Furio Jesi. Mito, violenza, memoria
Anticipiamo un brano dal nuovo libro di Enrico Manera, Furio Jesi. Mito, violenza, memoria, Carocci editore.
Attraverso la figura di Jesi, storico delle religioni, mitologo e giornalista, Enrico Manera analizza il recente dibattito sul mito, nel suo indissolubile legame con la politica e con la costruzione delle identità delle società moderne.
Leggi la quarta di copertina.
Furio Jesi è stato uno studioso dalla straordinaria varietà di interessi, capace di ibridare discipline e di intrecciare problemi apparentemente distanti grazie a un’erudizione profonda, un’intelligenza sottile e una scrittura formidabile. [...]
Nello studio del mito Jesi è una luminosa meteora che emerge per originalità di stile e di impostazione ed è al tempo stesso una cerniera tra gli studi legati a un umanesimo classico – Pettazzoni, Kerényi, Jung, Cassirer – e la ricezione in tempo reale di una nuova cultura, tra tutti Dumézil, Lévi-Strauss, Benjamin, Barthes. La costante che solca un’opera eterogenea per temi e soggetti donandole organicità e coerenza è la scienza della mitologia, o meglio la sua critica; questa, culminata nell’originale proposta della «macchina mitologica», alimenta l’intera produzione jesiana permettendole di muoversi in un territorio di sorprendente vastità. Spostando l’attenzione dal mito, concepito come una sostanza oggettivabile, alle forme mitologiche e alle modalità testuali di produzione di materiali mitologici, Jesi ha indagato il rapporto tra sapere e potere nel quadro di una filosofia del linguaggio: finzioni, miti, luoghi comuni sono entità dotate di un’esistenza nell’immaginario che non di meno alimenta pratiche diffuse e produce conseguenze reali, inserite in contesti storici pregni di interessi di ordine materiale e politico. Una simile ontologia della finzione è anche una teoria critica della cultura, perché interroga ciò che prima facie si presenta come naturale, eterno e dotato di legittimazione sacrale per mostrare cosa – uomini e idee, valori e presupposti – lo ha prodotto.
‘Mito’ è il nome di una rete intricata di strutture portatrici della memoria, solo apparentemente ovvia, ma che si rivela invece all’analisi filosofica essere ricavata per contrasto proprio dall’assenza di ciò che il termine designa: un mito come sostanza extraumana e extratemporale che non è mai possibile conoscere veramente come tale. Se per lungo tempo la filosofia ha pensato il mito come superstizione infantile e irrazionale, la riflessione contemporanea gli ha restituito una più ampia portata di significato e lo ha concepito come il frutto di una logica sui generis ma pur sempre prodotta dalla ragione. È sempre la razionalità, indagabile solo attraverso se stessa e nelle sue manifestazioni storiche, a essere in questione quando si parla di mitologie.
Jesi ha cercato di rispondere alle domande poste dall’intersezione di antropologia, storia delle idee e filosofia a sincrono con quanto succedeva nella riflessione contemporanea europea. Dopo aver abbandonato negli anni sessanta lo studio del mondo antico per dedicarsi alle interferenze tra mito, letteratura e politica nella cultura mitteleuropea, ha mostrato come la scienza del mito ne riveli la funzione di coesione comunitaria nel momento della sua difettività, quando cioè essa nell’età moderna del disincanto del mondo e della secolarizzazione, con la «morte di Dio», viene a mancare. Ciò che del mito è delineabile, con il tratto leggero di uno schizzo a matita che non ha la presunzione di essere scienza esatta, è allora la «macchina mitologica» che lo produce e che insieme produce se stessa.
La filosofia della mitologia di Jesi ha una funzione essenzialmente strategica di smascheramento e di demistificazione volta all’emancipazione in senso politico: decostruendo gli elementi di un meccanismo linguistico, logico e narrativo che produce le verità del potere e delle classi dominanti e le esibisce nel ‘mito’ (e in ogni mito), egli ha partecipato di una più generale cultura figlia della crisi della metafisica del secondo dopoguerra e poi dell’atmosfera post-strutturalista dai tardi anni sessanta, caratterizzata dalla riformulazione del marxismo. Rifiutando di pensare le categorie centrali della cultura in termini di ‘sostanza’, Jesi si rivolge a testi, immagini e scrittura attraverso una critica che si interroga, oltre che sul loro specifico contesto, sulla loro più generale capacità di generare significati: sul come della loro invenzione, con un movimento che ha i tratti del gioco di scomposizione dei materiali con cui il sistema della realtà si è eretto. Lo sguardo filosofico che Jesi ha gettato sul mito è principalmente un’analisi del plesso sacro-potere-letteratura e della ragione che si rispecchia in esso: oltre alla messa in luce di rilevanti momenti della storia delle idee è una riflessione sulla cultura stessa nelle sue accezioni più ampie. I suoi studi hanno una forte impronta antropologica che scopre la carsica presenza della sfera mitico-sacrale tanto nella cultura alta quanto in quella popolare e underground.
Mitologia e sacralità, persi i loro tratti classici e tradizionali, continuano a innervare le pratiche sociali della contemporanea civiltà dell’immagine: musica, letteratura, arti, ma anche la ricerca di stati di coscienza alterati, la proliferazione di tecniche di cura del corpo, la dimensione pubblica della scienza e della tecnologia, i saperi condivisi che costituiscono il senso comune, la politica spettacolare e carismatica, l’economia come dogma. La mitopoiesi, la produzione continua di nuovi e diversi miti, è un fattore elementare della costruzione che gli uomini fanno dei loro mondi nel tempo; vero illuminismo è quello che, riconoscendo l’inemendabile presenza di miti nella vita umana, è capace di criticarne gli aspetti disumani e negativi per la giustizia sociale.