Franco Fortini / Italia 1942
Il secondo dopoguerra si apriva con un convinta ripresa della poesia civile, nella quale ricorre assiduo, suffragato da profonde istanze di rinnovamento, il tema “Italia”[1]. Italia 1942 spicca nella raccolta d'esordio di Franco Fortini, Foglio di via (1946): in questa poesia la nazione può essere riconosciuta come una patria da amare non più per le vestigia del passato – e qui vengono in mente “le mura e gli archi / e le colonne e i simulacri e l'erme / torri degli avi nostri” di Leopardi – né, “per la voce / dei tuoi libri lontani”, ma per la “pena presente”, per la comunità di uomini liberi, di compagni che la popola, con cui ritrovare “parole tessute di plebi” e parlare la lingua dell'avvenire: come per Dante, così per Fortini una comunità si fonda (si rifonda) anche su una lingua condivisa.
Ora m’accorgo d’amarti
Italia, di salutarti
necessaria prigione.
Non per le vie dolenti, per le città
rigate come visi umani
non per la cenere di passione
delle chiese, non per la voce
dei tuoi libri lontani
Ma per queste parole
tessute di plebi, che battono
a martello nella mente,
per questa pena presente
che in te m’avvolge straniero.
Per questa mia lingua che dico
a gravi uomini ardenti avvenire
liberi in fermo dolore compagni.
Ora non basta nemmeno morire
per quel tuo vano nome antico.
Edizione di riferimento: F. Fortini, Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Torino, Einaudi, 1978.
[1] Sulle sue occorrenze nel Novecento letterario cfr R. Luperini, Letteratura e identità nazionale: la parabola novecentesca, in R. Luperini e D. Brogi (a cura di), op. cit., pp. 7-34.