Mostre virtuali / Raffaello in PDF
Ricomponendo le disiecta membra dell’arte classica Raffaello Sanzio fa rivivere l’antico nel presente, inaugurando la Maniera moderna. Ogni sguardo che il presente getta sul passato inevitabilmente lo ristruttura, lo ricompone, mentre il passato stesso illumina il presente e lo irradia da lontano. Raccontando a ritroso la vita dell’artista, la mostra Raffaello. 1520–1483 inverte la direzione del tempo disorientando, come la superficie del nastro di Möbius, che non ha un sotto e un sopra, un interno e un esterno, un inizio e una fine. Ad accogliere il visitatore all’inizio della mostra allestita alla Scuderie del Quirinale è infatti una fine: la riproduzione in scala 1:1 del monumento funebre dell’artista morto a 37 anni. A causa delle restrizioni imposte dalla pandemia la visita è solo virtuale: video-racconti, approfondimenti e incursioni nel backstage.
Il backstage della mostra RAFFAELLO 1520-1483 mostra il lavoro degli operai impegnati nel trasporto e nella collocazione delle opere. Nei gesti con i quali posizionano a parete la tavola della Madonna dell’Impannata riconosco quello di Maddalena implorante ai piedi della Croce nella Crocifissione di Masaccio e, al tempo stesso, quelli prudenti e premurosi di Giuseppe d’Arimatea e di Nicodemo nella Deposizione di Rosso Fiorentino. Fissati in un fermo immagine dal confronto con le opere dei due pittori, questi gesti comunicano il religioso rispetto per l’arte, divenuta essa stessa una religione.
L’estetizzazione dell’immagine sacra si sviluppa in rapporto alla nozione di personalità (che prepara quella di proprietà) intellettuale ed artistica, nel contesto di una società manifatturiera, commerciale e finanziaria giunta a piena maturità negli anni di Agostino Chigi, imprenditore, banchiere del pontefice romano e mecenate di Raffaello. La capitalizzazione dei “prodotti dello spirito” modifica l’approccio all’opera d’arte sacra: davanti alla tavola della Madonna dell’Impannata esposta alle Gallerie degli Uffizi (ora alle Scuderie del Quirinale) non sostiamo in adorazione del santo gruppo ma dell’opera dell’artista (e aiuti) e dell’artista stesso, che già in un sonetto del 1533 l’Aretino definisce “Divino in venustà”.
“La sua prematura scomparsa ha reso Raffaello il modello divino della creazione artistica” sottolinea la voce narrante nel video Una passeggiata in mostra. Seguo la voce e il movimento di camera verso la riproduzione in scala dell’edicola del Pantheon, che Raffaello fece restaurate a sue spese, chiedendo a Lorenzetto, suo discepolo e collaboratore, di scolpire una Madonna con il Bambino (Madonna del Sasso). Quando l’inquadratura si sofferma sull’epitaffio inciso sopra la lastra funebre, l’ombra portata da un elemento architettonico fuori campo, forse un capitello o lo spigolo di una cornice, evoca nella mia mente l’immagine di un’architettura resa attraverso la proiezione delle ombre. Della Roma antica, tanto amata da Raffaello, sopravvive l’ombra, mi viene da pensare, considerando che del grandioso progetto di una sua descrizione in ichnographia, orthographia e scaenographia (pianta, prospetto e sezione), di cui Raffaello parla nella Lettera a Leone X, non è stata identificata con certezza alcuna testimonianza iconografica. Raffaello attribuisce al termine scaenographia usato da Vitruvio il significato di “sezione” (Francesco P. Di Teodoro, La Lettera a Leone X, saggio pubblicato nel catalogo della mostra – al momento disponibile solo in PDF – p. 74). Altri interpretano il termine vitruviano come skiagraphia (disegno delle ombre), altri ancora come prospettiva, che l’Urbinate bandisce dalla sua descrizione di Roma antica perché “apertinente al pittore, non allo architetto el quale dalla linea diminuita non può pigliare alchuna iusta misura” (Lettera a Leone X). Raffaello riteneva che il significato di “prospettiva”, attribuito al termine “scaenographia” (sulla scorta dell’illustrazione con la quale Fra Giocondo visualizza il termine nella sua edizione del De architectura pubblicato nel 1511), non avesse senso nel contesto semantico nel quale si trovava. Pensando alla difficoltà interpretativa del termine, in assenza di testimonianze iconografiche riferibili con certezza alla Pianta di Roma antica, l’immagine di Raffaello pittore si mescola nella mia mente a quella di un immaginario Raffaello architetto, che rigetta la prospettiva ma salva la skiagraphia per rappresentare le spoglie di un’architettura nata sotto la potenza della luce dei Greci e dei Latini.
Queste spoglie sono le ombre, come quella di Anticlea che Ulisse tenta inutilmente di afferrare. Il sogno di ricostruire l’Urbe attraverso il disegno architettonico s’interrompe con l’ingresso di Raffaello nel mondo delle ombre, che la mostra mette al centro di se stessa celebrando il quinto centenario della morte dell’artista, avvenuta nella notte del 6 aprile 1520. Fantasticando su una Roma antica rappresentata attraverso la geometria delle ombre anziché attraverso quella del disegno ortografico, proseguo la visita e passo nella sala 2 – La lettera a Leone X.
Con la famosa lettera dedicatoria scritta insieme a Baldassarre Castiglione nel 1519, un anno prima della sua morte, Raffaello inaugura la moderna concezione di tutela e conservazione dei monumenti: “lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della grandezza italiana, per testimonio del valore e della virtù di quegli animi divini, che pur talor con la loro memoria eccitano alla virtù gli spiriti che oggidì sono tra noi, non sia estirpato, e guasto dalli maligni e ignoranti “ (Lettera a Leone X). Roma antica avrebbe continuato tranquillamente a ridursi in polvere se Raffaello non avesse posto dei limiti alla calcinazione dei monumenti antichi. Con l’autorità di “prefetto di tutti i marmi scavati a Roma”, l’artista impone che ogni iscrizione sia sottoposta al suo giudizio per tutelare la lingua latina insieme alle opere d’arte. Nell’età della Rinascenza le lettere vanno di pari passo con le arti figurative. Raffaello prese infatti parte alle diatribe sul paragone tra arte visive e letteratura portandole dentro la sua opera con intelligenza antiquaria. Come osserva Vincenzo Farinello nel saggio Raffaello (modernamente) antico: un viaggio nel tempo, nel catalogo della mostra, l’artista si rivolge a un pubblico “in grado di cogliere, in filigrana, il complesso gioco di rimandi alle principali fonti visive classiche”, così come i poeti e gli umanisti, quando scrivevano prose o versi riecheggiando l’eloquio latino con un effetto linguistico antiquario (p. 143).
Raffaello coglie anche aspetti più sottili e sensibili del rapporto fra arti visive e letteratura. Nello Studio di figura e sonetto conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, l’impulso erotico è ingentilito dall’eleganza del segno grafico, che dalla scrittura del sonetto amoroso trapassa direttamente nel disegno di un nudo femminile (Lucia Bertolini e Francesco P. Di Teodoro, Al mio gran foco: Raffaello poeta tra passato prossimo, Petrarca e l’antico, catalogo della mostra).
Proseguo la visita virtuale entrando nella sala 5 – Gli arazzi vaticani. A 6’ del video le grandi dimensioni delle opere tradiscono le aberrazioni ottiche della videocamera e la sala si deforma insieme a loro, come Raffaello mai avrebbe voluto. Cosa stiamo guardando? Riprodotta attraverso un altro medium l’opera non è più la stessa: crediamo di vedere attraverso gli occhi di Raffaello e invece guardiamo attraverso l’ottica della camera, gli occhi del cameraman e del regista, che decide le inquadrature, i piani sequenza, i tagli, i raccordi e le dissolvenze. Meglio allora un discorso sull’arte senza inquadrature, piani sequenza e montaggio, come nel video “fai da te” Qualche ragione tra le tante per amare Raffaello, nel quale Marzia Faietti in primissimo piano spiega che la Scuola di Atene affrescata nella Stanza della Segnatura è un manifesto visivo della pace fra tutte le filosofie e le fedi auspicata da Giovanni Pico della Mirandola, preambolo a una pace generale, un proclama di indubbia attualità.
Le parole hanno una potenza visiva che la controriforma utilizza senza risparmio, come da lì a poco il cardinale Federico Paleotti dimostrerà con il celebre Discorso intorno alle immagini sacre e profane. In Verità a bassissima definizione. Critica e percezione del quotidiano (Einaudi, Torino 1998) Ruggero Pierantoni paragona le interdizioni del cardinale Paleotti alle posizioni teoriche dei proposizionalisti (vedi gli articoli di Zenon Pylyshyn) che, in contrasto con i pittorialisti, sostengono che le immagini mentali sono il prodotto di una sorta d’interlingua proposizionale valida per le informazioni sia di tipo verbale che figurativo.
Imponendo che ogni iscrizione fosse sottoposta al suo giudizio per tutelare la lingua latina, il “prefetto di tutti i marmi scavati a Roma” era un Pylyshyn antiletteram? No, certamente che no. Era un artista della Rinascenza impegnato nella ricerca di una bellezza la cui interpretazione presenta qualche difficoltà. Nella lettera che l’artista avrebbe indirizzato all’amico Castiglione (pare invece che la lettera sia stata scritta dallo stesso Castiglione nel 1522) si trova il riferimento al metodo basato sull’utilizzo di modelli diversi allo scopo di sintetizzare una bellezza ideale di stampo neoplatonico. In aggiunta, a parere di Aretino, Raffaello si attribuisce la qualifica di “leggiadro”, finendo per acquisire anche quella di “grazioso”. Questi due aggettivi concorrono a delineare una concezione della bellezza intesa come “quel non so che”, espressione che forse deriva da uno degli epigrammi di Marziale (Marzia Faietti, Con studio e fantasia, catalogo della mostra, p. 24).
In Raffaello la “grazia” è anche il fare senza fatica: la “sprezzatura” che Castiglione teorizza nel Cortegiano riprendendo il concetto di “ars est celare artem” della retorica classica. Riferendosi a questa “naturale facilità” Giorgio Vasari elogia “il dono della grazia delle teste”, che consente a Raffaello di esprimere i differenti moti dell’animo articolandoli in complesse orchestrazioni narrative.
Nelle sue opere si avverte una forza trattenuta, ingentilita, che conserva alcuni tratti di quella prorompente del mondo antico. Raffaello coglie la vitalità che pulsa nella forza plastica delle opere antiche addomesticandola con le buone maniere. Nel disegno preparatorio per il Parnaso, dove si vedono tre teste dei poeti antichi e moderni, quella di Omero tradisce una puntuale ripresa della testa del Laocoonte scoperto sul colle Oppio nel 1506, ma l’espressione di dolore muta in quella dell’ispirazione poetica. L’impulso vitale è tradotto in un moto gentile, che scaturisce dall’interno delle sue figure, come sottolinea Achim Gnann nel video Raffaello e Giulio Romano.
In questi video però si vede e si ascolta anche altro, in maniera inattesa. I grafici potranno ammirare le incursioni visive, generate da errori di codifica digitale, in alcuni passaggi del video La morte di Raffaello di Matteo Lanfranconi, così come gli estimatori del “noise” potranno apprezzare a 4’ e 30’’ del video Raffaello e Giulio Romano l’ascolto di alcune sonorità. Se è vero quello che sostiene Régis Debray, la nostra è una cultura che fa dello sguardo una modalità dell’ascolto: le immagini non stanno più davanti a noi ma ci sommergono, siamo immersi in un flusso visivo che crea un’atmosfera, un paesaggio, quasi sonoro.
La visita virtuale a Raffaello. 1520–1483 pone quindi il problema di una visione (e di un ascolto) dell’opera d’arte visiva che porta lontano e perciò mi aggrappo al PDF che l’ufficio stampa mi ha inviato, in attesa del catalogo (al momento le spedizioni sono bloccate) e della riapertura della mostra. Mentre leggo il saggio di Angelamaria Aceto e Francesco P. Di Teodoro L’architettura disegnata. Nuove indagini e prospettive per “Raffaello architetto”, dedicato alle tracce di architettura presenti sui fogli dell’Urbinate, il progetto di ricomporre le disiecta membra dell’arte classica e di ricostruire in disegno ortografico Roma antica, sfuma nella mia mente in un’archeologia delle ombre, in una visione bizzarra e capricciosa come quella che Giorgio Vasari attribuisce a Giulio Romano, allievo e collaboratore di Raffaello.