Mujeres contrabandistas e donne in canzone
Stando al suo autore, Ángel González, il successo della canzone Contrabando y Traición non fu dovuto al tema del narcotraffico che vi veniva trattato, ma al personaggio principale di Camelia (González lo confida a Elijah Wald nel libro Narcocorridos. A journey into the Music of Drugs, Guns and Guerrillas, Rayo – Harper Collins, 2001). Nei corrido, per tradizione, uomini e donne hanno ruoli ben definiti. Niente a che vedere con le coppie legate da un destino comune alla Bonnie & Clyde o alla Holly Sargis e Kit Carruthers, i protagonisti del film Badlands (La rabbia giovane) di Terrence Malick, distribuito in sala l’anno dopo la pubblicazione di Contrabando y Traición. Camelia la Tejana è una figura femminile anomala, una figura che non solo rompe uno stereotipo, ma è anche una donna che per coraggio rimanda a Valentina Ramírez Avitia, detta "La Valentina” o "La leona de Norotal", leggendaria eroina che aveva combattuto contro i federali nella rivoluzione messicana, indossando gli abiti di foggia maschile dei fratelli (esiste un corrido composto in suo onore).
Nel mondo della canzone norteña il successo di Contrabando y Traición portò sì compositori e cantanti a cimentarsi con storie di narcotraffico, ma dimostrò anche come a una donna poteva essere assegnato il ruolo centrale in un corrido a sfondo criminale. Camelia fu insomma il prototipo di una serie di donne trafficanti che avevano facoltà non solo di portare a termine un’impresa fin lì considerata di spettanza maschile, ma addirittura di imporsi, per astuzia e temperamento, sugli uomini. Qualcosa di inedito che, potenzialmente, avrebbe potuto determinare un cambiamento nel modo in cui le donne vengono rappresentate in canzone. Dopo Camelia ecco dunque affacciarsi, nei narcocorrido, figure quali Margarita la de Tijuana, Carmela la Michoacana, Josefa la Canadiense, la Gringuita traficante, la Dama del Montecarlo o la Dama de la Suburban (Montecarlo e Suburban intesi come il modello di automobile col quale le suddette attraversavano la frontiera cariche di stupefacenti).
La stessa Camelia, e sempre per opera dei Los Tigres del Norte che l’avevano immortalata in Contrabando y Traición, tornò in scena per una serie di sequel canori che ricalcavano musicalmente l’originale: Ya agarraron a Camelia e Ya encontraron a Camelia (la vendetta dei famigliari di quell’Emilio Varela che Camelia aveva sparato in Contrabando y Traición), e poi El Hijo de Camelia (vendetta parte seconda, il figlio di Camelia il quale, a sua volta, uccide i sicari di sua madre). I narcocorrido che si rifanno al modello inaugurato da Camelia sono numerosi. Citiamone uno che esemplifica al meglio il filone: Mujeres contrabandistas di Pepe Cabrera. Il cinema popolare non fu da meno, sfruttando appieno il nome di Camelia e la sua scelta di vita: Mataron a Camelia la tejana del 1976, La hija de Camelia del ’77, Emilio Varela vs. Camelia la tejana (1980), El hijo de Camelia la tejana (1988).
Camelia è una donna di cuore, come si dice nella canzone, ma è anche una donna che partecipa a un’impresa banditesca dall’esito incerto. È insomma una donna coraggiosa, coraggiosa come un uomo e, seppur sconfitta sul piano sentimentale, uscirà vincitrice dall’impresa ai danni del compare. A tanti anni di distanza dalla sua composizione, Ángel González, l’autore della canzone, confidò a Elijah Wald di considerarsi un “femminista al cinquecento per cento”. Disse anche: “nelle mie canzoni faccio sempre in modo che la donna esca vincitrice”. In The Mexican Corrido: A Feminist Analysis (Bloomington – Indiana University Press, 1990), Maria Herrera-Sobek, professoressa di chicano studies all’Università di Santa Barbara in California, identifica cinque archetipi femminili dominanti nel corrido: la buona madre, la madre cattiva, la Dea madre, l’amante e, infine, la soldatessa rivoluzionaria. Camelia non rientra in nessuno di questi cinque modelli, fatto salvo il richiamo alla Valentina Ramírez Avitia citata poc’anzi. È piuttosto una donna che porta in dote degli attributi maschili: è indipendente, spietata se tradita (uccide Emilio con siete balazos), spavalda – dalla canzone ricaviamo in verità pochi elementi, sufficienti però ad accostare il suo modus operandi a quello di un comune macho – traffica droga e, una volta liquidato l’amante, scompare dalla circolazione per farsi una vita propria.
Camelia è anche una tejana. Appartiene cioè alla folta schiera di donne messicane emigrate negli Stati Uniti fra gli anni ‘60 e ‘70, ognuna delle quali, indipendentemente dal grado di assimilazione sociale, entrò in contatto con la cultura e la way of life americana. L’indipendenza di cui si fa espressione Camelia nella canzone, unita alla forza nel dimostrare il potere acquisito nei confronti dell’uomo, non dovette passare inosservata nella comunità messicana emigrata negli Stati Uniti. Quello raggiunto da Camelia nella canzone (Contrabando y Traición fu incisa nel 1972) era un grado di autonomia che poteva forse valere per tante donne americane, non certo per la maggior parte delle donne messicane. Il fatto che Camelia fosse una tejana, una messicana assimilata, rese sicuramente più accettabile il fatto che una donna potesse avere un comportamento tanto fuori dagli schemi. La sottigliezza di Contrabando y Traición risiede nel fatto che a tradire, nella canzone, è sì Emilio Varela, il compagno di Camelia; è lui che le dice addio preferendole una donna americana che sta a San Francisco, ma la verità è che il tradimento di Emilio è un tradimento “per amore”, qualcosa di accettabile per l’ascoltatore (il tradimento maschile, anche in Messico, inutile sottolinearlo, ha ben altro portato rispetto a quello femminile). Quello di Camelia è invece un tradimento che si articola su un piano più complesso e assai più problematico.
In Música Norteña: Mexican Migrants Creating a Nation Between Nations (Temple University Press, 2009) l’etnomusicologa Cathy Ragland, professoressa al College of Music dell’Università del North Texas, sottolinea come fra il messicano assimilato negli Stati Uniti e il migrante clandestino vi sia, in particolare da parte di quest’ultimo, un’aperta diffidenza. Il tejano è guardato con sospetto dal mojado. Il messicano nato e cresciuto negli Stati Uniti, ai suoi occhi, non è degno di fiducia. Nella stragrande maggioranza dei film messicani che trattano di emigrazione, sottolinea la Ragland, il messicano americano è sempre rappresentato nei panni dell’antagonista o di un tale corrotto dal modello di vita yankee, e il messicano DOC e il tejano sono posti in una condizione di perenne conflitto culturale. Il personaggio di Camelia incarna un’ambiguità non facile da cogliere per noi. Da un lato è una donna di cuore, con solidi valori, una donna moderna che non vacilla di fronte alla prepotenza maschile, dall’altro però è una tejana, una donna di cui è sempre meglio diffidare. Il destino di Camelia, dopo il successo di Contrabando y Traición, fu in verità quello di una donna per la quale non si poteva che provare dell’ammirazione, ma che al tempo stesso andava tenuta a debita distanza poiché rappresentava, sul piano identitario, una deriva se non proprio un’aberrazione. La sua indipendenza e la sua presa di potere configuravano pur sempre un problema, sia per le donne che per gli uomini.
Nella sua aberrazione, o meglio nella sua anomalia, e a dispetto delle sue numerose emule in canzone, Camelia non ha determinato un cambiamento nel modo in cui le donne vengono rappresentate nei corrido. Tradivano prima, tradiscono oggi; venivano uccise prima, vengono uccise oggi. Ciò che è cambiato è semmai il grado di violenza cui vengono sottoposte in molti corrido. Violenza e misoginia in canzone sono questioni che in Messico fanno discutere da anni. La narcocultura, prendendo a prestito il titolo di un bellissimo documentario del 2013 di Shaul Schwarz girato a Ciudad Juarez, a lungo la città con più omicidi al mondo, la stessa città teatro del romanzo 2666 di Roberto Bolaño (Santa Teresa nel romanzo: la città dei femminicidi), esercita un fascino irresistibile su molti ragazzi messicani che vivono a ridosso della frontiera, di qua e di là del confine. Fino a pochi anni fa, a Ciudad Juarez, quando alla radio partiva un narcocorrido era per segnalare un’esecuzione. Un narcocorrido trasmesso in antenna era il segnale usato dai narcos per comunicare la vendetta a un cartello nemico (lo rivela, in Narcocultura, un perito del CSI locale).
Più volte, negli ultimi anni, i video girati per accompagnare alcuni corrido hanno fatto le prime pagine dei giornali. Quello di Dime di Adriel Favela ad esempio, dove l’adultera viene uccisa e gettata in una fossa scavata dal protagonista (il modello è la narcofosa dei trafficanti), con una frase posta a chiusura del video che non necessariamente giustifica l’omicidio, né lo assolve sul piano morale, si limita semplicemente a certificare il dramma passionale dal punto di vista psicologico:
Los celos no ocurren por le que se ve, sino por lo que se imagina.
(La gelosia non nasce da ciò che vediamo, ma da ciò che immaginiamo).
Nel testo della canzone non viene esplicitata alcuna violenza ai danni della donna, ma le immagini raccontano un’altra storia. Uno scarto che rimanda, non capiamo bene se in modo volontario o involontario, al motto certe cose non si dicono (ma si fanno).
Altro esempio, sempre di Favela, Mujeres de tu tipo (un titolo che mette già in allarme), dove si ripresenta lo schema della donna infedele (lei che consegna il complice alla polizia) e dell’uomo che soffre (in prigione, mentre lei se la spassa là fuori). Anche qui siamo in ambito di illegalità e di narcotraffico, con il gruppo di Favela ripreso a suonare in un’area delimitata dal nastro giallo stile crime scene. Niente violenza in questo caso, solo la reiterazione di un clichè (di parecchi clichè).
Diverso, e con risvolti criminali, il caso di Fuiste mia di Gerardo Ortiz, uno dei più popolari esponenti del narcocorrido contemporaneo. Il video, più volte bandito da Youtube e girato, si dice, in quella che era la faraonica magione di un narcotrafficante, parla da sé. Attorno allo strombazzante motto machista di un tiempo fuiste mia viene messo in scena un femminicidio. Dopo aver liquidato l’amante, l’uomo tradito si prende cura dell’adultera. L’ultima volta che la vediamo in vita è legata e imbavagliata. La sensazione, sgradevolissima ma difficilmente eludibile, è che la si voglia rappresentare consenziente in quella condizione subalterna, fino alla sua deposizione, ancora in vita, nel bagagliaio di un’automobile, automobile che viene poi data alle fiamme con fare sprezzante grazie a una cicca di sigaretta fumata fino al filtro. Difficile scegliere l’immagine più disturbante del video. Forse il sorriso compiaciuto, il sorriso di colui che ha fatto la cosa giusta, con cui l’amante tradito si lascia alle spalle la macchina in fiamme (più di venti milioni di visualizzazioni su Youtube all’epoca della pubblicazione, nel 2016; per ventitre settimane in testa alle classifiche di vendita in Messico. Ortiz e il produttore del video erano nel frattempo stati arrestati per incitazione alla violenza, ma subito rimessi in libertà dopo aver pagato la cauzione di duemilasettecento dollari).
Ai casi limite di Dime o di Fuiste mia s’accompagnano decine di video prodotti in Messico dove violenza e misoginia vanno a braccetto. Nel documentario Narcocultura di Shaul Schwarz a un certo punto l’impresario Joel Vasquez dichiara: “al fondo del corrido e del corrido alterado v’è una ribellione contro il sistema che trasforma il fuorilegge in eroe. Credo che diventeremo il nuovo hip-hop”. La dichiarazione risale a dieci anni fa e la previsione di Vasquez, per ora, non si è avverata. Il narcocorrido non è diventato il nuovo hip-hop, ma è certo che il mercato del corrido legato ai narcos genera una quantità enorme di denaro ed è altrettanto certo che in termini di violenza, misoginia e culto delle armi richiama da vicino il gangsta-rap emerso dai ghetti neri d’America sul finire degli anni ’80, o i rude-boys giamaicani degli anni ’60 (sarebbe interessante studiarne a fondo il linguaggio: la sensazione è che nei narcocorrido la violenza regni sovrana ma non si indugi granché nel turpiloquio, quanto a profanare i santi, non se ne parla nemmeno). Qualcosa di analogo sta emergendo da tempo anche in Corea del Sud dopo il fenomeno del K-pop con il cosiddetto K-drill; anche lì, molte armi e molta violenza. Narcos e violenza furoreggiano un po’ ovunque, serie tv in testa. Recente la serie Blocco 181 ambientata a Milano, prodotta da Sky Original in otto episodi e in onda dal 20 maggio scorso su Sky e in streaming su Now.
Per chiudere l’annotazione che in Messico, un po’ sottotraccia, senza grande copertura mediatica, qua e là spuntano anche degli anti-narcocorrido. L’ultimo in ordine di tempo, pubblicato da poco, è intitolato El corrido de Milo Vela ed è dedicato a un giornalista assassinato nel 2011 con la moglie e il figlio: Miguel Ángel López Velasco, conosciuto appunto come Milo Vela, il quale s’era a lungo occupato di femminicidio, denunciando il nepotismo e la corruzione nel governo di Javier Duarte, governatore dello stato federale di Veracruz fra il 2010 e il 2016. Solo dall’inizio di quest’anno in Messico sono già stati assassinati dodici giornalisti. Il corrido è opera della cantante Vivir Quintana (suo, due anni fa, l’inno contro il femminicidio di Canción sin miedo che ha fatto il giro del mondo), accompagnata per l’occasione da due musiciste: un trio tutto al femminile che canta il corrido, o meglio, che canta contro il narcocorrido. Per ora non fa ancora milioni di visualizzazioni né le prime pagine dei giornali, ma esiste. Dovessimo indicare un corrido che s’immagina un altro tipo di eroe con cui accendere la fantasia e il coraggio dei ragazzi messicani, sarebbe probabilmente una buona scelta.
Vivir Quintana, El corrido de Milo Vela
(segue)
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