scienza ha, naturalmente, il suo angolino, ma davvero piccolo, quasi insignificante: il corso, salvo errori, non è considerato come obbligatorio in nessun curriculum di studio. Da una parte, infatti, nelle aule universitarie italiane, le discipline scientifiche sono presentate in una prospettiva quasi esclusivamente tecnica, evitando di toccare spinose questioni di metodo o di sollevare fastidiosi interrogativi epistemologici e tralasciando di stabilire collegamenti con altri ambiti dello scibile. Dall’altra, nell’insegnamento delle discipline storiche e filosofiche si ritiene troppo spesso di poter prescindere dagli aspetti legati allo sviluppo delle scienze e delle tecnologie, quasi fossero, questi, fattori secondari e non, invece, in molti casi rilevanti, la chiave per arrivare al nocciolo della questione.
Modificare la concezione diffusa e distorta di «scienza» non ha soltanto, ritengo, una rilevanza teorica. È essenziale nella pratica, per riuscire ad affrontare in modo efficace alcuni dei problemi più urgenti della nostra epoca – per esempio, il cosiddetto «riscaldamento globale», o la tirannia dei big data –, per i quali manca, innanzitutto, un linguaggio condiviso per intavolare la discussione.
Indice
Premessa
Comunicare la scienza
Il mondo è matematico?
Alle origini del mito di Einstein
Il tempo cosmico da Einstein a Gödel
«Dimenticare differenze»
La chiocciola e la spirale
La dimensione più misteriosa
La bellezza della matematica
Una genialità bicefala
Schisi. Collana a cura di Agostino Riitano.
Prodotta da Matera 2019 Capitale Europea della Cultura e Doppiozero.
Vai alla Libreria di doppiozero (qui il link diretto per scaricare questo ebook).