I giardini di Agatha Christie

14 Dicembre 2024

Cosa ancora si può scrivere di Agatha Christie? Quante volte si possono ristampare i suoi libri? Quanti film, serie televisive tratte dai suoi romanzi e racconti si possono mandare in onda? Quante volte si possono raccontare le vicende della sua fuga dal primo marito, il fedifrago colonnello Archibald Christie, che fece tenere col fiato sospeso mezzo mondo? “Fuga dissociativa”, si dirà, messa in atto per evadere da una situazione familiare divenuta insostenibile, trasposta sul grande schermo da Vanessa Redgrave e Dustin Hoffman nel film Il segreto di Agatha Christie (1979), ripercorsa nei dettagli da ogni biografia che si rispetti, compresa questa recentissima Vita segreta di Agatha Christie della prolifica scrittrice, e volto noto della BBC, Lucy Worseley (traduzione di Laura Serra, Salani, 2024), e persino diventata spunto per un thriller della scrittrice Nina de Gramont, Il caso Agatha Christie (traduzione di Massimo Ortelio, Neri Pozza, 2022), in cui a raccontare una storia di ombre e segreti è l’amante del marito.

Eppure, ogni volta ci ricadiamo. Sia che siamo casalinghe o manager, giornalisti o accademici, lettori sedentari o pendolari, tutti soggiogati, per dirla con Joseph Campbell, da un’«esperienza di coinvolgimento e di fede», conquistati da questa figura di scrittrice mitologica, ognuno a rincorrere il dettaglio sfuggito, dimenticando la ricerca del colpevole che ormai tutti sappiamo chi è, ma non importa perché è la storia a tenerci avvinti come l’edera ai suoi racconti (non a caso Mondadori ha appena mandato in libreria un prestigioso Meridiano, Fiabe gialle, con dieci fra romanzi e racconti della Christie, a cura di Antonio Moresco), così come alle riletture cinematografico-televisive dei suoi personaggi iconici: che sia Hercule Poirot ora nelle sembianze paciose di Peter Ustinov, ora in quelle filologiche di David Suchet o, magari in quelle dai baffi eccessivi di Kenneth Branagh; che sia Miss Marple incarnata nella pettegola Margaret Rutherford (avete notato la somiglianza con la Christie?), nelle vesti di Angela Lansbury futura “Signora in giallo”, o nell’apparentemente innocua Joan Hickson, tanto minuta quanto letale acchiappa-assassini.

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Giardini infestati di segreti, rivalità e misteri

Nelle opere della Christie – sia in quelle pubblicate col suo nome che in quelle in cui indossa l’identità letteraria di Mary Westmacott con cui firma una serie di romanzi rosa dalle atmosfere intime e riflessive, libera dalle aspettative del pubblico legate al genere giallo che l’aveva resa famosa – c’è un aspetto ricorrente spesso sottovalutato, ovvero il tema del giardino, argomento letterario, ma ancor più floreal-orticolturale, che accompagna la scrittrice fin dall’infanzia e che, nei suoi romanzi agisce nello sfondo come un vero e proprio personaggio, testimone silenzioso e complice.

Agatha era cresciuta in un posto speciale. La casa della sua infanzia, Ashfield, sorgeva su un colle che dominava dall’alto la cittadina costiera di Torquay, nel Devon del sud. Era una villa vittoriana circondata dal verde e da un folto, magico bosco che rappresentava un mondo di fantasia purtroppo perduto, punteggiato dall’amato «grande faggio, la wellingtonia, i pini, gli olmi e lo spiazzo erboso vicino all’araucaria», che Agatha ricorda con nostalgia in An Autobiography (“La mia vita”, Mondadori, 2018).

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Il primo romanzo poliziesco della Christie, The Mysterious Affair At Styles (“Poirot a Styles Court”, Mondadori Oscar Cult, 2020) – scritto nel 1916, durante la Prima guerra mondiale, quando la futura romanziera prestava servizio come infermiera, e in cui fa la sua prima apparizione Hercule Poirot – si svolge in una grande villa di campagna, infestata di segreti, rivalità e misteri sullo sfondo di dettagli floreali e naturalistici apparentemente secondari che invece svolgono un ruolo significativo nel creare non solo l’atmosfera e l’ambientazione della storia, ma che, come in tutti i racconti della Christie fanno da sfondo a una vera e propria fotografia sociologica dell’Inghilterra rurale di quella prima metà del Novecento.

L’ispirazione di Greenway House

Tra le varie abitazioni della Christie (acquirente immobiliare compulsiva), se Winterbrook House, costruita lungo il Tamigi in “stile Regina Anna” (XVIII secolo), con giardino pervaso dal profumo delle rose degradante sul fiume, sarà a lungo la sua casa principale, Greenway House, sarà l’amata residenza estiva ispirazione per molte delle ambientazioni e dei giardini che affolleranno le pagine dei suoi romanzi. Uno per tutti La sagra del delitto, in cui Greenway è, per l’occasione, ribattezzata Nasse House, e dove Hercule Poirot è chiamato a risolvere l’ennesimo omicidio.

Tutti i dettagli sparsi nel libro – la “grande casa bianca in stile georgiano, prospicente il fiume”, “il tortuoso sentiero” che attraversa i 15 ettari della proprietà, così come “lo spiazzo rotondo, con un basso parapetto merlato” – sono la descrizione sottintesa di Greenway che la Christie acquistò nel Devon del sud per la modica cifra di cinquemila-seicento-novanta sterline. Quando le dissero il prezzo, Agatha pensò di avere frainteso: era praticamente poco meno di quattrocentomila sterline odierne, una bazzecola persino per gli standard della seconda metà degli anni Trenta per una proprietà come quella, circondata da giardini impreziositi da piante, arbusti subtropicali e imponenti alberi di decine di varietà, alcuni messi a dimora addirittura nel XVI secolo.

Greenway era una costruzione di tipica simmetria georgiana che risaliva alla fine del millesettecento, e che la Christie conosceva bene per averla frequentata, con la madre, da ragazza. Era «immersa in un bosco che scendeva in dolce pendio fino al Dart e circondata da alberi ed arbusti, la casa ideale, una dimora di sogno», scriverà nella sua autobiografia. «Un breve e ripido pendio conduceva alla rimessa. Costruita proprio sul fiume, sporgeva sull’acqua; sotto, c’era un piccolo approdo, e lo spazio per riparare le barche», lì dove, nel romanzo, sarà scoperto l’immancabile cadavere.

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Gli emoticon floreali della Cornovaglia

L’abbondanza di camelie, magnolie, rododendri, ortensie presenti nei giardini di Greenway ricalca la tradizione floreale della Cornovaglia, la contea da cui provenivano i proprietari che si erano susseguiti nei decenni, nei secoli, tutti esperti floricultori e ortocultori, una consuetudine che Agatha e il secondo marito, l’archeologo Max Mallowan, continuarono a seguire fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Già, perché Greenway, per la sua vicinanza al mare, e al Reale collegio navale, alla foce del fiume Dart (che nel romanzo si chiama Helm), fu requisita dall’Ammiragliato per conto della Marina statunitense che vi avrebbe alloggiato i propri ufficiali nel periodo in cui gli alleati preparavano i piani per il D-Day, lo sbarco in Normandia. La testimonianza di quella presenza è ricordata, nella sala della biblioteca, da un grande affresco, tutt’oggi ancora visibile, realizzato da quegli stessi militari, raffigurante diverse situazioni in cui era impegnata la flotta alleata, mentre i ritratti dei tre grandi, Churchill, Roosevelt e Stalin, dipinti sopra il camino, furono cancellati per opportunità politiche.

Quando nel 1945 Agatha Christie riprese pieno possesso di Greenway, il giardino non era più quello che aveva lasciato. Era, sì, ancora bello, ma quasi completamente inselvatichito, alcuni sentieri erano scomparsi, gli alberi da frutto non erano stati potati, nell’orto crescevano praticamente solo basilari carote e insalate. Insomma, una giungla che, ciononostante, aveva un suo fascino, tanto che Agatha decise che una buona metà della proprietà doveva restare “selvaggia”, così da creare, grazie ai nuovi interventi, contrasti fra piante, fiori cresciuti accidentalmente, felci rigogliose e bordure formali. Ma soprattutto ampie zone affollate di amate dalie, come quelle che cingevano il prato dove Agatha e i suoi ospiti giocavano a Croquet, quella pallamaglio citata da Giordano Bruno nella commedia Il Candelaio (1582), e a Clock Golf, una variante del golf con i giocatori posizionati in circolo – come in un immaginario quadrante di orologio le cui ore sono indicate dai 12 numeri in metallo, sistemati a terra nella stessa posizione del quadrante – che devono mandare la pallina nella buca posta al centro, gioco che appare anche in due romanzi della Christie.

Tutti i fiori utilizzati nelle bordure avevano un preciso scopo tradizionale nel galateo botanico britannico: essere utilizzati per realizzare piccoli bouquet, vuoi per decorare la casa, vuoi da donare alle amiche affidando, al significato simbolico attribuito alle diverse specie, messaggi extra verbali di affetto, amicizia, o di particolari stati d’animo: in pratica, fiori usati come emoticon avanti lettera.

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La giardiniera appassionata

Al belga Poirot la natura, l’arte della cura dei giardini suscitava scarsissimo interesse. Non era mai stato un grande ammiratore della natura allo stato selvatico: a lui piacevano le cose ordinate e armoniche. «Era più facile che, a strappare un mormorio di ammirazione dalle labbra di Poirot, fosse un orto curato, in ordine, ben coltivato», precisa la Christie, facendo indirettamente notare che, nell’Inghilterra di allora, si riteneva che per gli europei continentali i giardini dovevano essere qualcosa di utile, mentre per un inglese dovevano essere semplicemente belli.

A rimediare a quell’imperdonabile mancanza di tatto, sarà il personaggio di Jane Marple, giardiniera appassionata, una signora dall’età indefinita, grande osservatrice a cui non sfuggono i dettagli di un giardino così come di una scena del crimine, ma soprattutto delle debolezze della natura umana, una qualità che le permetterà di sbrogliare le più intricate trame poliziesche. «Miss Marple vede sempre tutto», dice il Vicario in La morte nel villaggio, il primo romanzo in cui appare la simpatica vecchietta (1930).

Jane Marple, alter ego botanico di Agatha Christie, coltiva rose che cura quotidianamente, attenta a quello che in inglese si chiama deadheading, termine traducibile con l’espressione rimuovere-i-bocciòli-secchi-per-dar-modo-alla-pianta-di-avere-più-forza, operazione che i manuali inglesi di giardinaggio invitano a fare usando rigorosamente dei bypass secateurs, delle cesoie dalle lame allungate, simili a quelle delle forbici, che possano infilarsi facilmente in spazi ristretti, fra uno stelo sottile e l’altro, ma che, ammoniscono, non si devono mai usare per tagliare steli troppo spessi: si potrebbe finire col danneggiare la pianta.

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L’inglesità rurale e imperiale

Miss Marple, zitella impicciona la chiama Oreste del Buono, vive nel villaggio immaginario di St. Mary Mead – uno dei tanti borghi di una delle tante contee nel sud dell’Inghilterra, dove il tempo sembra essersi fermato – in una casetta con giardino fiorito che mostra la cura di mani esperte, archetipo di classica inglesità rurale. È grazie a lei che generazioni di lettori hanno imparato, più che da qualsiasi manuale fai-da-te, quali pericoli mortali, quali presagi di sventura si possano nascondere in un qualsiasi “ridente” giardino: dalle foglie di digitale a certe specie di funghi, al tè all’oleandro. O come si possa sconfessare un falso giardiniere dalle dubbie intenzioni: basta avere a mente che un vero floricoltore «non va a lavorare il lunedì di Pentecoste», che diamine.

Con l’arrivo degli acciacchi dell’età, il medico consiglia a Miss Marple (ergo a Agatha Christie) di evitare le attività più stancanti, suggerendole di affidarle alle cure di un giardiniere, e di limitarsi, tutt’al più, a qualche piccolo lavoretto di potatura, quel deadheading di cui parlavamo prima. Ma il suo vero cruccio non è di non poter più zappettare, piantare, invasare, o dissodare, il fatto è che quello là, il giardiniere professionista che avrebbe dovuto salariare, «snobberà le rose e i piselli odorosi a favore di astri e salvia», è il suo criptico (per chi non è inglese) commento.

Infatti, citando semplicemente la distinzione che esiste nella scelta tra le une (astri e salvia) e le altre (i piselli odorosi, ovvero le cicerchie, piante dalla consistenza vaporosa, popolari tra l’aristocrazia vittoriana, il più inglese dei fiori), Agatha Christie descrive, meglio di qualsiasi manuale di sociologia, il divario di classe che esiste nel contesto dell’Inghilterra della prima metà del Novecento, il patimento con cui una nazione tutta vive il disintegrarsi dell’impero e delle sicurezze inossidabili di un’età dell’oro, prima vittoriana, poi edoardiana, che si stringe intorno all’immagine archetipica e nostalgica del “gentleman alla Jane Austen”, del gentiluomo di campagna del tempo che fu, come quello descritto anche nei romanzi di Anthony Trollope (altri testi di alta sociologia in forma letteraria), in contrasto critico con gli usi e costumi della società del tempo che, sin da allora, mostrava segni di mal sopportare le prerogative della modernità («Oggigiorno in Inghilterra la vita è ben diversa. Vorrei anch’io che tutto fosse come un tempo. Adesso bisogna arrangiarsi da soli», si lamenta il personaggio della precedente proprietaria di Nasse House (leggi Greenway), la signora Folliat, che la Christie descrive di aspetto modesto, quasi trascurato ma che, ciononostante, «possedeva quella classe che è così difficile descrivere a parole», costretta, da tasse e balzelli vari, a vendere la casa a un nuovo ricco, «pur di non vederla trasformata in albergo, in istituto, oppure suddivisa in lotti da un’impresa di costruzioni». Oggi diremmo in hotel de charme, con piscina, spa e parco giochi con trastulli vari per minorenni già annoiati prima del tempo.

Un humus di perduta identità culturale che riverbera in letteratura come nella vita di tutti i giorni e prolifererà come un tarlo nell’inconscio collettivo di una nazione fino ad arrivare a portarla, ai giorni nostri, a rincorrere, con la sciagurata Brexit, un patetico tentativo di rigurgito di inglesità imperiale perduta per sempre.

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I piselli odorosi, ultimo baluardo della frontiera sociale

L’epoca in cui vivono Agatha Christie e i suoi personaggi letterari è quella degli “ultimi fuochi” di una stagione straordinaria il cui inizio della fine aveva coinciso con lo scoppio della pur vittoriosa Grande Guerra, a causa della quale l’Inghilterra aveva decuplicato il debito nazionale. Non solo. Sono anni in cui si sta lentamente e inesorabilmente disgregando la struttura classista del sistema sociale – quella che aveva offerto, ricordava l’economista John Maynard Keynes, «alle classi medie e superiori, a basso prezzo e senza complicazioni, comodità, agi e lussi che andavano ben oltre le possibilità dei più ricchi e potenti monarchi di altre epoche».

Le grandi proprietà terriere, su cui gravano balzelli, imposte e oneri insostenibili per la tradizionale aristocrazia latifondista, vengono abbandonate e sono preda dei nuovi ricchi di estrazione mercantile, i cui retroterra sociali non sono avvezzi ad afferrare le sottili, subdole frontiere sociali (chiare invece a Miss Marple) che separano i piselli odorosi dagli astri. Distinzioni che invece erano pane quotidiano non solo per l’aristocrazia, ma anche per quella classe di dignitosi gentiluomini e gentildonne di campagna, di diaconi e vicari – ritratti spesso nei romanzi della Christie – che si aggrappano al giardino, l’unico mezzo che permetta di poter sfoggiare la loro posizione sociale semplicemente affermando di coltivare “rose e piselli odorosi”, appunto. Ma anche rose damascene, lavanda, ciclamini e garofani del poeta. Mai, che dio ce ne scampi, salvia e astri.

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