Nuovi sguardi per un teatro dell’infanzia

29 Dicembre 2011

Baby Don’t Cry di Babilonia Teatri è uno spettacolo per l’infanzia duro e lieve, mai sdolcinato. Comincia nel buio, con un pianto inconsolabile, sotto una luce gialla intermittente di soccorso, fra una carrozzina con lucine da luminaria di festa e un albero di natale. Una voce ripete, in incalzante litania: “Non piangere. Non serve a niente. Non vedi che non posso, non posso… Il papà, cosa ti ha detto!… Dai un bacino al tato… alla tata… Questo è pericoloso. Poi piangi, piangi… Io ti devo curare, io ti devo amare… Io…Io… Io…”.

Inscena le ipocrisie, le viltà, la distrazione degli adulti, i ricatti esercitati dai bambini e i conseguenti sensi di colpa dei genitori. Racconta, per salti analogici, per suggestioni, un rapporto difficile, quello tra padri sempre più distratti e figli coccolati, e abbandonati soli, mettendo a confronto, ferocemente, contendenti entrambi troppo concentrati su di sé. Narra di bambini delle nostre società opulente e di altri che hanno pianto posando per la prima volta i piedi sul nostro suolo, pensando che non avrebbero più rivisto tanti volti cari, rimasti lontani, nel mondo povero.

Babilonia Teatri è una compagnia emersa qualche anno fa dal premio Scenario, che biennalmente segnala nuovi talenti. Lavorano nel Nord-est in un modo particolarissimo: con testi sparati come raffiche di mitraglia da attori quasi sempre frontali rispetto agli spettatori, costruiti di frasi fatte, frasi da autobus, da bar, frasi del nostro vaniloquiare quotidiano, intinto nella pigrizia, nello stereotipo, nel pregiudizio. Questo spettacolo nasce da una commissione, venuta da una delle più vecchie e onorate realtà che operano per l’infanzia, il Teatro delle Briciole di Parma.

 

 

Cantiere Nuovi sguardi

 

Non è un mistero che il teatro per ragazzi sia in crisi. Nato dall’animazione degli anni ’60-’70, ha innalzato a lungo la bandiera della fantasia, del pensiero divergente. Alcune realtà si sono consolidate, fino a diventare veri e propri centri di produzione, con un pubblico abbastanza assicurato come quello delle scuole. Negli anni il personale è rimasto più o meno lo stesso, con qualche nuovo innesto, qualche abbandono, qualche ripensamento. Ma non è facile conservare per decenni lo spirito e la creatività, o anche solo la voglia di lavorare con quegli esseri indocili che sono i bambini.

Il teatro-ragazzi si burocratizza, si fossilizza, adeguandosi a una pedagogia dei buoni sentimenti richiesta da maestri e professoresse. Per uscire dalla routine le realtà più sensibili avvertono il bisogno di nuove esperienze, di contaminazioni. Le Briciole lanciano, una paio di anni fa, il cantiere Nuovi sguardi per un pubblico giovane. Che si propone “di affidare a giovani gruppi della ricerca italiana il compito di creare uno spettacolo per bambini”. Il primo è, nel 2010, proprio Baby Don’t Cry; per il secondo, La Repubblica dei bambini, nel 2011 viene scelto il gruppo fiorentino Teatro Sotterraneo.

 

 

Emozione e esperienza nel teatro infantile

 

Prima di continuare, è opportuno ricordare il punto di svolta. Un’aria dirompente nel panorama stagnante del teatro-ragazzi la portò agli inizi degli anni ‘90 il teatro infantile della Socìetas Raffaello Sanzio. Si trattava di un lavoro in profondità dedicato all’in-fans, ai piccoli della stirpe umana che non sanno ancora come pronunciare lo stupore e la paura per un mondo minaccioso. Le favole di Esopo portavano giovanissimi spettatori tra decine di animali vivi, oltre ogni possibile finzione. Hänsel e Gretel era un percorso nel buio e nella paura, recitata con toni espressionisti che prendevano alla pancia gli spettatori. Si attraversavano cunicoli bui e cucine dall’odore di povertà, foreste stregate e odorose case di marzapane. In Buchettino il pubblico veniva sistemato in lettini minuscoli e bombardato con rumori che rendevano incombenti il bosco, l’orco, la minaccia.

 

                                                                                                                  

Si creava un universo completamente altro dalla realtà, non agitato da intenti pedagogici o da immediati e facili richiami al mondo affettivo e psicologico del bambino. Si trascinava in territori violenti, minacciosi, archetipici, che mettevano alla prova radicalmente le facoltà di conoscenza e di superamento della paura attraverso l’esperienza profonda del ragazzo.

 

                                                                                                                                

BestioneL’uccello di fuoco

 

Chiara Guidi ha continuato su questa linea con una scuola di teatro infantile e lavorando ancora, in modo originale, sulle favole come macchine narrative da vivere e da ascoltare. Nel Bestione un gruppo di bambini viene introdotto nel buio, davanti a un lungo tavolo coperto con uno scheletro di cavallo e con resti di cibo. Inquietanti rumori e feroci latrati da dietro un separé incombono sullo stanzone fumoso. L’attrice, vestita da serva di favola, racconta la storia minacciosa di un buon bestione prigioniero che nutre, col fiele di una sua ferita, i poteri di uomini malvagi... I giovani aiutanti, nascosti sotto un tavolo, travestiti, impiastrati, vengono chiamati a liberare il povero prigioniero: al lieto fine necessario si arriverà attraverso prove e scontri, paura e divertimento.

Nel recente L’uccello di fuoco la favola è masticata tra suoni e rumori con un gruppo di bambini-rumoristi. La storia perde importanza rispetto all’incanto del suono e di certe invenzioni luminose e visive, materia vivente di fascinazione fisica ed emotiva.

 

                                                                                                                                                   

Il corpo, lo spazio, l’immaginario

 

Spostiamoci ancora, nella periferia di Bologna, in un vecchio quartiere ghetto che da sempre accoglie migranti, tra palazzoni, spazi verdi, degrado e decoro socialdemocratico. La compagnia Laminarie, anch’essa proveniente dalla ricerca, ha aperto da un paio d’anni Dom, uno spazio di laboratorio, spettacolo, incontro, discussione. Qui ha reinventato la pratica di spettacoli a percorso che aveva sperimentato in cortili, palazzi, biblioteche.

La scorsa estate Ora! invitava a un viaggio notturno fatto di immagini e sensazioni. Un sogno a occhi aperti che popolava di visioni la vicina scuola media, la cupola Dom, prati, marciapiedi, una collinetta, stanzini. Guidavano a illuminare il buio quattro bambini vestiti di rosso, che rivelavano scene costruite pazientemente in vari laboratori, con musiche, danze, proiezioni, azioni. Nel percorso vivevano le ombre della notte, aprendo questioni attraverso un inquieto interrogarsi, per figure, su chi siamo, cosa facciamo, cosa stiamo vivendo, in questi luoghi, in questi momenti. Ora!

 

 

                                                                                                                                           

Piangere fa bene

 

Torno a Baby don’t cry: la forza di questo spettacolo, costruito su interviste a scolari delle elementari di Parma, è mettere alla pari l’adulto e il bambino. Mostrare fragile chi appare incrollabile e con ogni potere. Dimostrare come certe maschere di autorità o semplicemente di sicurezza si basino su paure, su dolori per molti versi simili a quelle dei piccoli. Dei due attori uno è cieco: e mentre attraversa parole e ruoli diversi (in questo teatro non si impersona, si mostra, si riferisce, eppure il risultato emotivo è fortissimo) si rivela abilissimo a dominare lo spazio e fragile, smarrito.

Si parla di desideri, di erba voglio che non cresce nei nostri giardini, ma di cui non possiamo fare a meno. Grandi e bambini. Si ride ai tormentoni del “voglio… voglio… voglio…” e della ragionevolezza dei “forse vorrei”. Si piange, si grida in modo inconsolabile, si dichiara la propria rabbia. Si consola. E si scopre che, forse, piangere fa bene.

 

Ci facciamo una nazione?

 

L’altro spettacolo provocato dalle Briciole è La Repubblica dei bambini. Lo ha creato Teatro Sotterraneo, un gruppo, anche questo, emerso dal premio Scenario qualche anno fa, con un’attitudine ironica a smontare il linguaggio, il comportamento, giocando tra la catastrofe di un quotidiano malato e la risata a labbra tirate.

Qui, in modo eccessivo, clownesco, si porta gli spettatori nella costruzione di una piccola repubblica, circoscritta dai muri del teatro, che durerà il tempo dello spettacolo. Si mettono in scena le dinamiche di uno stato, la necessità delle regole e l’istinto a violarle, la democrazia e la tentazione di abusare dei poteri, dei diritti, della libertà che dà. Si coinvolgono gli spettatori in comizi per assicurarsi l’elezione a presidente, promettendo sempre più dell’altro candidato, non risparmiando colpi bassi, in un’iperbole che non potrà non essere disattesa, con esiti catastrofici. Si trasporta gli astanti nel corpo della democrazia, della difficile arte di convivere, facendo fare esperienza di alcuni passaggi che di solito la scuola affida a enunciazioni concettuali. Si sperimenta la difficoltà di vivere insieme; si percorre, ridendo, giocando, sporcando, inciampando, provando l’abisso del tradimento, della soperchieria, la necessità di farsi sentire e di ascoltare.

 

 

Lo spettacolo corre il rischio di interrompersi più volte, perché gli attori non esitano a eccitare l’uditorio, promettendo gelati, campi da calcio, dichiarando che le femmine saranno escluse da ogni forma di governo o i maschi. Dividono, scatenano al riso o all’urlo: poi sono bravi a recuperare, fino a dichiarare, dopo 50 minuti, che il gioco è finito e che non c’è più bisogno di telefonate al Mondo per dichiarare l’esistenza della nuova nazione o ai grandi della terra per sapere come si fa a governare. Intanto la materia ha vissuto nella temporanea assemblea, dividendo, costringendo a operare scelte, a indignarsi; procurando esperienza.

Il nuovo teatro per bambini è sempre più un luogo di esperienza, dei sentimenti più indicibili, di cose apparentemente lontane, che invece ci riguardano. Esperienza per gli attori e per gli spettatori. E in questo è parecchio diverso non solo da quello di ieri, ma anche dalla vita che solitamente i nostri cuccioli conducono, sempre più costretti tra case, spazi recitanti, obblighi, schermi elettronici.

 

 

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