Karl Lagerfeld tra due millenni

19 Febbraio 2023

Le nostre esistenze funzionano come il bilanciere degli orologi meccanici: oscillano tra un avvenimento storico e un altro alla ricerca dell’equilibrio, una condizione effimera continuamente rimpastata dallo scappamento. Tale dispositivo meccanico rilascia impulsi continui – gli avvenimenti della storia – che provocano il moto perpetuo, la cui fonte di energia è un altro elemento dell’ingranaggio, poco visibile e nascosto, la molla. Identifico con la molla una persona che ricopre un ruolo attivo nel cambiamento, le cui azioni muovono e scandiscono il tempo. La forza motrice di una molla è proporzionale allo spazio, e dunque al potere, che ha disposizione. Ci sono molle del nostro tempo che sono state incoerenti e incostanti, altre si sono sistemate gradualmente in orologi sempre più voluminosi e complessi, tessendo destini assurti a fulcro di quanto rilevante sia esistito nella nostra epoca.

Gli ingranaggi degli orologi rendono possibile la misurazione del tempo, e determinano un certo stile di documentazione. Il tempo si registra per non perdersi nei meandri della memoria, ragion per cui si cerca di dominarlo con uno strumento che restituisce dei risultati esatti e inoppugnabili. Il tempo fugge e sfugge ai sensi, lo si può comprendere solo con uno strumento costruito impeccabilmente, con tutti gli elementi che funzionano all’unisono. Quando si ha a che fare con la temporalità di moda, poi, la questione si complica ulteriormente: il bilanciere oscilla ancor più velocemente perché lo scappamento rifugge l’ieri, sotto la spinta di una molla così elastica da non deformarsi mai permanentemente. È un tempo diverso, con cui si può solo scegliere di armonizzare, accordando la propria esistenza in forma di continue trasformazioni. Karl Lagerfeld, persona-molla, si è intonato al tempo di moda agendo sul cambiamento permanente, dilettandosi nel collezionismo – umano e oggettuale –, e affinando la comunicazione verbale e non. 

Solo così ha potuto sopravvivere fluttuando tra i decenni simbolo della moda contemporanea.  

La più completa narrazione di Karl è raccolta nell’omonimo volume della giornalista di Libération Marie Ottavi (Ippocampo 2022), dove emerge l’impatto socioculturale di una forza motrice che ha intrecciato vite, regolato i meccanismi del sistema moda, del modo di vivere Parigi e essere parigini, anche se di adozione. La pariginità è un feticcio in comune con Yves Saint Laurent, originario dell’Algeria colonia della Francia, con cui condivide anche lo spleen, passione resa celebre da Baudelaire, che schiaccia l’anima tra angoscia e noia. Karl doma lo spleen con l’estremizzazione dello stakanovismo, Yves soccombe tra le droghe e diventa succube del compagno iper-accudente Pierre Bergé, che decreterà la fine della loro amicizia ventennale. Lagerfeld e Saint Laurent hanno due vite parallele, incominciano insieme, per poi dividersi cerchie e clienti, e pure un amante, Jacques de Bascher, con cui instaura una relazione semi-platonica per diciotto anni. Vite parallele accomunate dalle stesse fermate – Parigi, Saint Tropez, Montecarlo, Biarritz – per cui si passa a velocità diverse.

Non tutte le forze motrici sono uguali e il loro ritmo può essere scandito da diverse predisposizioni culturali: nel caso di Yves e Karl vediamo la mitologica decadenza francese opporsi all’efficienza tedesca, appartenenza rinnegata più volte da Karl a partire dal suo cognome, la prima vera modificazione della sua persona in nome della moda. La t finale di Lagerfeldt viene elisa perché ritenuta cacofonica nell’economia dei francesismi del sistema della moda. Il divario socioculturale non si ferma al cognome, si estende alla possibilità di avere aiuti da personaggi influenti che privilegiano un francese in Francia, seppur nato nell’appendice colonica. In mancanza delle connessioni famigliari che mettono Saint Laurent a capo di Dior a 21 anni, Lagerfeld, anch’egli vincitore del concorso del Segretariato Internazionale della lana del 1954, impara in fretta che avrebbe dovuto farsi spazio in altro modo. Non che Karl mancasse di un sistema di supporto: Otto, suo padre, con la t ancora nel cognome, gli regala una Mercedes decappottabile per festeggiare la vittoria. Papà Lagerfeldt, però, al massimo avrebbe potuto aiutarlo a farsi spazio nell’industria casearia. Da qui intuisce l’importanza della rete di contatti, del frequentare le persone giuste. Dove incontrarle? Nei cafè e nei locali notturni. 

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Jacques de Bascher.

In questi spazi si compongono gli ingranaggi della storia a partire dalle molle che muovono il tempo in ogni ambito economico, sociale e culturale. La lista di nomi che stila Ottavi è lunga e variegata, e, a rifletterci, sembra che la seconda metà del Novecento sia stata pianificata ai tavolini di un locale notturno. I racconti delle feste e delle serate costituiscono un mirabile esempio di name-dropping, su cui Ottavi insiste di continuo per impressionare chi legge e mostrare le relazioni di causa-effetto tra eventi apparentemente disconnessi. Il name-dropping è pratica snobista, e ben ricalca l’atmosfera di cui i club, i salotti e le maison erano impregnati.

Le liste di nomi, oggetti e luoghi presenti in 225 capitoli divisi in 7 libri e quasi 700 pagine del volume di Ottavi, scandiscono le storie di vita di Lagerfeld in frammenti tematizzati in base ai diversi momenti di vita, dalla formazione – umana e professionale – all’ascesa, dal baratro dello spleen alla risalita mediante la dieta e la conseguente reinvenzione della sua immagine. Ottavi racconta frammenti di vita perché, vista la complessità dell’individuo e la molteplicità delle fonti di informazione, è impossibile restituire una visione unitaria di Lagerfeld.

Inoltre, il volume di Ottavi ricalca l’aneddotica del quotidiano che tanto piace a Lagerfeld, soprattutto nella versione letteraria, di cui ama citare l’episodio del diario dello scrittore Léautaud, in cui descrive minuziosamente l’acquisto della carne per il suo gatto in rue Dauphine, poco prima di fare visita alla Panthère, la sua amante. Il Karl lettore appassionato si diverte a fare collegamenti tra personaggi storici sia per curiosità innata, sia perché tracciare questi collegamenti gli aveva insegnato a tenere stretto il comando. Il romanzo epistolare e la diaristica erano per Lagerfeld paragonabili a L’arte della guerra di Sun Tzu, o a un manuale di sopravvivenza per un tedesco che cerca di galleggiare in una palude di aristocratici e borghesi. La stessa Chanel era consapevole dell’influenza dell’aristocrazia e si circondava di nobili russe squattrinate solo per entrare a far parte delle conversazioni nei salotti. Va bene il talento, ma, come ogni storia insegna, se non c’è nessuno di autorevole a farsi da garante, si può rimanere assistenti a vita. A questo punto non bisogna meravigliarsi se Karl ha scelto di configurare uno stile personale a mo’ di moderna armatura. Doveva lottare per affermarsi.

E così fanno capolino il ventaglio e gli occhiali da sole, accessori glamour di difesa che lo agevolano nella pratica dell’osservazione partecipante, e lo ricoprono di una patina snob. Il fine ultimo sarebbe diventare invisibile per guardare meglio cosa gli succede intorno. Diventare occhi.

Il voler guardare di Karl sfocia in un edonismo retinico, la sua unica fonte di piacere perché trova il sesso “quasi degradante”. Meglio ammirare la nudità che appropriarsene con l’amplesso: mescolare umori e carne andrebbe contro la mania per l’igiene che lo spinge a cambiare biancheria una volta al giorno e a indossare camicie diverse di mattina, pomeriggio e sera. E ancora, le forti emozioni causano perdita del controllo, di cui Lagerfeld è terrorizzato. Per non parlare di droga, alcool e promiscuità, abitudini rimproverate a buona parte del suo clan, che ne paga le conseguenze negli anni Ottanta falciato dall’AIDS. Lagerfeld sopravvive mantenendo il distacco, restando impassibile persino quando scopre la liaison tra l’amato Bascher e Saint Laurent, avvicinatosi al dandy per fare torto a Karl, ma poi rimasto scottato da un folle e mai ricambiato amore. Lagerfeld gode perché sa di poter nuocere a Bergé senza sporcarsi le mani, tanto che il compagno di Yves lo accusa di aver usato Bascher per destabilizzare la maison. Di sicuro, attraverso Jacques, Karl incrocia il suo fato con altre figure leggendarie, tra cui Michel Foucault, Francis Bacon o Robert Mapplethorpe, tutti accomunati dagli stessi luoghi di voluttà. 

E là si indossa l’armatura più lucente, per tenere lontano i piantagrane alla ricerca del contatto fisico. Lagerfeld, bardato a festa, vive la notte fugacemente, con passaggi di un’ora nei club più ambiti come Le Sept, prima, e il Palace, dopo. Del Palace scrive addirittura Roland Barthes su Vogue-Hommes di maggio 1978, tanta è la fascinazione suscitata dal luogo dove si fondono scintillio, musica e desiderio. Il valore aggiunto del Palace sta negli infiniti possibili incontri, “nell’esplorazione di sensazioni visive nuove, dovute a tecniche nuove”. Non a caso il Palace nasce dalle ceneri di un vecchio teatro, termine che deriva da ϑεάομαι “guardare”. È il luogo perfetto dove esercitare l’edonismo retinico, meglio se a inizio serata, quando la volgarità non raggiunge ancora l’apice determinato dalle sostanze. Karl ricopre il ruolo di spettatore pagante perché finanzia tutte le feste, tra cui la leggendaria “Dalla città dei Dogi alla città degli Dèi”, a tema carnevale veneziano. Lagerfeld ama viziare il suo clan con gli effetti speciali e sa che la reputazione si mantiene con il pane e il circo, la struttura su cui poggia il talento. L’atmosfera, come nota Ottavi, è da romanzo, sia di giorno che di notte. Un romanzo voyeuristico.

La visione come soddisfazione del desiderio viene di sovente fatta coincidere dal senso comune con la pornografia, industria mediale ritenuta agli antipodi di classe e eleganza. Karl vi ricorre per una piccola vendetta a sangue freddo contro la stampa, ma anche spinto da una sincera ammirazione verso quei corpi abili a recitare in maniera così vivida. Dopo aver fatto sfilare in minigonna le modelle di Chanel, nel luglio 1990, viene definito volgare da un giornalista di Humanité. Karl cova rancore e tre anni dopo, in Italia, dove gode di maggiore libertà, si fa aiutare da Riccardo Schicchi per presentare la nuova collezione di Fendi con la partecipazione dei maggiori nomi dell’industria pornografica capitanati da Moana Pozzi. A Karl interessa la libertà con cui chi fa pornografia comunica la propria immagine, la forza con cui si esprimono, che funge da contraltare al disagio del perbenismo, dove i limiti della trasgressione sono soggetti a tendenze, più restrittive nella contemporaneità. In definitiva bisogna sempre fare i conti con il clima di un’epoca.

Più che comprendere lo spirito del tempo, Lagerfeld accoglie lo spirito della moda perché scappa dal passato inseguendo il rinnovamento, etica che lo spinge a rimanere 20 anni da Chloé, 54 da Fendi e 36 da Chanel, attraversando mille progetti e collaborazioni. Karl ha grande rispetto del presente che lo spinge a specializzarsi nel pastiche di codici (Chanel), stili (delle subculture del momento) e linguaggi. 

Si rivede nel proverbio tedesco “non si fa credito sul passato”, anche se è dal passato che intravede il suo progetto di vita e recupera i capitali persi dopo 10 milioni di franchi pagati allo Stato francese per evasione fiscale. Karl, infatti, aveva rinnegato la pariginità per diventare monegasco dopo l’elezione di François Mitterrand alla presidenza. Non voleva perdere soldi in tasse.

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Moana Pozzi per Fendi 1993.

L’essere apolide-ex parigino e senza legami sentimentali rende i beni materiali gli unici a entrare nella sua sfera emotiva, almeno in teoria. Ogni volta che decide di stabilirsi ricompone la camera della sua infanzia, mentre l’altro mobilio cambia in base alle tendenze o al luogo. Il modo di essere di Karl ha inizio da un oggetto, un quadro chiesto in regalo da bambino, una copia della Tavola rotonda del re Federico II a Sanssouci di Adolph Menzel che gli appare immediatamente come la finestra sulla sua vita futura. A quanto riportato nel volume di Ottavi, il piccolo Karl era ammirato dai capelli incipriati dei commensali, acconciatura che diventa il suo elemento distintivo da adulto. Da qui deriva anche la passione per il XVIII secolo francese, secondo Lagerfeld modello della vita “come merita di essere vissuta”, la meta a cui ambire. Attorno alla tavola rotonda di Menzel c’erano alcune delle persone-forza motrice del Settecento, tra cui Voltaire, e Karl ambisce a formare la sua personalissima cricca con cui arredare le dimore insieme al mobilio, specchio delle sue passioni momentanee.

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Tavola rotonda del re Federico II a Sanssouci, Adolph von Menzel 1850.

Karl colleziona case che riverberano l’atmosfera del momento di vita, elette a dimora prediletta quando appende la copia del Menzel. Forse l'avrebbe appeso anche a “casa Ando” a Biarritz, il suo progetto più ambizioso, mai realizzato poiché ostacolato sia dall’amministrazione francese che dai militanti baschi.

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Foulard del marchio omonimo Karl Lagerfeld che celebra la sua mania di collezionare mobili.

Per sopperire alla rapidità dello scorrere del tempo, Karl accumula abbuffate in senso stretto e lato, fagocitando senza sosta cose, relazioni interpersonali, e cibo, sino alla nausea. Era un modo per tenere a bada lo spleen. Karl non era mai contento di sé, e si perdeva nell’ebbrezza della man bassa, proprio lui che aborriva i vizi. Il suo stato d’animo, seppur nascosto dall’armatura ventaglio-occhiali scuri, era riflesso dai marchi con cui si vestiva: lasciato il su misura italiano del periodo con Jacques, si nasconde tra le pieghe oversize dei minimalisti giapponesi con Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo che rifiutavano le forme del corpo. Un corpo in cui Karl non vuole più stare. La sua silhouette iconica viene determinata da un nuovo innamoramento, questa volta per uno stile, oggi considerato tra i meno inclusivi al mondo. Si tratta dello slim di Hedi Slimane, che da Dior-Homme, a fine anni Novanta, imprime sull’uomo un contegno, riuscendo in un’impresa simile a quella di Coco Chanel per le donne.

Karl non può fare altro che ammirare da lontano, pesa troppo. All’improvviso guardare non gli basta più e decide di partecipare alla rivoluzione estetica, dimagrendo. Perde 42kg in 13 mesi e esplode in corpo mediale, quello che stamperà come segno distintivo sugli oggetti di moda prodotti con il suo marchio. 

Le modificazioni dell’aspetto di Lagerfeld sono dettate dalla moda che a suo parere cambia, più dei vestiti, il corpo delle persone. E per amore della moda ricompone la sua frattura trentennale con Saint Laurent, che indossa una volta sotto la direzione di Slimane, pur se a netto delle etichette. Panta rei, anche il ventaglio. 

Secondo Lagerfeld durare nel sistema moda è malsano. Lui ha fluttuato, tra vari marchi, per quasi settant’anni celebrando il “lato effimero della moda”, senza guardare indietro. Vuole essere l’alfa e l’omega delle sue creazioni, ragion per cui considera morbose le retrospettive di moda. Considerando l’umoralità del Kaiser, sicuramente avere una mostra a suo nome al Metropolitan Museum di New York “Karl Lagerfeld: A Line of Beauty” (5 maggio-16 luglio 2023) lo divertirebbe. Non garantisco un parere favorevole sull’allestimento, dato che, racconta Ottavi, pare abbia fatto rimandare per ben cinque anni una mostra dello stesso MET dedicata a Chanel per divergenze di opinioni. 

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Karl è il motivo dei suoi oggetti di moda.

Scendere a patti con il passato vuol dire esserne ossessionati e volervi per forza ritornare. A Karl non piace la nostalgia, rende il presente di seconda mano.

Una molla non si muove all’indietro, la sua elasticità le imprime forza facendola tendere a qualcosa anche quando ritorta su sé stessa: significa che sta preparando un nuovo balzo verso il futuro.

Nell'immagine di copertina, Karl Lagerfeld e Anna Wintour ai BFA 2015. I due erano grandi amici.

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