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Il ribaltamento romantico: nascita del partigiano

10 Luglio 2011

Gli autori del raid, ne abbiamo portato abbondante testimonianza, cambiano volto come una stessa figurina dai cristalli mobili nel corso della storia e a seconda del punto di vista da cui li si osserva. Si è trattato volta a volta di popoli che cercano di difendere il proprio territorio da nemici più potenti e organizzati quali Atene o Roma, di generali ribelli come Sertorio o di truppe inserite invece all’interno degli eserciti occupanti (e delle flotte statali) per renderli più agili ed aggressivi, di modalità nomadiche poi allargate per ragioni storiche all’intera guerra medievale, di eroi trascelti per una sola missione rischiosissima che si coprono di gloria, oppure di semplici banditi e pirati avidi di preda. Carl Schmitt introduce una categoria specifica, quella del partigiano, di cui fa risalire la codificazione moderna alla guerriglia che il popolo spagnolo “preborghese, preindustriale, e preconvenzionale” condusse tra il 1808 e il 1813 contro “un esercito regolare, moderno, ben organizzato, uscito dalle esperienze della Rivoluzione francese”, cioè quello napoleonico. I similari episodi precedenti, quali quelli dei pellerossa che risalgono al XVII secolo, degli americani indipendentisti oppure ancora dei vandeani, appartengono all’era precedente a quella napoleonica nella quale, secondo il filosofo tedesco, si attribuisce allo stato francese e al suo esercito “regolarità” moderna. Di qui, e a seguito della sconfitta delle forze armate spagnole, per contrapposizione può nascere l’irregolarità del partigiano nazionalista di cui Schmitt segue le diramazioni lungo tutto l’Ottocento: l’esperienza di breve durata nel Tirolo del 1809 di Andreas Hofer, la codificazione giuridica della milizia territoriale prussiana da parte di un regio editto che fu in vigore per soli tre mesi, le azioni di disturbo attuate, sempre contro le armate napoleoniche, dai Russi nel 1812.

 

Si ritrovano allora in questa fase le conseguenze tipiche prodotte dal raid quando sistematizzato e diffuso in guerriglia. La consistenza esigua dei suoi interpreti che impegnano nemici in numero assai superiore (forse meno di 50.000 spagnoli contro più del triplo di effettivi napoleonici); l’adozione di medesime strategie da parte dell’occupante per adeguarsi a colpi di mano d’effetto capaci di ridicolizzarlo e abbatterne il morale come testimonia la lettera di Napoleone al generale Lefévre del 12 settembre 1813 che scrive “dovunque ci siano partigiani bisogna combattere alla partigiana” (da cui un susseguirsi di atti di terrorismo e controterrorismo secondo la logica schmittiana della vera inimicizia); infine l’ambiguità di figure che combattono con metodi eterodossi e fuori da una guerra dichiarata, non riconosciute quindi dai governi se non quali criminali esecrabili. Anche nel caso della lotta popolare antinapoleonica si scatena perciò una lotta egemonica tra i differenti punti di vista: in Spagna la parola scritta viene monopolizzata, attraverso libri e memorie dai colti afrancesados (nobiltà, alto clero e alta borghesia) che squalificano il guerrigliero al rango di criminale, mentre Tolstoj in Guerra e pace o Kleist con il dramma La battaglia di Arminio faranno assurgere a statura di eroi i resistenti russi e tedeschi.

 

Ecco che sono proprio i rapporti di forza ad essere rimessi profondamente in discussione dalla cultura romantica. Finora l’ottica prevalente del coraggio e dell’onore risalente al mondo greco-romano relegava il raid nel campo negativo del nemico o nella propria sfera dell’eccezionalità e del non detto. L’idealizzazione letteraria e la moralizzazione pratica del cavaliere tentavano nel Medioevo di recuperare, dopo i secoli bui delle scorribande indiscriminate che ancora continuavano come prassi diffusa, il raid alla regola etica, alla nobiltà dei fini sotto l’egida dell’avventura e dell’impresa. La guerra moderna, culminante proprio negli eserciti nazional-patriottici della Rivoluzione, per numeri, armi, disciplina, efficacia razionalizzatrice e volontà di conquista territoriale tende invece ad espungere di nuovo il raid dalla consuetudine bellica; e quando non può farlo, per esempio sul mare, ne sana la spigolosità con un nuovo cappello nominalistico che trasforma per incanto il pirata in corsaro.

 

La cultura romantica però si sviluppa lungo due binari per la prima volta nella storia esplicitamente favorevoli ai raiders. Da una parte l’esaltazione dell’individualità esasperata che contrasta i limiti angusti delle codificazioni sociali e quindi o si introverte malinconicamente o tende a infrangerli con gesto ribelle. In tal caso sarà offerta al bandito e al pirata una ghiotta possibilità di riabilitazione. Questa figura di irregolare in lotta contro tutti farà del raid la sua specifica forma di ostilità. In più con l’invenzione del concetto di nazione e la contemporanea presenza di popoli, ormai autoidentificatisi come nazionalità prive però di stato perché spossessate della propria terra da dominatori stranieri, si permetterà a queste individualità eccezionali di trovare l’ideale per cui mettersi al servizio. Insomma i vari pezzi vanno incastrandosi in una semantica del raid inedita sul piano valoriale.

 

La letteratura un po’ in tutta Europa dunque ha permesso di illuminare in senso positivo i protagonisti del raid, nobilitandone contemporaneamente questa forma di azione con un decisivo effetto di lunga durata;. si è spinta anche oltre in questo ribaltamento, quando cioè il protagonista è più chiaramente un esponente del banditismo sociale che “trova rifugio e protezione nelle comunità omogenee a cui restituisce sempre qualcosa in cambio: parti dei proventi di azioni delittuose, oppure senso di orgoglio ed appagamento nell’essere in qualche modo rappresentate a fronte di poteri giudicati ingiusti” (C. Mornese). Il raid letterario romantico è quindi affermato una volta per sempre attraverso figure eccezionali, riprese e trascritte dalla cultura popolare orale, che “passano al bosco” (E. Junger) spinte da obiettivi disinteressati e agenti con forze inferiori in campo avverso tramite un veloce atto di abilità e di coraggio. Viceversa le azioni svolte da un pirata, da un bandito o da un terrorista volgari, che apparentemente sono definibili raid, non assolvono all’insieme di tali requisiti. Si esclude infatti il danneggiamento e la sottrazione per puro vantaggio personale perché non soddisfa la prima caratteristica. Non è detto però che l’azione, compiuta secondo motivazioni moralmente elevate o giustificabili dal partigiano o dal corsaro, si possa considerare un raid come lo andiamo delineando, perché non deve avere per esempio un soprannumero o una preponderanza nel suo svolgimento. Sembra insomma configurarsi una morale implicita alle regole della forma-raid che, riprendendo gli antichi valori attribuiti solo al guerriero regolare, si vuole sottrarre dal gioco ideologico dei punti di vista. 

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