Il terzo paesaggio / Guaritori, antiche ricette, riti e formule
A settanta anni dalle ricerche dell’antropologo Ernesto De Martino, una squadra di documentaristi radiofonici e fotografi parte alla ricerca di ricette, riti e formule di guarigione nell’Italia del nuovo millennio. Il risultato è racchiuso in una piattaforma multimediale: Il terzo paesaggio.
Forse devo iniziare dichiarando che ho vaccinato le mie figlie... Ero un poco nervosa, prima di entrare nello studio di registrazione. Ospite di un programma radiofonico, mi avevano invitato per presentare i risultati di una ricerca che ha coinvolto me e una squadra di documentaristi e fotografi per circa due anni. Un viaggio sulle tracce di chi conserva antiche ricette, riti e formule di guarigione per curare i mali più disparati, dalla sciatica alle storte, passando per i vermi e il fuoco di Sant'Antonio. Per mesi abbiamo incontrato uomini e donne detentori di conoscenze che da oltre duemila anni si tramandano quasi esclusivamente con il passaparola: riti realizzati con una ciotola d’olio, una fede, una pianta, o con parole e cantilene, recitate in segreto e a voce sussurrata.
Dalla Val d’Aosta alla Campania, abbiamo ascoltato testimonianze, registrato voci, fotografato luoghi e paesaggi. Ma dopo ogni trasferta, a fronte di una scoperta o a seguito di un nuovo incontro, di ritorno nella mia città, Roma, sono stata costretta ad alzare lo scudo davanti alla platea degli scettici. Uno dei miei più cari amici mi ha sciorinato per ore i benefici dell'antibiotico, mio fratello mi domanda ancora stizzito se penso di andarmene a lungo fuori città per "intervistare i santoni", poi nasi arricciati e spalle voltate da amici e colleghi, distanti e a volte quasi disgustati.
Forse devo iniziare dichiarando che ho vaccinato le mie figlie, rimuginavo perplessa in attesa nel corridoio della radio. L’antropologo Tullio Seppilli, uno degli studiosi più attenti e profondi del tema della guarigione popolare in Italia, discepolo di Ernesto De Martino, sosteneva che non ha senso mettere a confronto le due medicine, quella scientifica e quella popolare, ma che è possibile semplicemente allargare lo sguardo della prima medicina attraverso la sola osservazione della seconda. La scienza ormai ha gambe così forti che potrebbe permettersi di guardare ai fenomeni “magici” e rituali per rafforzare alcuni meccanismi che facilitano processi di auto-guarigione. D’altronde, i riti e le formule volte a sanare i mali che abbiamo incrociato nel corso della nostra indagine sono esistiti in epoca pre-cristiana, sopravvissuti al Medioevo e giunti sino all’età contemporanea, trasformandosi, nascondendosi quando necessario, attualizzandosi, riformulandosi, ma tenendo vivi contenuti e finalità. Così nel 2018, quando abbiamo ricucito tutti i pezzi e della nostra indagine, è emerso davanti ai nostri occhi un quadro di un fenomeno vivace e diffuso in tutte le regioni italiane. Perché questo accade in un’epoca in cui non esiste zona rurale che non sia collegata a città, ospedali e presidi medici? Perché questa realtà sussiste anche quando ormai per tutti è solo un’alternativa?
Mi sono seduta nella sala di registrazione e d’istinto sono partita dall’inizio. Abbiamo mosso il nostro primo passo all’interno della più antica farmacia d’Europa, la spezieria di Santa Maria della Scala, a Trastevere, nel cuore di Roma. Lì, in un’antica botte di ottone, marmo e legno, è contenuto l’ultimo residuo al mondo della Teriaca. Ideato da Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, il preparato è composto da cinquantaquattro elementi, miscelati rigorosamente in pubblica piazza il 21 giugno di ogni anno, una panacea contro tutti i mali che Nerone beveva ogni notte per scongiurare l’effetto di un eventuale avvelenamento. Tra olio, aceto e anice, galleggiavano rondelle di carne di vipera femmina, pepite d’oro, foglie di genziana e resina d’oppio. È lì, con la testa immersa in quella botte, che ci siamo chiesti come sia stato possibile che una ricetta del genere fosse potuta giungere sino a noi. La risposta non è semplice, di bibliografia a riguardo non ce n’è molta, eppure ancora qualche carmelitano sarebbe in grado di riprodurre una Teriaca originale e padre Ivan, che ci ha guidato all’interno della spezieria trasteverina, ha raccontato che sino agli anni ’50, quando il laboratorio era ancora in funzione, papi, vescovi e aristocratici compravano il composto. Su quale ricetta si basavano gli speziali carmelitani?
Ci sono appunti su fogli di carta consunti e proporzioni segnate a inchiostro nero su vecchi erbari sgualciti, ma soprattutto c’è stato e c’è ancora un tramando orale da maestro a discente, un passaparola millenario che ha traghettato questa conoscenza da Andromaco il Vecchio sino al nuovo millennio. Una volta sfilata la testa dalla botte, una curiosità aveva ormai scavato dentro di noi come un tarlo: quante donne e uomini conservano ancora conoscenze, ricette, riti non scritti? Chi sono? Dove vivono? Come agiscono nell’era digitale?
Ci siamo affidati all’intuito. Abbiamo seguito una serie di indizi, che ci hanno permesso di raccontare sei storie. Per farlo, abbiamo utilizzato un registratore audio, per restituire attraverso la voce le testimonianze e le conoscenze giunte sino a noi proprio attraverso la parola, mentre tre fotografi professionisti ci seguivano per immortalare luoghi, persone e tracce del nostro percorso. Il primo indizio, la botte di Trastevere, ci ha catapultati in Val d’Aosta, dove da cinque anni un centro di documentazione e ricerca scientifica cataloga e rende visibili al pubblico gli antichi rimedi di guarigione del territorio. Si chiama Maison des Anciens Remèdes ed è l’unico luogo istituzionale in Italia a lavorare in questa direzione. Al piano terra della casa-museo, abbiamo visto un film: una delle protagoniste era una vecchina di novanta anni, esperta di erbe e fitoterapia, ma non solo: la donna è nota per alleviare i dolori post-operatori recitando alcune preghiere segrete e le richieste le arrivano numerose, anche al telefono. È da quel dettaglio, quell’apparecchio in soggiorno che ha preso a squillare nel corso delle riprese del documentario, che ci siamo mossi per la nostra seconda avventura.
Abbiamo scoperto che in Emilia Romagna ci sono guaritori del fuoco di Sant’Antonio che oggi agiscono anche al telefono. Le pratiche sono diverse: Valerio, un giovane di trenta anni, utilizza una fede benedetta, Maria Rita fa alcuni nodi con dei lacci e Monica, contadina di quaranta anni, si avvale di una ciotola d’acqua; tutti i nostri intervistati lavorano anche in remoto: gli si manda la foto della piaga su WhatsApp e la posizione geografica dove ci si trova. E i guaritori si orientano. Maria Rita, Valerio, Monica fanno anche parte di un gruppo Facebook – “guaritori e guaritrici di campagna” – a cui aderiscono da ogni parte d’Italia. Le regole sono poche ma rigide: chi pratica deve farlo gratuitamente, le formule non vanno rivelate a nessuno se non a chi si vuole passare il “dono” (passaggio che può avvenire solo la notte di Natale) ed è proibito non accettare le richieste di malati. Così spesso i guaritori si trovano a praticare anche a tarda notte. Quando siamo stati a Cancelli, una frazione di Foligno abitata ormai da un solo uomo, Maurizio Cancelli, il cellulare del nostro intervistato è squillato più volte. Nella cappella dove Maurizio cura la sciatica, grazie a un dono che la sua famiglia ha ricevuto dagli apostoli Pietro e Paolo, sono evidenti i segni di una storia che affonda le radici nel primo secolo dopo Cristo. L’importante è la fede, dice Maurizio, e le parole fanno eco nella cappella tra stampelle e doni per grazia ricevuta.
Quel giorno, nello studio radiofonico, non ho parlato dei vaccini delle mie figlie. Non ho alzato nessuno scudo. Ho fatto ascoltare la voce di una guaritrice, che consiglia di prendere l’antivirale se la sua pratica non funziona, e poi la testimonianza di Francesco, uno sportivo amante della scienza che insieme alla sua squadra si affida a un “aggiusta ossa” per storte e distorsioni. E ancora, ho chiesto di trasmettere un estratto dell’intervista al dottor Schianchi, un medico di medicina generale che ai suoi alunni parla delle pratiche dei segnatori e delle segnatrici del fuoco di Sant’Antonio della bassa emiliana, perché da loro possiamo imparare che “la migliore medicina è il terapeuta e la sua fede nel processo di guarigione”. Lo scriveva anche Carl Gustav Jung, tra i suoi principi di psicoterapia pratica: “tutto dipende dal metodo nel quale il terapeuta crede; la sua fede nel metodo è determinante. Se crede davvero, farà seriamente e costantemente per il malato tutto quanto sta in lui”.
Dopo la botte e il telefono abbiamo seguito la scia di una Ford Escort Verde, il luccichio di due anelli, una bottiglia d’acqua e le fronde di un albero di noce. Il risultato è un progetto che abbiamo chiamato “Il terzo paesaggio”, una definizione presa in prestito da Gilles Clement, scrittore giardiniere che definisce “terzo paesaggio” tutti quegli spazi in cui le erbe spontanee si fanno largo, sfuggendo, anche solo per un poco, al progetto umano. Qui la piattaforma multimediale, con sei puntate radiofoniche, fotografie e interviste.