Casablanca: provaci ancora, Rick

28 Luglio 2024

Quando ho visto Casablanca la prima volta? No, non mi ricordo né quando, né dove. Sì, naturalmente, ho la cassetta VHS e il DVD, in entrambe le versioni: italiano e originale inglese, ma da tempo mi sono liberato degli ingombranti lettori. Quando mi va di rivederlo posso scegliere tra Google Play Film e Apple TV, e me la cavo con € 3,99. Anche se, a dire la verità, mi capita sempre più spesso di rileggerne la sceneggiatura (che si può reperire, senza problemi, su internet), un capolavoro di battute ciniche, di congiunzioni astrali irripetibili: il quando, il dove, da chi, con chi, contro chi, contro cosa, come sia stata scritta, e come poi il tutto sia stato assemblato e alchemicamente trasformato in 6 bobine di celluloide, la lunghezza tipica per i film di quell’epoca, considerando che la durata media era di circa 102 minuti.

A chi il merito? Agli sceneggiatori, i gemelli Julius e Phillip Epstein e Howard Koch? Al regista, Michael Curtiz? Al produttore Hal Wallis? Allo studio Warner? Agli attori? Alla colonna sonora? A Sam che aveva l’ordine di non suonarla più perché Ilsa aveva spezzato il cuore a Rick nella Parigi che stava per essere invasa dai nazisti? Storia d’amore o di guerra? Certamente un film antinazista. 

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Una pellicola di amore e propaganda

Era il 1942 quando il film fu girato. Pochi mesi dopo Pearl Harbor. Un tempo in cui le cose della vita erano semplici, come le sceneggiature che, all’epoca, venivano scritte prima a matita (così ricorda Howard Koch), preferibilmente Eagle Number One, poi dattiloscritte, poi ciclostilate. Un tempo in cui c’era spazio per i sentimenti. I buoni e i cattivi sapevi chi erano. La guerra contro i nazisti era un imperativo morale. 

Le riprese di Casablanca terminarono, come annotato da Al Alleborn, il direttore di produzione, 59 giorni dopo il primo ciak, con undici giorni di ritardo sul programma di lavorazione: era lunedì 3 agosto. Il film debuttò all’Hollywood Theater di New York il 26 novembre, il giorno del Ringraziamento, proprio mentre sui giornali e cinegiornali, alla radio non si parlava altro che di Casablanca, quella “vera”, dove era in pieno svolgimento l’Operazione Torch, l’invasione alleata del nord Africa francese. Un’altra delle fortunate coincidenze astrali di cui accennavamo poc’anzi.

 “Con l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale, molti occhi nell’Europa imprigionata si rivolsero speranzosi, o disperati, verso la libertà delle Americhe”, intona la voce fuori campo mentre, sul grande schermo, un rapido montaggio mostra un globo rotante intervallato da filmati di folle di rifugiati in fuga dall’avanzata dei nazisti in tutta Europa, che partono da Parigi e arrivano nel Marocco francese attraversando il Mediterraneo fino a Orano, in Algeria. 

Nell’intento dei produttori, la Warner Bros, e dell’Office of War Information si sarebbe trattato di realizzare niente di più di una pellicola di amore e propaganda, uno dei tanti B-movie che affollavano le sale in quel periodo, e nessuno immaginava certo che quel film accidentato (furono mille i problemi che si accavallarono nel costante conflitto tra le ragioni produttive, quelle artistiche e quelle della ragion politica) sarebbe entrato nella storia del cinema, avrebbe messo radici profonde in un immaginario collettivo giunto fino ai giorni nostri e, per di più, avrebbe vinto tre Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura. Interpreti principali un Humphrey Bogart reduce da un noir del calibro di Il mistero del falco, e una Ingrid Bergman (“prestata” alla Warner dal produttore David O. Selznick che l’aveva sotto contratto) alla ricerca di un ruolo che le avrebbe dato fama, ma non credeva che, certo, sarebbe stato quello in Casablanca.

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Allarme a Hollywood

L’attacco giapponese a Pearl Harbor risaliva al 7 dicembre 1941, a pochi mesi prima dell’avvio delle riprese. L’isolazionismo che aveva paralizzato gli Stati Uniti per anni si era dissolto come nebbia al sole. I “pacifisti” filo nazisti alla Charles Lindbergh, antesignani dei “pacifisti” filo russi dei giorni nostri, furono messi a tacere dall’ondata di patriottismo che attraversò il paese. 

Poco prima del ciak d’inizio, un sottomarino della Marina imperiale giapponese, in forza alla 1ª Divisione sommergibili della 6ª Flotta, al comando dell’ufficiale Kozo Nishino, avvicinatosi alle coste della California, aveva cannoneggiato i depositi di carburante per aerei del campo petrolifero di Ellwood, nei pressi di Santa Barbara. Da un punto di vista militare, quel primo modesto attacco, direttamente sul suolo americano, causò danni minimi alle infrastrutture (fu danneggiata una gru, una stazione di pompaggio e nessuno rimase ferito), anche perché sparare con il cannone di coperta di un sottomarino leggero, al buio, sballottato dalle onde, non si poteva definire esattamente un cannoneggiamento di precisione. Era più che altro un’azione dimostrativa che avrebbe contribuito, e non poco, a creare un clima di isteria collettiva e allarme nelle file della popolazione civile, e nella difesa costiera. L’episodio sarà rievocato e sbeffeggiato da Steven Spielberg nel film 1941 – Allarme a Hollywood.

L’evento scatenò nel paese, ma soprattutto negli stati della costa occidentale, California in primis, ciò che storici, psicologi e persino i vertici militari definiranno, in seguito, studiando e riflettendo sull’episodio, “paranoico nervosismo di guerra”. 

Così mentre il cast di Casablanca si barricava per le riprese all’interno dello studio 7 della Warner (altra coincidenza: lo studio 7 era quello dove si erano sempre girati i film più “fortunati”, di cui tre vinceranno l’Oscar – The Life of Emile Zola, My Fair Lady e Casablanca, appunto – e ben dieci saranno candidati come miglior film), fuori, erano state imposte severe restrizioni sull’oscuramento. delle abitazioni, erano vietate le insegne al neon per i locali pubblici, i fari delle auto dovevano essere oscurati, addio ai falò sulla spiaggia e a quant’altro di luminoso potesse essere visto dal cielo o dal mare. 

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“L’uomo non può conoscere senza immagini”

Casablanca è stato studiato, scimmiottato (dai Fratelli Marx in Una notte a Casablanca), citato (in La La Land), idolatrato (da Woody Allen in Provaci ancora Sam), trasformato in fumetto su Topolino (del 1987, numero 1657) da Giorgio Cavazzano su idea di Vincenzo Mollica che, già nel 1982, ne aveva curato un’edizione illustrata, per la casa editrice Lato Side dove, pagina dopo pagina, le immagini in celluloide si dipanano in una sorta di fotoromanzo d’autore. Una rivoluzione della memoria che ricorda gli insegnamenti di Tommaso d’Aquino: “L’uomo non può conoscere senza immagini”. 

Dunque, siamo all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. I profughi dell’Europa oppressa che cercavano una via verso la libera America seguivano una trafila lunga e tortuosa che li portava, come abbiamo visto, dalla Francia occupata fino a Casablanca, nel Marocco francese, sottoposto al controllo politico, ma non militare del Terzo Reich. La voce fuori campo recita: “Là, i più fortunati – col denaro, le amicizie o la buona sorte – ottenevano il visto di partenza e raggiungevano finalmente Lisbona, e da Lisbona l’America. Ma gli altri aspettano a Casablanca...”. Puntini di sospensione.

A Casablanca tutto, o quasi, gravita intorno al Café Americain di Richard “Rick” Blaine (Humphrey Bogart), anche l’arrivo di Victor Lazlo, eroe della resistenza in fuga da un campo nazista, inseguito dal maggiore Strasser della Gestapo. Lazlo viaggia con Ilsa Lundt (Ingrid Bergman) che, si scopre, essere la donna amata da Rick a Parigi prima dell’occupazione, e dalla quale era stato piantato senza preavviso, né spiegazioni. 

Intreccio amoroso-bellico che si complica quando vengono uccisi due corrieri tedeschi e le lettere di transito in loro possesso rubate. Lettere molto preziose che permettono a chi le possiede di viaggiare liberamente che finiscono nelle mani di un contrabbandiere che, prima di essere arrestato, confida a Rick dove le ha nascoste (Hitchcock le avrebbe chiamate MacGuffin, quegli oggetti “fantomatici” che in un romanzo o in un film forniscono una motivazione alle azioni dei personaggi).  

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Colpi di cannone! O il mio cuore che sta battendo?

A Casablanca, è di rito l’aperitivo al Rick’s Café. Il capitano Renault è francesemente galante con llsa: “Mi era stato detto che eravate la più bella donna che Casablanca avesse mai ospitato, ma la voce è al di sotto del vero”. Una normale conversazione. Colonna sonora: Gershwin. Poi la folgorazione: “Capitano, quell’uomo che suona il piano...”. “È Sam, il pianista nero di Rick”. Ilsa e Sam si riconoscono: Hallo Sam. Hallo signorina, non aspettavo di vedervi. Tanto tempo è passato. Eh, sì, signorina, molta acqua sotto i ponti. Suona la nostra canzone Sam, come a quel tempo. Pianoforte. As time goes by

La musica stana Bogart fuori dal suo ufficio: Sam-ti-avevo-detto-di- non-suonarla-più. E qui c’è l’incontro tra Lui e Lei con un prodigioso scambio di sguardi che, in un attimo, si nutre di interpretazioni silenziose. Poi le presentazioni. Laszlo: “Non si sente parlare che di Rick a Casablanca”. Rick: “E di Victor Laszlo in tutto il mondo. Mi congratulo con voi. Bel lavoro”. “Si tenta”. “Tutti tentano. Voi riuscite”. Il senso è doppio. Rick è geloso? 

Rick rammenta a Ilsa che l’ultima volta che si videro fu a Parigi alla Belle Aurore. E lei: “Che memoria”. E lui: “Un giorno che non si dimentica. Ricordo ogni dettaglio, i tedeschi in grigio, voi in blu”. Al contempo, la gelosia lascia il passo ai ricordi, a quando, a Parigi, poco più di un anno prima, il mondo crollava e Rick e Ilsa sceglievano proprio quel momento per innamorarsi. I tedeschi alle porte, con le loro artiglierie che fanno sentire la loro voce alla periferia della capitale: “Colpi di cannone! O il mio cuore che sta battendo?”. “Oh, caro, tu sei in pericolo. Devi lasciare Parigi”. “Non da solo, insieme”. “Certo, insieme”, col treno per Marsiglia che parte alle cinque. 

L’orologio della stazione segna quasi le cinque. Bogart sotto una pioggia scrosciante (piove sempre sui desideri straziati) fissa, impotente, il suo orologio da polso, sospeso, nel limbo del tempo. Alla realtà lo riporta Sam con il suo buon senso: “È l’ultimo avviso signor Rick, non sentite? È l’ultimo treno! Andiamo! Andiamo!”. Ilsa non verrà. 

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Il momento delle scelte irrevocabili 

Ricordi. Rick soffre per la mancanza del tempo passato con Ilsa (a Parigi), del tempo che avrebbe potuto passare con lei (se avesse preso il treno delle cinque), del tempo che non potrà passare con lei (Ilsa è irrimediabilmente sposata con Laszlo). Rick è in preda alla più povera e incompleta delle follie: quella dell’innamorato, pazzo per essere tale, savio per il fatto di poterlo dire. 

Al Café Americain è notte. Rick sta per cadere nella trappola dell’accidia, del Demone Meridiano (che si presenta quando il sole culmina sull’orizzonte) che i Padri della Chiesa combattevano come un flagello peggiore della peste. Non è, fra l’altro, proprio la fenomenologia patristica a descrivere l’accidioso come uno che finisce per fingersi l’immagine di qualcuno che viene a visitarlo? Non a caso, appare la Bergman. La musica cessa. Spirito di salvezza o folletto di dannazione? “Rick devo parlarti”. Aliti di paradiso o miasmi d’inferno? Rick: “Ci sono tanti posti. Dovevi venire proprio a Casablanca?”. “Non sapevo che c’eri tu, credimi Rick, non lo sapevo”. “Quanto tempo è passato?”. “Non ho contato i giorni”. “Io sì, invece. Un giorno dopo l’altro”. 

La prudenza non abita in Casablanca dove, fotogramma dopo fotogramma, si assiste a un crescendo di stoccate fra buoni (Laszlo), cattivi (maggiore Strasser), neutrali (capitano Renault), indifferenti (Rick: “Non combatto più per nulla e per nessuno, tranne per me stesso. Io sono la mia sola causa”). 

Gli eventi precipitano. Ilsa vuole le lettere di transito per Victor Laszlo. Si spinge fino nell’appartamento di Rick, lo minaccia con la pistola, ma la Memoria d’Amore è più forte della Causa. Rick: “Avanti spara. Mi farai un gran piacere”. Ilsa, cadendo in imprudente deliquio: “Oh, Rick! Il giorno che lasciasti Parigi ero come stordita. Sapessi quanto ti amavo, quanto ti amo ancora”. La riprova? Laszlo e la Resistenza non possono nulla contro i ricordi: Ilsa a Rick: “Ho provato a fuggirti. Credevo che non ti avrei più rivisto, che eri uscito dalla mia vita”. Bacio travolgente. “A questa storia manca il finale”, dice Rick. “Che fai ora?”. “Ora? Non lo so. So solo che non avrò la forza di lasciarti un’altra volta”, risponde Ilsa. 

È il momento delle scelte irrevocabili. È il momento in cui, per citare Umberto Eco: “basta che muoviamo un solo dito per alterare tutti i rapporti nell’universo. Si tratta di decidere, magari al momento dell’ultimo respiro, quale dito muovere e in che direzione”. 

Il peso di ogni decisione è ora sulle spalle di Rick. Ilsa: “Ti ho fuggito una volta, non posso farlo ancora. Non so più che fare. Devi pensare tu per tutti e due”. Rick sa – anche se Lacan terrà la sua lezione sull’alienazione solo una ventina d’anni più tardi – che quale sia la sua scelta, essa avrà come conseguenza né l’uno, né l’altro. “Una mancanza si sovrappone all’altra. Una mancanza generata dal tempo precedente che serve a rispondere alla mancanza suscitata dal tempo seguente” (Lacan, 3 giugno 1964). 

Ora, però, è tempo di Resistenza e Patriottismo. In un crescendo, Bogart il sentimentale uccide il maggiore Strasser, rinuncia alla Bergman alla quale regala le lettere di transito (“Addio Rick. Che Dio ti assista”), mentre Laszlo sentenzia: “Grazie per la vostra lealtà. E ben tornato alla lotta. Ora so che la nostra causa vincerà”. Bogart non risponde, è intento a inaugurare una bella amicizia col capitano Renault.

Rick/Bogart riapparirà in Provaci ancora Sam, al fianco di Woody Allen che gli chiede: “In Casablanca quando hai perso la Bergman non ti sentivi distrutto?”. E lui: “Tutta roba che passa con un bel whisky and soda”. Adieu Tommaso d’Aquino, Lacan, i tedeschi in grigio, voi in blu. Ben arrivato Mickey Spillane. 

Bibliografia essenziale:

Howard Koch, Casablanca: Script and Legend, Overlook Press, 1992;

Noah Isenberg, We’ll Always Have Casablanca: The Life, Legend, and Afterlife of Hollywood’s Most Beloved Movie, W. W. Norton & Company, 2017;

Aljean Harmetz, Round Up the Usual Suspects: The Making of Casablanca - Bogart, Bergman, and World War II, Hyperion, 1992;

Laurence Leamer, You Must Remember This: The Warner Bros. Story, Running Press, 1986;

Tamás Yvan Topolánszky, Curtiz, Film Netflix, 2019. 

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