Un paese / Paul Strand, la visione frontale e Zavattini

19 Marzo 2022

“Una cosa è fotografare la gente; un'altra è rivelarne l'essenza umana cosicché altri ne siano toccati. I grandi maestri della pittura lo facevano come se fosse la cosa più naturale del mondo, e con estrema semplicità di mezzi. Questo libro, Un paese, viaggia su quella strada, o perlomeno ci prova”.  Così Paul Strand spiega, con queste poche, ma dense parole, lo spirito e la vocazione del suo contributo al photobook più importante della storia della fotografia. Il testo, com’è noto, è di Cesare Zavattini. Si tratta in realtà di una raccolta di interviste ad alcuni suoi concittadini, testimonianze dirette della loro condizione e delle loro storie famigliari appena attraversate dalla Seconda Guerra Mondiale. La fortuna critica di Un paese (1955) è stata analizzata a fondo in una recente mostra dal titolo Paul Strand e Cesare Zavattini, Un paese. La storia e l’eredità tenutasi a Reggio Emilia nel 2017 a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi. Il photobook non solo dettò singolari rapporti tra testo e immagini, ma indicò inediti percorsi di ricerca in altri campi come la sociologia, l’antropologia e l’urbanistica.

 

Ricordiamo brevemente le recensioni di Franco Fortini (1955) e di Achille Ardigò (1956), il rilancio del progetto da parte di Paolo Toschi (1955) che suggerì di unire la registrazione dei suoni a fianco delle interviste e delle fotografie. Ma a rilanciare con forza il progetto è lo stesso Zavattini che il 15 maggio del 1955, appena un mese dopo l’uscita del libro, si accorge di queste profonde valenze che andavano oltre la bellezza apollinea delle fotografie di Strand e dall’edizione estremamente curata da Oreste Molina e dal giovane redattore di Einaudi, Italo Calvino. Scrive nel “Diario Cinematografico” le sue impressioni mentre era in volo verso Mosca: “Penso: se l’aereo precipita, farei in tempo in quel mezzo minuto a pensare alle mie faccende? Credo che un pensiero tanto brutto viene perché poco fa, a proposito di coscienza, mi sono dovuto confessare che il libro di Strand e mio avrebbe bisogno di un ritocco nella seconda edizione, se ci sarà. […] Perché ci sono delle carenze piuttosto serie in quel libro per la parte che mi riguarda, ci manca una dozzina di pagine divise press’a poco così: quattro pagine ai ragazzi […]; interrogare i ricchi […]; interrogare una cinquantina di madri di ogni età […].

 

Forse nel libro c’è anche qualche mio risentimento, sia pur velato, che chiamerei di classe […]. Per cui non ho nominato […] le grandi dinastie luzzaresi dei boschi, del formaggio, dell’uva […] gente che lavora duro da un tempo infinito”. Sicuramente i racconti, le interviste dei suoi concittadini sono stati fondamentali nel convincere lo scrittore a ripensare al progetto, ma lo sono state anche le fotografie di Hazel Kingsbury, fotoreporter in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale e poi assistente della fotografa di moda di Louise Dahl-Wolfe e moglie di Paul, come le stesse fotografie dallo stile monumentale di Paul Strand, che non furono sempre apprezzate dalla critica contemporanea. A Zavattini infatti si rimprovera di essere passato disinvoltamente dall’idea di “affidare a giovani fotografi il compito di viaggiare per l’Italia con una Leica o una Condor”, così come lui stesso scrive nella prefazione di Un paese (Zavattini, 1955) a una figura imponente e autorevole come Paul Strand: il grande padre del modernismo americano (Gasparini, 2017). Paul Strand venne in Italia accompagnato dalla moglie Hazel, che si rivela una figura fondamentale per la realizzazione del progetto di Un paese.

 

Insieme al marito, durante i loro sopralluoghi a Luzzara nel 1952 prende appunti, note su carta da zucchero e scatta fotografie che Luigi Ghirri definì: “le sinopie del grande affresco di Strand” (Costantini-Ghirri, 1989). Di lei, lo stesso Strand afferma che: “I nostri rapporti sul lavoro sono quelli di profonda sintonia e collaborazione, che viene a una persona dal guardare con gli stessi occhi di un’altra, un guardare che include la critica come forma del più profondo interesse”. Hazel utilizza una macchina fotografica di medio formato, 6x6 cm, e le stampe, di piccolo formato, anch’esse quadrate. Strand utilizza invece la Deardoff 8x10 cm e la Gaflex 5x7 cm che richiedono l’impiego di un cavalletto. Il reportage di Hazel non mostra una vera e propria sequenza, ma suggerisce un itinerario ideale tra “paesaggi anonimi”, così difficili per Strand, e tra gli sguardi e i volti della gente. Nel 1958 Strand afferma: “Visivamente, di primo acchito, Luzzara sarebbe stata l'ultima scelta: paesaggio piatto, architettura blanda, la negazione del pittoresco all'ennesimo grado”. Ancora una volta Strand esprime concetti estetici cari al modernismo e alla pittura romantica. Il ruolo di Hazel fu quindi determinante nel mettere a fuoco il progetto.

 

I paesaggi e i diversi ritratti della famiglia Lusetti ne sono un chiaro esempio: Hazel individua nella famiglia di Valentino Lusetti, loro guida dal 1952 al 1954 grazie alla conoscenza della lingua inglese appresa in campo di prigionia durante la Seconda Guerra Mondiale, il modello della famiglia contadina. Ritrova quella “essenza umana” che Strand andava da tempo cercando nei suoi diversi progetti, prima in Messico poi in Francia, in Scozia, in Egitto e infine in Ghana.

 

Hazel Kingsbury Strand, La famiglia Lusetti, Luzzara, 1953 – Fondazione Un paese, Luzzara


La fotografia della famiglia Lusetti di Hazel è un semplice ritratto di persone sorridenti (fig.1), molto probabilmente felici, divertite e curiose di posare per un fotografo che certamente non bazzicava nelle pianure assolate o nebbiose in inverno sulle rive del fiume Po, non essendoci, per quei tempi, nulla da fotografare. Le diverse fotografie di Paul Strand della famiglia Lusetti (fig.2,3), e non solo, non raccontano soltanto del luogo e dei suoi abitanti, ma anche il suo modo di vedere, di raccontare e della sua poetica. 

 

Paul Strand, The family (Lusetti), 1953 - The J. Paul Getty Museum (Malibu) e Minneapolis Institute of Art, Minneapolis (Minnesota), © Aperture Foundation.

 

Paul Strand, The family (Lusetti), 1953 - The J. Paul Getty Museum (Malibu) e Minneapolis Institute of Art, Minneapolis (Minnesota), © Aperture Foundation.


Scrive Zavattini in merito: “Calmo, guarda l’oggetto poi subito il cielo, ingoia immagini come un formichiere […]. Si poteva dare perfino il caso che la gente lo supponesse affrettato o troppo confidenziale nel vederlo preparare la macchina davanti a una cosa e poi abbandonarla lì nella strada come rimarcando più la qualsiasità che la eccezionalità, ma quando tornava, riscuoteva tutti i diritti della calcolata assenza durante la quale sapeva bene il genere di connubio che quel tempo preciso e quello spazio preciso avrebbero combinato. Talvolta il problema gli si poneva con una delle sue semplificazioni: un centimetro a destra o a sinistra, oppure sotto oppure sopra, oppure un minuto di più o meno l’obiettivo aperto. Oscillava senza mai palesarlo tra la distanza che si identifica con l’infinito geometrico e il battito dell’orologio, il quale all’orecchio di Strand senza dubbio aveva sussulti e linguaggi fatali”. 

 

Paul Strand è celebrato come uno dei pionieri della fotografia modernista, è stato tra i primi ad aver abbandonato l’estetica del pittorialismo a favore della fotografia diretta che si basa sul principio della cattura quasi immediata del soggetto, senza elaborazioni tecniche, ma che si affida alla composizione nel rettangolo dell’inquadratura della macchina fotografica. Grazie a un’attenta strategia formale si afferma il pensiero, la poetica, lo sguardo dell’autore. Per farlo Strand abbandona la concezione dello spazio organizzato secondo un punto di fuga che suggerisce la profondità a favore di uno spazio frontale. Adotta il principio di nitidezza dell’immagine e per ottenere la profondità spaziale utilizza fondali neri, elementi ortogonali come porte e finestre, modifica più volte le pose dei personaggi per studiare la composizione dell’insieme. Esegue alcuni scatti differenti, ritratti a due a due dove però l’androne nero è sempre presente, parti dell’insieme e poi, anche in questo caso, pose e scatti differenti, la famiglia intera. In uno scatto si nota che Remo Lusetti, l’uomo posto di fianco sulla soglia, è assente (fig. 3). È uno dei tentativi per giungere all’immagine che poi verrà scelta per la copertina, così come mostrano anche gli altri ritratti 

 

Paul Strand, Mrs Lusetti and two Sons, Luzzara, Italy, 1953 (Paris, Centre Pompidou - AM 1985-350), Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (Arizona), © Aperture Foundation.

 

Paul Strand, Signora Lusetti and one son, Luzzara, Italy, 1953, Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (Arizona); Howard Greenberg Gallery, NY, © Aperture Foundation.

 

Paul Strand, Signora Lusetti and one son, Luzzara, Italy, 1953 - Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (Arizona); Howard Greenberg Gallery, (NY), © Aperture Foundation.

 

Paul Strand, The farmer, 1953, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles; Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (Arizona), © Aperture Foundation.

 

Paul Strand, The farmer, 1953, The J. Paul Getty Museum, Los Angeles; Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (Arizona), © Aperture Foundation.

 

La casa, la zona antistante alla facciata dell’abitazione della famiglia Lusetti, sono i luoghi ideali per dare vita al suo sguardo modernista. La soglia, la porta, frammenti della facciata e delle finestre pongono lo spettatore faccia a faccia con l’immagine. “La fotografia” afferma Strand “è uno dei tanti modi di organizzare lo spazio bidimensionalmente”. E con questa affermazione dimostra la sua grande attenzione all’astrattismo, in particolare al cubismo di Braque (che in seguito volle incontrare a Varangéville in Francia nel 1957 per fargli un ritratto), ma anche al romanticismo che gli aveva insegnato a rimanere fedele alla pienezza del mondo così come appare. 

 

Strand coglie in pieno le regole del nuovo linguaggio, la fotografia, che ha profondamente cambiato l’approccio alla realtà. Elabora un linguaggio visivo che obbliga a organizzare le forme, ognuna delle quali è importante solo in quanto collegata alle altre. Strand afferma: “Alcuni fotografi hanno dimostrato attraverso i loro lavori che la fotocamera è una macchina – e una macchina                                   incredibile. Dimostrano che utilizzandola in modo puro e intelligente, si può farne lo strumento di una nuova forma di visione, con possibilità mai sfruttate, legate alla pittura e alle altre arti plastiche, ma che non le sconfiggeranno in alcun modo”. La sua convinzione di praticare una fotografia “oggettiva” attraverso un rigoroso metodo di lavoro, così ben descritto da Zavattini, consiste nello scegliere di avvicinare l'immagine al piano fotografico, integrando geometricamente tutti i suoi elementi, perché vuole ottenere una comunicazione più diretta possibile, senza filtri, una proiezione della realtà frontale da offrire allo spettatore, non vi è nessuna possibilità di analisi se non una ricostruzione, attraverso l’organizzazione dei piani (de Chassey, 2003). 

 

La visione frontale in fotografia avrà tra i suoi epigoni anche Walker Evans, un autore che insieme alle fotografie di Un paese, al concetto di qualsiasità coniato da Zavattini ha affascinato, in seguito, Gianni Celati e Luigi Ghirri, ma anche altri fotografi come Guido Guidi. Per Gianni Celati le fotografie di Evans sono “carezze fatte al mondo”, perché ha saputo dare dignità, con le sue vedute frontali, ai paesaggi marginali e soprattutto a soggetti apparentemente insignificanti (Ghirri, 1985). Tra il 1984 e il 1986 Ghirri e Celati collaborano insieme al progetto Viaggio in Italia e in seguito a Esplorazioni sulla Emilia. Celati, anni dopo la conclusione di quei progetti che modificarono profondamente la cultura fotografica oltre che letteraria, afferma che: “Ebbene, alle spalle di quel viaggio c’era una intuizione di Zavattini: prendi una carta geografica, chiudi gli occhi, punta il dito, e ti accorgerai che il luogo prescelto, qualunque esso sia, contiene tutto, ma proprio tutto. Zavattini la chiamava la qualsiasità”.

 

Mentre per Ghirri è la fotografia di Paul Strand e Walker Evans a essere il punto di riferimento nel suo lavoro: “Solo una poetica della marginalità, della poesia delle cose semplici, tra le solitarie brocche sui tavoli ricordando Morandi, e il crepuscolarismo dei filari dei pioppi, delle geometrie lievi costruite nei campi lungo le anse del fiume, che alterna la serena maestosità del suo lento scorrere alla minacciosa immagine mai sopita delle alluvioni e dei disastri” (Ghirri, 1989). Proprio in questa dimensione, sostiene Ghirri, “c’è ancora molto da scoprire e da vedere”. Gianni Celati riflette sulla visione frontale partendo anch’egli da Walker Evans e poi dal cinema di Michelangelo Antonioni: “[la veduta frontale] consente indugi senz’ansia, che spesso sono proprio tempi morti sul filo della narrazione” e che “è essenzialmente la scelta di una bassa soglia di intensità, d’un modo di narrare che evita le eccitazioni, e riporta tutto ad un pacato uso della rappresentazione” (Celati, 2011).

 

Nella fotografia della famiglia Lusetti di Paul Strand sono esplicitati questi principi poetici e formali tanto da essere scelta da William Golden, il grafico amico di Paul Strand, che progettò la sovracoperta di Un paese. Il titolo della fotografia è The family (1953) perché, a suo modo di vedere, essa comunica il messaggio umanista, così cercato dagli autori, del photobook. Come è noto la tonalità verde menta del fondo è il risultato di un errore tipografico (Shannon, 2017). L’impianto grafico di Golden risalta ulteriormente la fotografia della famiglia Lusetti in quando il suo stile predilige l’ordine degli elementi grafici, la semplicità e la leggibilità dell’immagine. L’impaginato è deciso prevalentemente da Strand in collaborazione con Golden e accettato da Oreste Molina della redazione di Einaudi. Per Strand e per i fotografi modernisti, l’immagine fotografica doveva essere trattata con “rispetto” e non come elemento grafico, come invece stava accadendo nell’editoria a partire dagli anni cinquanta del Novecento sulla spinta delle avanguardie sovietiche. Benché anche graficamente il photobook non presentasse elementi innovativi, la copertina e l’immagine The family divennero un punto di riferimento sia per l’opera di Strand che per la storia del photobook (fig.9). Strand propose questa immagine, e poche altre di Luzzara, nelle sue monografie e mostre successive tanto da diventare una icona anche nelle sue diverse versioni.

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