Papa Francesco e il pesce Nemo
Con questo articolo di Michela Dall'Aglio proseguiamo la discussione, avviata con l’articolo di Francesca Rigotti e proseguita con gli interventi di Alessandro Zaccuri e Gianfranco Marrone sulla recente enciclica papale Laudato si'.
Associare Papa Francesco a Nemo, il pesciolino protagonista dell'omonimo film della Walt Disney, può sembrare irriverente, ma non lo è. Il messaggio del Papa, esplicito e franco, mi ha fatto pensare al pesciolino Nemo e, in particolare, a una scena del film che può riassumere il succo del messaggio dell'enciclica Laudato Si'. Sulla cura della casa comune. La scena è quella in cui il pesciolino Nemo, finalmente fuggito dalla vasca da pesce rosso del dentista di Sidney in cui era finito, si ritrova in mare alla ricerca della via di casa. A questo punto, viene pescato in una grandissima rete insieme a centinaia di altri pesci di ogni tipo che, terrorizzati, nuotano in tutte le direzioni mentre i pescatori li stanno inesorabilmente sollevando, con un argano, sulla barca. Allora, Nemo lancia un grido-avvertimento-esortazione a tutti i suoi compagni di sventura: nuotiamo tutti nella stessa direzione se vogliamo salvarci! Così fanno e, ben presto, la forza prodotta dal loro nuotare tutti insieme, nella stessa direzione e con lo stesso scopo, fa spezzare l'argano della barca e i pesci si liberano.
Il Papa, in questa Enciclica, lancia lo stesso grido di Nemo. Egli è chiaramente consapevole – e per fortuna non è il solo – che ci troviamo in una situazione di estremo pericolo, che riguarda tutta l'umanità e travalica qualsiasi appartenenza ideologica, politica o religiosa: «…di fronte al deterioramento globale dell'ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta.» (p.4) Il pianeta sul quale viviamo – che non ci appartiene in esclusiva, perché ci è stato lasciato da quanti ci hanno preceduti e, a nostra volta, lo dobbiamo lasciare per chi verrà dopo di noi – sta male. Da molto tempo diversi segnali avvertono che ci stiamo avvicinando a un punto tale per cui, forse, non riusciremo più a rimediare, né a tornare indietro. Se vogliamo salvare noi stessi, il pianeta e il futuro di molte specie viventi, dobbiamo agire subito, tutti nella stessa direzione e con il medesimo intento.
Come? Nell'Enciclica non ci sono ricette. C'è, però, un forte invito a cambiare il modo in cui si relazionano tra loro tutte le parti in gioco, perché solo se guarderemo alla Terra, alle sue risorse e a noi stessi da un punto di vista nuovo, acquisiremo la consapevolezza e la determinazione necessarie a perseguire un grande obiettivo comune. E questo guardare al mondo come a una rete di relazioni è uno degli aspetti più interessanti, a mio parere, dell'Enciclica. Le soluzioni devono essere trovate collegialmente, tenendo conto che l'interesse prioritario non può essere quello individuale e particolare – di uno Stato, di un gruppo o di una persona –, ma quello dell'umanità e della vita in tutte le sue forme. Bisogna, perciò, superare sia l'ostilità di molti poteri, che pongono il proprio interesse economico e finanziario al di sopra di tutto, sia l'indifferenza e il disinteresse della gente, risvegliando una «nuova solidarietà universale» (p.13). Il degrado ecologico e ambientale, infatti – e questo è un punto importante, ribadito più volte –, va di pari passo col degrado umano, così che l'uno è l'origine dell'altro e allo stesso tempo lo alimenta di continuo, in una spirale dalla quale dobbiamo uscire subito, senza indugiare né perdere tempo, soprattutto senza ignorare la realtà con «spensierata irresponsabilità» (p.46). Come Caino, l'omicida biblico, fu chiamato a rendere conto del sangue dell'uomo che aveva ucciso, così noi saremo chiamati dalla storia, se ci sarà ancora, a rispondere anche della devastazione della Terra, del sangue degli animali massacrati in numero esagerato e, spesso, inutilmente e della miseria in cui abbandoniamo i più fragili. Oggi abbiamo di fronte una responsabilità enorme alla quale nessuno può sottrarsi: persone, nazioni, politica, tecnica, scienza, culture e religioni.
L'accento dominante di questa Enciclica è umanistico. Il Papa ribadisce di frequente che l'attuale crisi ecologica affonda le radici in una crisi umana, etica e valoriale (p. 79), pertanto rivolge il suo appello all'essere umano affinché salvaguardi l'umanità, intesa sia come insieme dei viventi, sia come la qualità che meglio ci definisce. Se i nostri valori fondamentali sono il profitto, il consumo, il tornaconto personale e l'uso delle cose e degli esseri viventi, allora si può arrivare a giustificare anche la distruzione dell'ambiente, delle specie, delle persone inutili o inefficienti. Per evitare tutto questo, abbiamo bisogno di condividere alcuni valori che siano per noi intoccabili; e se sicuramente Francesco, come qualsiasi credente, li riassume nel concetto di Dio, non è vero che ne attribuisca la comprensione, il rispetto e il desiderio ai soli credenti. Al contrario, vi si appella in quanto sono quelli ai quali tutti possiamo aderire per il solo fatto di essere umani, e costituiscono l'ideale universale che può e deve riunirci in un unico fine. E stiamo parlando di cose come il bene comune, la giustizia nei confronti di tutti, la tutela dei più poveri e dei più deboli, il rispetto reciproco. Chi ha una fede religiosa, semplicemente troverà in Dio un'ulteriore istanza e motivazione per agire bene. Ma non è necessario credere in Dio per amare l'uomo e la vita. Infatti, Francesco non lo dice.
Un'enciclica umanistica, dicevo, e anche politica, nel senso originario della parola di gestione della vita in comune. Contiene, infatti, un forte richiamo affinché la politica torni a occupare il suo ruolo, che è appunto di organizzare e gestire la vita pubblica tutelando la giustizia, il patrimonio ambientale, le risorse comuni per il bene di tutti, non trascurando la bellezza, perché senza di lei l'uomo non può vivere. E, nella bellezza, il Papa comprende esplicitamente l'arte, la poesia, le culture dei popoli, le religioni, insomma tutto ciò che lo spirito umano sa produrre e che rende il mondo un posto migliore. Per questo invita i cittadini a non sfuggire all'impegno nella vita pubblica, perché bisogna condividere il bene, ma anche il peso della gestione, la fatica della condivisione e la responsabilità dell'educazione.
Huang Kehua
Riguardo alla tecnica, sfera in cui le parole del Papa hanno suscitato reazioni vivaci, non credo si possa dire che egli la condanni, come non condanna la scienza né, più in generale, la ricerca. La sua posizione è la stessa che esprime riguardo ad altri argomenti come la finanza, l'industria o la proprietà privata: per lui, tutto deve essere strumento e non fine in se stesso, così che il criterio-guida nelle azioni e nelle scelte sia etico e non soltanto utilitaristico. Riferendosi in modo particolare alla tecnica, afferma che essa non può diventare «la principale risorsa per interpretare l'esistenza» (p. 87). L'idea che sottende alle parole del Papa è che nessuna disciplina e nessuna cosa, in se stessa, sia nemica dell'uomo, tutto dipende dall'uso che ne facciamo; il che significa, in altre parole, che non possiamo sfuggire alla responsabilità spostando il male al di fuori di noi.
Una frase, scritta verso la conclusione, racchiude in sintesi il succo dell'Enciclica e tutta la preoccupazione di Francesco: «Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini» (p.156) Io la leggo come un incoraggiamento a non rinunciare a pensare in grande, a non temere le utopie che suscitano e alimentano una continua tensione verso un bene forse irrealizzabile, ma già il tendervi ci mette nella direzione giusta. In fondo, è questo il compito di una guida spirituale».