Le provocazioni di Helmut Newton 

26 Aprile 2023

La moda vissuta attraverso la monumentalità del corpo che la veste: Helmut Newton (1921-2004) è l’autore rivoluzionario per eccellenza, uno dei versanti più ripidi formati in questo genere fotografico. A lui dobbiamo la nascita di un nuovo e intero immaginario femminile, facilmente evocabile coi suoi scatti di donne monolitiche, aggressive e pericolose, le vere, nuove protagoniste di se stesse, di ogni loro scena. La mostra Helmut Newton. Legacy, allestita negli spazi di Palazzo Reale a Milano e curata da Matthias Harder e Denis Curti, ripercorre grazie a più di 200 immagini le cinque decadi di attività ininterrotta del fotografo berlinese, in cui, spaziando dai servizi di moda per Vogue a quelli per Playboy, ha giocato sempre con gli estremi illogici cui la fotografia può tendere, sia che racconti una storia, sia che mostri il corpo statuario delle donne più iconiche del suo tempo. 

La suddivisione in periodi cronologici della carriera di Newton aiuta ad addentrarsi nella crescita vertiginosa della sua attività inventiva, sempre più ardita nell’elevare la rappresentazione della moda alla sua esplicazione iconografica naturale, la donna a potenza pura: dalla scelta di un prototipo specifico di fisicità femminile, quasi michelangiolesca nella rivelazione della forza della linea muscolare, alla narrazione continua dell'attrazione fatale cui ogni elemento la circondi deve cedere per forza. Indossare Yves Saint-Laurent diventa, in Newton, il gesto affermativo per eccellenza, la dominazione femminile necessaria a ristabilire quell’ordine, principalmente estetico, che mancava del tutto. Così vederla in un abito di taglio maschile, in mezzo a una stradina di notte, circondata dall’aura della mascheratura che ne accentua l’atmosfera di apparizione definitiva e necessaria, significa la possibilità di affermare la propria intera identità – senza neanche il bisogno di guardarci negli occhi dell’obiettivo. 

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Helmut Newton, Rue Aubriot, Yves Saint Laurent, Vogue Francia. Parigi, 1975 Rue Aubriot, Yves Saint Laurent, French Vogue. Paris, 1975 © Helmut Newton Foundation.

Dai primi passi degli anni Sessanta, e a partire da quelli, Newton inizia a cogliere e ad accentuare l’aspetto dominante, il nucleo fondativo di quel suo nuovo mondo femminile – con tutti i limiti che nel dibattito odierno potrebbero essere sollevati o contrastati – rintracciandolo appunto nella sua stessa auto-affermazione, rendendo il sesso maschile, quando presente, quello realmente in svantaggio nei suoi confronti. L’auto-affermazione delle donne di Newton avviene spesso in contesti urbani e industriali, se non direttamente nel lusso sfrenato parigino: anche questo elemento getta una luce diretta sull’innovazione di un immaginario allora incancrenito su una certa retorica, sull’inturbabilità in cui doveva muoversi la sinuosità femminile – da Irving Penn a Horst P. Horst, la donna veniva magnificata in contesti spesso “protetti”, esteticamente asserviti alla sua celebrazione stilnovistica; in Newton la donna scende sulla terra senza rinunciare a una potenza si direbbe sovrumana, arrivando a magnificarsi autonomamente in ogni contesto le capiti di essere guardata, che sia su uno sfondo di ciminiere e tralicci dell’elettricità o mentre spolpa un pollo con le mani cariche di gioielli Bulgari. Anche quando ci viene incontro con una gamba totalmente ingessata e col collare al collo, anche così Newton ci dimostra quanto non serva a nulla reprimere la carica di naturale attrattiva che la donna può provocare. 

Il richiamo nei suoi scatti a molte opere d’arte, pittoriche e cinematografiche, appare spesso evidente quando non rivelato nel titolo; il gesso alla gamba pare la rivisitazione della Tristana di Buñuel, interpretata da Catherine Deneuve, una delle muse predilette di Newton.

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Helmut Newton, Catherine Deneuve. Esquire. Parigi, 1976 Catherine Deneuve. Esquire. Paris, 1976 © Helmut Newton Foundation.

O come la nota immagine “After Velázquez, in my apartment, Paris 1981”, che vuole riprendere con fedeltà la posa della “Venere allo specchio” del pittore spagnolo di età barocca – sicuramente un periodo della storia dell’arte presente nell’immaginario di Newton, così come quello dichiarato del Surrealismo. Specialmente questo richiamo specifico rivela strati sotterranei dell’opera del fotografo tedesco, dal momento che il dipinto originale, oggi conservato alla National Gallery di Londra, fu oggetto dello scandaloso attacco del 1914 da parte della suffragetta Mary Richardson – aneddoto quanto mai attuale – che infierì sull’opera con numerose coltellate, sfregiandola indelebilmente come atto estremo di protesta. A prescindere dal fatto che il riferimento possa o no essere stato casuale, il cerchio argomentativo di Newton attorno alle sue tesi sul femminile appare in questo modo definitivamente suggellato. Questo scatto si rivela importante anche per un altro aspetto, più strettamente legato al percorso di Newton, come uno dei tanti segnali del suo passaggio, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, dalla moda al nudo. Come anche altri maestri, da Picasso a Stravinskij, esiste in Newton una cesura netta tra i suoi due “periodi”, che vedono il suo occhio spostarsi dalla stoffa alla carne, dal significato che assume ciò che si indossa a quello del corpo in sé, privo di ornamenti. La sala dedicata ai lavori che testimoniano questa svolta cruciale è il vero “sancta sanctorum” dell’intera mostra, in cui sono allestiti i nudi femminili a corpo intero e stampati a grandezza naturale rimanendo fedeli alla gelatina d’argento. Sempre riuscendo a instaurare un dialogo diretto non solo coi suoi soggetti, ma anche con la sua storia iconografica, Newton ha ereditato indubbiamente da molti maestri una lontana ma significativa impronta, specialmente tra i grandi nomi delle avanguardie europee, da Man Ray a numerosi autori tedeschi. Quando afferma, infatti, che il suo “ruolo come ritrattista è quello di sedurre”, rende nota la propria primitiva volontà di introdursi nell’intimità dell’altro – arte di cui la scuola tedesca è maestra – provocarlo alla malizia, renderlo libero di uscire dal recinto e provocare chi lo guarda. La grandiosità e l’illogicità delle narrazioni di Newton paiono far vivere quella stessa grandiosità di un sogno cui tutta la moda pare tendere naturalmente, senza sforzo, raggiungendo lei sola quella dimensione di “ultra-possibilità” a cui al solo uomo pare essere del tutto preclusa. Newton vi accede con naturalezza, cerca e ricrea gli angoli migliori da cui spiare le azioni in cui si congelano per noi, solo per un momento, le sue muse monumentali, a figura intera, inquadrando dalla terra al cielo tutto ciò che toccano.

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Helmut Newton, Vogue Italia. Como, 1996 Italian Vogue. Como, 1996 © Helmut Newton Foundation.

O fuggendo per certe strade di cemento, annoiate a bordo piscina, appoggiate distrattamente al balcone, immobilizzate sempre nell’attimo del loro essere così come sono, nonostante noia o distrazione, e nell’aggressione della luce, desiderabili sempre. 

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Helmut Newton, Elsa Peretti vestita da coniglio. New York, 1975 Elsa Peretti as a Bunny. New York, 1975 © Helmut Newton Foundation.

E così, varcando la soglia degli Eighties, si diceva, arriva la decisiva scoperta della carne nuda, levigata come prima di lui ossessionò Herbert List dei suoi amici e amanti, fermati nella forma perfetta dei giochi dei loro muscoli tra le rovine di Atene. In questo periodo nascono i noti lavori Big Nudes e Naked and Dressed, in grado di consacrarlo definitivamente. Qui le donne di Newton diventano titane, non potendo, noi a guardarle, non far altro che restare uomini distanti, minute comparse. Specialmente nel secondo lavoro, in cui il fotografo fa posare vestite e poi nude nella identica posa le modelle, pare voglia dialogare col parallelismo già inscenato da Goya con le sue “Maya desnuda” e “Maya vestida”. Il paragone speculare tra le modelle prima vestite e poi nude nella stessa posa, sempre a grandezza naturale, crea il doppio per eccellenza – tema di matrice surrealista molto caro a Newton e approfondito con l’uso frequente dei manichini – un prima e un dopo che si annullano nell’immobilità ricreata dei corpi, significanti prima e dopo nudi significati di se stessi. 

Il potere inventivo di Newton può essere forse definito una sorta di prolifica follia innocua, grazie alla quale è riuscito a far vivere e respirare senza rimorsi le visioni del suo eccentrico spirito sessuale – “esprit sexuel” – e trasgressivo, ma sempre ludico e teatrale.  

Ne è la prova il video che si può vedere in mostra tratto dal documentario diretto dalla moglie di Newton, June – in arte Alice Springs e anche lei eccellente fotografa – intitolato appunto “Helmut by June”, del 2007: qui si vede il fotografo su alcuni dei suoi set, tra cui quello in Francia con Luciano Pavarotti e altri in sontuose location con piscina e modelle, espertissimo a divertirsi divertendo il proprio pubblico che pure svolge il ruolo di sua compagnia teatrale, magistralmente orchestrata dal capocomico, a sua volta padrone spregiudicato delle proprie voyeuristiche visioni: così lo si vede sempre, sempre maestro nell’impartire gli ordini necessari perché i millimetri delle pose prendano la propria forma finale al suono del suo imperscrutabile e decisivo: “Ok, ci siamo”. 

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Helmut Newton, Autoritratto. Monte Carlo, 1993 Self-portrait. Monte Carlo, 1993 © Helmut Newton Foundation.

La retrospettiva Helmut Newton Legacy, corredata da un catalogo edito da Taschen, sarà visitabile presso Palazzo Reale a Milano fino 25 giugno 2023.

“L’esposizione fa parte della Milano Art Week (11-16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura di Milano, in collaborazione con miart, fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano”. 

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Marco Belpoliti, I nudi iperrealisti di Helmut Newton

 

Helmut Newton, Era delle machine, Thierry Mugler, Vogue America. Monte Carlo, 1995, Machine Age, Thierry Mugler, American Vogue. Monte Carlo, 1995 © Helmut Newton Foundation.

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