Guattari: il corpo, infine
È il corpo, il problema. Perché è davvero difficile sfuggire al dualismo del corpo e della mente. Cioè al dualismo di chi (cioè il corpo) è al servizio della mente da un lato, e quello di chi comanda – la mente, che non a caso chiama il primo ‘il mio corpo’ – dall’altro. Per le neuroscienze esiste infatti solo il cervello (mind=brain), e vale lo stesso per molta sedicente filosofia che in nome di un monismo intransigente (secondo cui nel mondo esiste solo la sostanza materiale) considera il dualismo, quello reso famoso dall’ingiunzione cartesiana del cogito ergo sum, del tutto insostenibile. C’è solo il corpo. È vero, chi può negarlo, però è altrettanto evidente che il corpo è un oggetto in balia dei pensieri e dei desideri della mente; da questo punto di vista la chirurgia estetica è la dimostrazione più evidente della verità del dualismo mente/corpo perché il corpo, lasciato a sé, non sente alcun bisogno di cambiarsi la forma del naso o di accrescersi il seno. Nel mondo del dualismo il corpo è lo schiavo della mente.
Nella società contemporanea questo dualismo assume la forma della contrapposizione fra il mondo disincarnato di internet da un lato e quello incarnato del corpo dall’altro. Un corpo che infatti, per sentirsi vivo, deve sempre essere esposto allo sguardo dei social e dei likes. In questo senso il nostro tempo vede una progressiva e sempre più radicale decorporeizzazione del corpo, che è sempre meno reale e sempre più virtuale e immaginario. Il geniale psichiatra e filosofo Félix Guattari (quello che insieme a Gilles Deleuze ha scritto l’Anti-Edipo e Mille piani) l’aveva compreso già nei primi anni ’80, quando questa guerra spietata contro il corpo era appena cominciata. È in quegli anni che Guattari, che è sempre stato dalla parte del corpo e delle sue (del corpo) pulsioni, progetta di girare un film di fantascienza sulla grande trasformazione in atto. UIQ è la traduzione italiana (Luiss University Press, 2022) di questo progetto (pubblicata insieme a quella, appena abbozzata, di un altro film che si sarebbe dovuto intitolare Radio Galaxie). UIQ è la sigla di “Universo infra-quark”, quello che oggi chiamiamo “internet”, o ancora più semplicemente la “rete”. Guattari presenta così l’idea del film:
In questo film voglio esplorare un teorema relativo alla produzione delle soggettività che comprende due componenti strettamente interconnesse: 1) Una soggettività individualizzata che si cristallizza su una comunità dove vivono diversi personaggi che […] potrebbero essere considerati naufraghi di un nuovo tipo di catastrofe cosmica, una catastrofe che è presente e potenziale al tempo stesso, immaginaria e reale, la cui presenza diventa sempre più forte grazie alla sua capacità di svuotare il futuro da ogni sua possibile consistenza […]. 2) Una soggettività macchinica, iperintelligente e tuttavia irrimediabilmente infantile e regressiva impersonificata in Uiq, Un’entità che non ha né delimitazioni corporee fisse, né personalità costante né tantomeno orientamento sessuale predefinito. L’intrusione di questa dimensione macchinica, nelle soggettività ordinarie produrrà sconvolgimenti su scala planetaria (pp, 69-70).
La posta in gioco è esplicita: quali sono gli effetti della “intrusione” di questa “dimensione macchinica nelle soggettività ordinarie”, cioè nelle nostre vite? In altri termini, che ne sarà del corpo carnale degli esseri umani una volta che questo corpo sarà sempre più sottoposto al potere anonimo – allo stesso tempo “iperintelligente e tuttavia terribilmente infantile” – di un dispositivo del tutto virtuale e disincarnato? Basta pensare a quanto l’identità, nel tempo dei social, sia ormai un fenomeno soltanto immaginario (multa habeo likes ergo sum) per trovare la risposta alla domanda che Guattari si poneva quasi quaranta anni fa: quella “intrusione” ha prodotto una “catastrofe cosmica”.
Una catastrofe provocata dal fatto che, come scrive Guattari, “a differenza dei personaggi tradizionali di fantascienza, UIQ è un universo che, sebbene sia prodigiosamente intelligente, rimane completamente disorientato davanti a sentimenti umani quali la gelosia e la passione. Si tratta di un nuovo tipo di personaggio, un’entità molteplice e multiforme in grado di mettere in crisi la nozione stessa di individuo” (p. 66). In effetti il mondo UIQ è un mondo reticolare di pura trascendenza del tutto disincarnato (una sorta di mondo contemporaneamente elettronico e angelico) che di conseguenza è incapace di comprendere gli affetti umani, cioè gli affetti di un corpo carnale, un corpo animale, un corpo che – in quanto corpo – non conosce nessuna forma di trascendenza. Come dice ad un certo punto lo stesso UIQ: “Io senza corpo non so cosa fare” (p. 203).
Il conflitto rappresentato nel film, allora, sarebbe stato quello fra il principio di trascendenza (il mondo UIQ) e quello di immanenza, rappresentato dai corpi umani. Al centro di questo film che non verrà mai realizzato (forse perché già negli anni ’80 la partita era persa, il corpo non esisteva già più) c’è la figura di Janice: “ventenne. Di origini italiane. Punk misteriosa, irriverente, affascinante. [..] Janice è sempre alla ricerca dell’assoluto. E non si fa problemi a rimorchiare il primo venuto” (p. 72). Janice, come tutti i corpi degli esseri umani, è malata di trascendenza, perché cerca fuori di sé quel senso che ormai non riesce più a trovare nel corpo animale, il corpo immanente che non ha bisogno di credere in nulla, proprio perché corpo non significa altro che stare per terra, proprio qui proprio ora: “Janice, la protagonista del film, accettando di farsi fagocitare dal desiderio incestuoso della trascendenza sarà condannata a una deriva senza fine, esiliata per sempre dagli affetti umani” (p. 70). Ma in che consiste, propriamente, questa tentazione per la trascendenza? Lo spiega un personaggio anonimo, una donna, dell’altro film che Guattari aveva progettato di girare, Radio Galaxie. Il mondo della trascendenza è quello dei desideri imposti e delle ingiunzioni sociali:
Voce di donna (off). Parlano, parlano tutto il tempo. Lanciano segni, parole, pezzi di segni, pezzi di parole, per costringerci ad accettare il nostro ruolo di figli, di donne, di mogli, di padri, di operai, di studenti, per insegnarci a fare i bravi, a essere disciplinati, a obbedire, a lavorare …
Il terrore si radica nella forma del quotidiano, il terrore del carcere e del manicomio, della caserma e della disoccupazione, della famiglia e del sessismo. Terrore contro il desiderio, per ridurre il quotidiano alla miserabile forma in cui la Chiesa, la famiglia, lo Stato lo hanno custodito da sempre. (pp. 248-9).
UIQ sarebbe stato allora un film di fantascienza che avrebbe mostrato lo scontro finale, ma non fra una creatura aliena e l’umanità atterrita, perché il mostro macchinico è già fra noi ben annidato nelle nostre teste. Si tratta piuttosto dello scontro fra un principio trascendente che odia la vita e il corpo, e un principio immanente – che prende la forma di una sgangherata ribellione contro UIQ – che non smette di amare la vita corporea. Una ribellione contro cui si scatena la reazione delle forze al servizio di UIQ, le forze che hanno terrore dei corpi (ricordiamo che veniamo da anni basati sull’imperativo – non si sa bene se medico o poliziesco, o tutti e due insieme – del distanziamento sociale) e delle pulsioni immanenti a quei corpi:
Voce di donna (sovrapposta ai bisbigli dei manifestanti)
Cospirare vuol dire respirare insieme e di questo siamo accusati. Vogliono toglierci il respiro perché abbiamo rifiutato di respirare isolatamente nel proprio asfissiante luogo di lavoro, nel proprio rapporto individualmente famigliare, nella propria casa atomizzante. Un attentato confesso di averlo compiuto: è l’attentato contro la separazione della vita dal desiderio, contro il sessismo nei rapporti interindividuali, contro la riduzione della vita a prestazione salariale (pp. 253-4).
Il corpo e la vita contro tutte quelle forze che vogliono disincarnare i corpi, e asservirli a desideri che non hanno altra funzione che allontanarli ancora di più da quegli stessi corpi. Allo stesso tempo la posta in gioco è una vita che, proprio perché corporea, è anche una vita ovviamente mortale. Si comprende anche perché Guattari pensava che il suo film si sarebbe anche potuto intitolare “Ridateci la nostra morte!” (p. 71), perché il corpo mediatizzato e immaginario infestato da UIQ – non essendo più un corpo reale – non può nemmeno propriamente morire. Come dice lo stesso UIQ: “Non potete capire il dolore che si prova quando non si ha un corpo, quando non si hanno limiti. E non si può morire” (p. 210). È da ribadire che questa invocazione non chiede la morte, al contrario, chiede una vita tutta terrena e corporea. In questo senso “ridateci la nostra morte!” significa ridateci la nostra pienezza di vita. Janice, tuttavia, non riesce a liberarsi del suo desiderio di trascendenza (per Guattari, come abbiamo visto, infatti “Janice è sempre alla ricerca dell’assoluto”). Per questo, come ‘vediamo’ nell’ultima sequenza del film, Janice è destinata a non morire, perché ormai non è più viva (è diventata una sorta di zombie internettiana):
Janice imbocca la stradina che porta allo squat. Hanno abbandonato… Non è più… Glielo daremo… Volevo… Avremo il tempo… Li infastidisce… Non importa… Non ha visto… Forse aspetto… Cambierebbe tutto… Hanno messo le tende… Ci sono occhi…
Sale sul terrazzo. Cammina senza sforzo ma è ricoperta di sudore. Con aria impassibile si sbottona la camicia da notte.
Aspetta… Ne abbiamo ancora… Ho parlato… Non così… Me lo ricordo… Li ho guardati…
Procede con calma lungo il bordo del tetto.
È possibile… Lo voleva… Non so dove… Ha parlato… Ricominciare… Grigio e blu…
Fissa nel vuoto, sempre senza alcuna emozione.
Sarebbe stato… Non c’è motivo… Aspettare… Possibile.
Janice si butta giù dal tetto. Il suo cranio colpisce il cemento con un tonfo sordo. Una pozza di sangue si espande intorno al suo corpo.
Janice si rialza, si passa la mano sulla testa e riprende a camminare.
Janice (in tono neutro) Che le restituisca almeno la morte (pp. 232-233).