Katherine Rundell / Perché leggere libri per ragazzi anche da vecchi
Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio è un magnifico pamphlet appena uscito per Rizzoli, della scrittrice inglese Katherine Rundell, classe 1987, scrittrice fin dagli esordi letteralmente seppellita sotto una grandinata di prestigiosissimi premi. Leggendo questo breve saggio, preciso, acuminato e rapido come una freccia, si capisce anche perché. Il libro si rivolge a un potenziale interlocutore, uno fra i molti possibili che, a noi che lavoriamo nell’ambito della letteratura per ragazzi, è già capitato mille volte di incontrare nella persona di un semplice conoscente, ma anche di un lettore forte, di un giornalista o di un rispettato intellettuale. Lo scopo è quello di spiegargli per quale ragione leggere (bei) libri per ragazzi costituisca uno straordinario tonico per l’intelligenza e la vita, non tanto per i ragazzi che, naturalmente, non hanno vergogna a leggere libri per ragazzi, quanto per gli adulti, afflitti da vistose lacune, forme di sorprendente ignoranza, imbarazzanti forme di snobismo, ridicole pose di indifferenza, nonché calcificati e rozzi pregiudizi.
Giustappunto, Rundell, per spazzare il campo da vaghezze e ipocrisie, senza por tempo in mezzo all’inizio del testo fa il nome di un celebre scrittore, Martin Amis che in un’intervista ha incautamente (ma provvidenzialmente) dichiarato: «Le persone mi chiedono se ho mai pensato di scrivere un libro per ragazzi. E io rispondo: “Se avessi un grave danno cerebrale, forse sì, potrei anche scrivere un libro per ragazzi”». Viva la sincerità! D’altra parte questo è ciò che pensa gran parte della gente, sul tema, inutile negarlo, eccetto quando improvvisamente si mette in mente di scrivere libri per ragazzi. Il che, naturalmente, è anche peggio.
A partire da questa affermazione, Rundell organizza un’arringa difensiva da retore di prima grandezza: efficace, ben argomentata, incisiva, incalzante e persino commovente, perché, oltre all’eleganza e alla forza dell’eloquenza e del pensiero, le sue parole arrivano a toccare corde profonde, senza compiacere, pontificare, complicare.
Al lettore digiuno del tema, questo libello di appena 63 pagine servirà, infatti, oltre che da salutare bacchettata sulle dita, secondo le migliori tradizioni della letteratura per ragazzi d’antan, anche da utilissimo compendio per avviarsi alla conoscenza di un universo sconosciuto. Una porta principale per entrare, con tutti gli onori, nella regale dimora della letteratura per ragazzi, tracciata a rapide e convincenti pennellate: dalle sue edificanti origini, passando attraverso le fiabe, fino ad arrivare alla sua epoca d’oro e alla letteratura contemporanea. Difficile su argomenti di questa portata e ampiezza stabilire, in poche pagine, cosa dire. Ma Rundell, dotata dei ferri del mestiere – rapidità, leggerezza, esattezza, concretezza, insomma tutto ciò che serve a tener desta l’attenzione del lettore –, abilità senza le quali uno scrittore non può dirsi per ragazzi – con mano sicura ricorre agli argomenti giusti.
Delle fiabe, per esempio, senza andare tanto per il sottile, dice quello che va detto e di cui molti hanno un sacrosanto terrore: «Le fiabe vere raccontano la fame: fame di potere, soprattutto; ma anche fame di giustizia, amore, cambiamento e trasformazione, fame di altre persone. I personaggi si divorano tra di loro, talvolta letteralmente, finché non sono incastrati uno dentro l’altro come matrioske.» D’altra parte senza reticenze Rundell poco prima ha spiegato: «Da piccola, non nutrivo alcuna illusione sulla dolcezza dei bambini: sapevo dalla furia che avevo nel mio stesso cuore che i bambini erano spesso maligni, rozzi e sgarbati.» E per questo, come ben segnalano Stephen King in Danse macabre e Bruno Bettelheim in Il mondo incantato, i bambini si configurano come i lettori ideali di questo glorioso genere letterario.
Sempre sulle fiabe, citando la scrittrice e saggista Marina Warner, Rundell aggiunge che sono «ciò che di più vicino abbiamo a un esperanto culturale»; e che se inscenano ogni genere di violenza, ingiustizia, disgrazia, «lo fanno per denunciarne l’inutilità». E, a proposito di questo, chiosa: «i libri per ragazzi di oggi sono ancora pervasi dalla stessa vecchia e furiosa sete di giustizia che caratterizzava le fiabe.» Già: la giustizia, il bene e il male, grandi passioni dei bambini di ogni epoca. E prosegue: «intimamente legato al bisogno di giustizia, c’è un altro sentimento, il cugino più lieve della punizione: la meraviglia.»
Il tema della meraviglia, come ha scritto Giorgia Grilli nel suo mai abbastanza lodato Fate, insetti e Charles Darwin (in La letteratura invisibile 2011), è fondante quando si parla di libri e bambini: «In un mondo che apprezza fin troppo la posa blasé di chi ha già visto tutto, la letteratura per ragazzi si permette uno sguardo di stupore naïf» afferma Rundell. E portando a esempio la scrittrice Eva Ibbotson, aggiunge: «fuggì da Vienna nel 1934, dopo che gli scritti di sua madre furono banditi da Hitler; la sua opera è piena di uno sfrontato stupore per il semplice fatto di essere vivi. Trappola sul fiume mare (2001) possiede un tipo di meraviglia che altre forme di narrativa si vergognano di concedersi. Ecco perché è alla letteratura per ragazzi che si torna quando si vuol provare incanto, fame e brama di giustizia: per far scalpitare di nuovo il cuore del vecchio cavallo da battaglia chiuso dentro la stalla.» Ecco, accanto alla giustizia, la fame e l’incanto: la santa trinità della letteratura per ragazzi di tutti i tempi.
“Cuore da vecchio cavallo da battaglia” è davvero un’ottima espressione per esplorare l’anatomia di questo per i più inesplorato corpus letterario, perché esso, come già dichiarò la grande Alison Lurie in Non ditelo ai grandi, è spesso “surrettiziamente sovversivo”. E a proposito della natura profondamente e autenticamente politica della letteratura per ragazzi, Rundell cita Ursula Le Guin, quando dichiara: «Viviamo nel capitalismo. Il suo potere sembra ineluttabile, ma era così anche con i diritti divini dei re. Qualunque potere umano può essere contrastato e cambiato dalle persone.» E in modo tranchant chiude la questione: «I libri per ragazzi sono oggetti pericolosi sotto mentite spoglie: spade nascoste dentro ombrelli.»
Come non bastasse, Rundell mette in riga anche a San Paolo: «C’è naturalmente quel verso della Prima lettera ai Corinzi, capitolo 13: “Ora che sono diventato un uomo, ho smesso le cose infantili”. Ma scrivere quella che noi chiamiamo letteratura per ragazzi non è una cosa infantile: infantile è mettersi le dita nel naso e mangiarsi le caccole, fare i capricci quando non te la danno vinta. Il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti è infantile. La letteratura per ragazzi ha l’infanzia al suo cuore, che non è la stessa cosa. La letteratura per ragazzi non è scritta dai ragazzi: sta lì, accanto a loro, ma non è la loro.»
Ok, tutte cose degne di rispetto, diranno gli scettici a questo punto: ma perché, in fin dei conti, uno smaliziato adulto dovrebbe perdere tempo con i libri per ragazzi? Al centro della sua arringa Rundell mette lettura e immaginazione: «Quando leggiamo libri per ragazzi, abbiamo l’occasione di leggere ancora come facevamo da bambini: di trovare la strada che ci riporta indietro, al tempo in cui ogni giorno era una nuova scoperta e il mondo era gigantesco, prima che l’immaginazione venisse tarpata e messa in riga, come se fosse un accessorio di cui si può fare tranquillamente a meno.
Ma l’immaginazione non è un accessorio né lo è mai stato: è al cuore di tutto, è ciò che ci permette di conoscere il mondo mettendoci nei panni degli altri; è la condizione che precede l’amore stesso. Fu Edmund Burke a usare per primo l’espressione “immaginazione morale” nel 1790: la capacità di comprendere le questioni etiche al di là degli eventi contingenti e dell’esperienza privata di ciascuno di noi.» Un passaggio cruciale, soprattutto oggi, soprattutto adesso, pensando ai giorni strani, alterati, drammatici, difficili che tutti stiamo vivendo.
«È proprio quando il mondo sembra vuoto, piatto e senza speranze» aggiunge, infatti, Rundell, «è in momenti del genere che, per me, i libri per ragazzi fanno quello che nient’altro può fare. Dicono: il mondo è grande. Dicono: la speranza serve a qualcosa. Dicono: il coraggio conta, lo spirito conta, l’empatia conta, l’amore conta. Può essere vero o meno. Io non lo so. Ma spero che sia vero. E credo che sia urgente e necessario sentirlo dire e dirlo.»
Naturalmente in queste 63 pagine, troverete molte altre cose importanti, profonde, autentiche, taglienti, interessanti e giuste: per esempio su noi adulti, sulle nostre abitudini di lettura, su come sono i bambini, su come leggono, su quali libri che diamo loro siano superflui e trascurabili, su che lingua li rapisca, su cosa sia una buona storia, sulla necessità di una cambio di passo nelle storie e di nuove storie da ogni parte del mondo, e anche sui luoghi in cui abitano i libri, come quelle istituzioni salvifiche che, in tutto il mondo, sono le biblioteche e che in tutto il mondo, oggi, sono minacciate («La biblioteca resta uno dei pochi posti al mondo nei quali si può entrare senza dover comprare niente, conoscere nessuno o credere in qualcosa» scrive Rundell. «È il luogo più egualitario che abbiamo. E noi viviamo in un mondo in cui i problemi che più minacciano di travolgerci si fondano sull’ineguaglianza, e sulle catastrofi che l’ineguaglianza infligge agli uomini, alle donne e ai bambini. In questi tempi di cassonetti incendiati, voltare le spalle all’istituzione delle biblioteche è criminale. Se la speranza è una cosa con le piume, allora le biblioteche sono ali.»).
Ecco, io credo che a questo punto, però, abbiate capito e, dunque, possiamo fermarci qui. Con una certa supponenza, penso che questo breve articolo vi basterà per andare in libreria e condannare questo piccolo, importante libro a un meritatissimo successo.