La donna che ride di Dio
«Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi piani» recita un popolare detto ebraico. Il riso è qualcosa di complicato e di difficile da catturare; come l’essere di Aristotele, del riso se ne può dire in molti modi. Per alcuni è offensivo, per altri un segno di intelligenza, per altri ancora è intrinsecamente sovversivo. Per il monaco Jorge, in Il nome della Rosa di Umberto Eco, è qualcosa da combattere anche mentendo, bruciando una biblioteca, persino uccidendo.
Il riso intelligente è rivoluzione ed è, quindi, qualcosa di terribilmente serio. Lo è sicuramente per Roberto Mercadini, che ha fatto della risata un’arte per dare vita alla cultura e che, nel suo ultimo libro La donna che rise di Dio (Rizzoli, 2023), parla del riso, delle donne e degli uomini, di Dio e di molte altre cose, tutte divertenti, ma al tempo stesso profonde e inquietanti.
Non è un caso che il riso sia il co-protagonista di un libro che prende le mosse dal testo sacro per eccellenza, la Bibbia, qui riletta in una prospettiva inusuale e sorprendente. Mercadini è acuto e mai banale, a testimonianza del fatto che l’umorismo non è l’allentamento della tensione intellettuale, ma è piuttosto quell’increspatura che spezza l’ovvio e permette di intravvedere un livello più profondo.
Nel libro di Mercadini si ride perché ci sono mostrati i significati nascosti delle vicende, mai scontate, dei personaggi dell’Antico Testamento. E così scopriamo che «ogni re è nudo, ogni principe ha voce di ranocchio e nessuna bella addormentata può dormire sonni tranquilli». Ma soprattutto scopriamo che, in quelle pagine, Dio non è il motore immobile dei filosofi o la perfezione trascendente del credo niceno-costantinopolitano, ma un personaggio imprevedibile, a volte contraddittorio, spesso umano (troppo?), pronto all’ira come al ripensamento. E anche gli uomini e le donne sono imbarazzati e sorpresi da quello che Dio fa e dice. E almeno una, Sara, la moglie di Abramo, ne riderà.
In questo, come in altri lavori di Mercadini (penso soprattutto a Storia Perfetta dell’Errore, BUR, 2018), la cifra comune è il rapporto dinamico tra ordine e disordine: la lotta quasi hegeliana, tra tesi e antitesi nella ricerca di una nuova sintesi. Mercadini è teso tra una descrizione enciclopedica della realtà – che si esprime nel gusto della nomenclatura sistematica – e l’attesa messianica dell’eccezione che spezzerà il sistema. Costruisce per distruggere e distrugge per costruire di nuovo.
Nei suoi testi abbonda la figura retorica del chiasmo. Mercadini si diverte a incastonare in piccoli urobori epistemici – quasi come un gioielliere che incastona gemme negli anelli – quel movimento retrogrado del vero (Bergson) che chiude un ciclo senza tornare mai allo stesso punto: i pesci sono fuor d’acqua, gli asini sono pazzi come cavalli, la lunaticità è regolare, le spade donano la vita, le religioni sono laiche, l’incertezza è certa, i porci sono casti e – a questo punto inspiegabilmente – la ragione è irragionevolmente ricercata.
In tutto questo movimento, neppure il Dio dell’Antico Testamento può restare indifferente. Anche in lui (loro, lei) si deve manifestare il dinamismo intrinsecamente contraddittorio dell’esistenza; correre è cadere rialzandosi. Così Mercadini, sia come scrittore sia come monologhista, assume i panni del giullare che sbugiarda il re nudo, la sapienza consolidata, il punto di vista canonico, perché solo così può portarci a un livello maggiore di conoscenza. Il riso, sempre intelligente, è la sua arma, affilato come la Katana di un suo protagonista, non è mai caduta verso il basso, non è mai il rotolarsi nella grevità di una sospensione della logica, ma è sempre la scommessa vinta di un’intuizione che sembrava impossibile. È il riso che ci premia per essere usciti dalle angustie di un labirinto di concetti che pensavamo invincibile.
Il riso segnala il sovvertimento di un ordine atteso e la comparsa di qualcosa di inaspettato, ma non arbitrario. Il riso è il vagito che accompagna la nascita di una nuova necessità. Un evento casuale non fa ridere. Per far ridere, l’imprevisto deve rivelare un ordine superiore che mette in discussione l’ordine esistente. Il riso è rivoluzionario, anarchico, temerario è «il battito di coda dell’esistenza, il modo in cui essa procede e si traccia una strada nelle tenebre».
In questo libro il riso, l’inaspettato e il sorprendente sono la chiave per comprendere il rapporto con la divinità che sembra commettere errori per poi mostrare agli increduli esseri umani che il divenire non è mai chiuso all’interno di una miope necessità. Dio non è prigioniero delle aspettative; non fa mai scelte ovvie, come potrebbe fare un amministratore o un politico, ma sceglie secondo una libertà ontologica che trova conferma nel suo stesso operare. Questa libertà mette in discussione le nostre certezze; come ha scritto Guccini, «l’Assurdo ci sfida per spingerci a essere fieri di noi». Dio è sfida, abisso, nulla che diventa tutto, tutto che diventa niente. Nello stesso modo, il rapporto con Dio non può essere sereno, ma è estasi, orgasmo, dolore, scandalo: «La parola di Dio brucia, fuoco nero su fuoco bianco».
In una pagina felice, Mercadini descrive tutta l’insicurezza del rapporto con Dio, che è così pericoloso da dover essere nascosto, innominato. Quando il sacerdote pronuncia il nome di Dio, il temuto tetragramma, «lo fa nella parte più interna del tempio di Gerusalemme […] mentre fuori gli shopharìm, i corni d’ariete, suonano a tutto volume perché nessuno possa udirlo». Contro la cultura della sicurezza, contro il politically correct, il Dio della Bibbia dà scandalo, mette gli esseri umani, da Giona a Giobbe, da Abramo a Mosé, da Giuditta a Sara, alle prese con l’assurdo: non lasciatevi ingabbiare, la realtà è viva e quindi esplosiva, non contenibile. Un proverbio della chiesa dice: «Non c’è peggior cosa per un vescovo che avere un santo nel suo gregge». Il santo è la manifestazione diretta di Dio e frantuma la normalità burocratica delle liturgie. Troppo spesso invece le religioni positive «subiscono una trasformazione chimica: da conduttori a isolanti». E, aggiungo io, non solo le religioni, ma anche le accademie e le università. Invece, ci ricorda il giullare serio Mercadini, «dove non c’è un terrificante pericolo, non c’è neppure vera sacralità».
Non posso e non voglio citare tutti gli episodi della Bibbia che Mercadini rilegge in chiave originale e attuale. Ma almeno l’episodio di Giacobbe, ovviamente salvato da una punizione, va citato. Il futuro eponimo di Israele lotta per tutta la notte contro un nemico misterioso, forse una proiezione junghiana di se stesso, forse Dio; contro un avversario che è la personificazione della alienità da cui proveniamo e che ci spinge a farci trovare la vita invece che temere la morte. Non a caso Mercadini commenta «abbiamo bisogno di affrontare un esilio, abbiamo bisogno di restare svegli la notte, di incontrare l’estraneo che ci sbarra la strada, di restare soli contro qualcosa che non ha nome». E non può avere nome, perché se lo avesse, sarebbe già parte dell’ordine esistente.
Mercadini lotta con l’ordine imposto perché privo di aria. Lo descrive, lo sfrutta, ma poi lo frantuma con un’eccezione che si incunea in quell’unica impercettibile crepa che nessuno aveva visto. E l’ordine, come va costruito, va distrutto perché, quando sta per completarsi, preclude l’infinito-altro, nega l’assoluta e inesauribile estraneità del non-ancora-qualcosa, ovvero Dio. La vita non può essere ridotta a conoscenza compiuta; l’esistenza non può essere ridotta a linguaggio; e quindi Dio diventa il giullare di se stesso, si ricrea come manifestazione ultima del suo potere che non può essere schiavo neppure di se stesso.
Dio si incarna per la disperazione dei profeti che si sentono letteralmente stuprati da Dio e dal ruolo che viene imposto loro. Vi è sempre in Dio un certo grado di violenza, persino nel nuovo Testamento come si vede benissimo nell’onda che esprime, per la prima volta nell’iconografia cristiana, la Maria dell’Annunciazione di Simone Martini. Dio genera e crea e la vera creazione non può essere tautologica. Non è un caso che le pagine della Bibbia grondino di sesso, omicidi, guerre, distruzioni, stupri e che la conoscenza indichi quasi sempre la copula; termine che tra gli uomini indica il sesso, ma anche l’unione tra proprietà e individui, tra potenza e atto, tra essere ed essenza. Sbagliava Borges, la copula non è diabolica perché moltiplica gli enti, ma divina.
Significativamente, Mercadini sottolinea un fatto inspiegabile. Nella Bibbia la decisione di procedere a un censimento viene raccontata come un’abominazione suggerita dal demonio. I numeri sono il simbolo di una rappresentazione meccanica della realtà, l’espressione di un ordine privo di soprese, una vita priva di riso. Ma Dio ci ricorda che la vita è più forte della ragione, la potenza dell’essere è più forte della necessità logica. La divinità, che è potenza infinita, può ridere dei binari della nostra ragione e lo fa scegliendo, a bella posta, la persona più sbagliata per portare a termine le sue missioni. E l’uomo, anzi una donna, riderà di Dio. Il riso sconfigge la necessità, non perché cade nell’arbitrio, ma perché annuncia la possibilità infinita di creare nuove, incommensurabili, realtà. Il riso è l’orgasmo che accompagna la copula tra noi e l’imprevisto che genererà il nuovo.
Nei suoi libri, Mercadini realizza un carnevale dell’intelligenza dove il sovvertimento caleidoscopico dell’ordine del senso comune è il prisma dal quale esce una nuova prospettiva sulle cose e sulla vita. Un detto ebraico dice «prima di pronunciare una parola sei il suo padrone, dopo che l’hai pronunciata sei il suo schiavo». Il Dio della Bibbia non può essere schiavo della parola e ci insegna a liberarcene, non nel senso di venire meno alla parola data, ma nel senso di andare oltre. È il segreto dell’umorismo. Il riso è espressione della potenza prima della necessità, della libertà prima delle parole, della vita prima della teoria, delle persone prima del loro censimento. E chi, meglio della donna, capace di generare, può ridere di – e con – Dio?