Quel che resta di un estate italiana / Red carpet. A un anno dal terremoto

24 Agosto 2017

È passato un anno da quando nella notte tra il 23 e il 24 agosto 2016 le montagne dell'Appennino centrale tremarono violentemente; epicentro il territorio di Accumuli, nel Reatino. Quasi 300 vittime, la distruzione di interi paesi, lo sconvolgimento dell'economia e delle esistenze delle persone furono gli effetti più immediati di un terremoto infinito che avrebbe coinvolto quattro regioni e che in uno sciame sismico intermittente si sarebbe concluso solo nel gennaio del 2017 e con la tragedia di Rigopiano.

 

Vicino al più prossimo degli anniversari con i quali prendiamo le misure agli insegnamenti del tempo, è forse necessario chiedersi cosa resta di quel terremoto e più in generale di un evento naturale che come nessun altro è in grado di stravolgere un territorio e la vita delle persone.

 

È sempre stato così per il terremoto: evento ineluttabile, imprevedibile, implacabile negli effetti, nel breve come nel lungo termine, almeno nel corso della lunga stagione preindustriale. La Calabria dopo il terribile terremoto del 1783 porterà ferite insanabili ancora a distanza di duecento anni. Sì, perché le rovine materiali portano sempre uno strascico di rovine economiche, naturali, umane. Nove anni dopo il terremoto del 1783 (oltre trentamila vittime), Friedrich L. von Stolberg visita la Calabria: Era un detto: l'ultimo dei Crotonesi era il primo tra i Greci ...ora il luogo è considerato appena a causa della cattiva aria. Il cambiamento nel corso delle acque e l'abbandono dei coltivi avevano portato la malaria e con essa nuove forme di rovine.

 

Ma anche terremoti di entità infinitamente minori lasciano tracce profonde nella memoria dei luoghi e delle generazioni. Dal paese in cui scrivo, sull'Appennino Tosco Emiliano, il terremoto del 1920 (grandi danni materiali ma nessuna vittima) ha lasciato inquietudini durature, sebbene tra i vecchi di oggi non sia rimasto nessun testimone.

 

Dunque cosa resta del terremoto di Accumuli, di Arquata del Tronto, di Amatrice, di Pescara del Tronto, dei comuni e dei borghi più colpiti in termini di vittime e di distruzione?

 

Un quotidiano di giovedì 26 luglio scorso riportava tra i titoli: "Sisma Centro Italia, Stato promette 100 milioni per rimuovere le macerie. Il sindaco di Amatrice: “Dopo 11 mesi portato via solo il 10%”.

Ecco, dopo un anno – forse inaspettatamente ma anche con tutta l'evidenza della realtà – restano ancora le macerie.

 

Restano le macerie e l'impressione che la "ricostruzione", tutta, non solo quella abitativa, ma quella economica, quella di una nuova vita possibile, sia in ritardo,

Restano le macerie dunque e si affacciano le rovine...che non sono esattamente la stessa cosa. Come afferma Vito Teti, le rovine sono le macerie che portano il senso del tempo, sono i resti di qualcosa in grado di parlare del destino umano. Dopo un anno, quel senso del tempo non può ancora esserci perché il tempo, con tutti i ritardi e gli errori, è ancora quello del presente, dei progetti, del fare...E il miglior augurio che allora si possa pensare sono le immagini degli allevatori che dopo quelle tremende scosse restarono attaccati alla loro attività e ai loro animali, forse il primo nucleo autonomo e concreto di una ricostruzione ancora possibile, fatta di presenza e di lavoro...quest'ultimo alla lunga il più forte elemento connettivo per una comunità.

 

Colpisce in questi giorni la lucidità dei commenti di chi è restato e che con l'avvicinarsi dell'anniversario trova spazio nei diversi media: emerge l'urgenza certamente, ma soprattutto emerge l'evidenza che senza il lavoro non c'è vita possibile, senza il lavoro non c'è tutto il resto, non può esserci nessuna ricostruzione...

 

 

Quel che resta è peraltro anche il titolo dell'ultimo libro di Teti (Quel che resta, l'Italia dei paesi tra abbandoni e ritorni, Donzelli 2017), in cui partendo dalla Calabria l'autore traccia con accuratezza e competenza la densa geografia umana degli Appennini oggi, tra abbandoni e ritorni, tra deserti demografici e tentativi di resilienza, tra storia recente e le esili speranze di un presente ancora da decifrare...

 

Le pagine dedicate al tema delle "rovine" sono tra le più suggestive. A partire da lontano, vale a dire dal culto delle rovine, ossessione soprattutto occidentale, figlia di una concezione del tempo lineare ereditata dalla religione ebraica e cristiana.

Ma in qualunque comunità, le rovine dalle pietre e dagli edifici diventano definitive e irreversibili quando passano ad essere rovine del tessuto economico e sociale, quando cioè la vita troppo a lungo rimane sospesa o resta impossibile.

Ecco perché occorreva e occorre fare presto: fare presto perché la vita riprenda prima che le macerie che ancora resteranno siano diventate nel frattempo rovine.

 

Dell'estate 2017 restano anche altre rovine, mai come quest'anno inaspettate perché in qualche misura prevedibili o almeno non ineluttabili come sono i terremoti. L'estate del 2017 è stata infatti una delle più calde del secolo ma come quella precedente del 2016, come quella ancora più calda del 2015 e altre ancora fino a quella caldissima e lunghissima del 2003. Niente di sorprendente dunque...

 

Preannunciatasi con una siccità prolungata già di mesi, ha via via mostrato il suo lato più ardente con temperature più alte delle medie e per lunghi periodi. All'interno di quei giorni i mutamenti climatici sono stati una realtà più che una teoria, sono stati la minaccia e la previsione di chi prefigura un destino di deserto per tutta l'Europa meridionale.

 

 

Le rovine di quest'estate sono state gli incendi, mai così numerosi e diffusi, mai così estesi e violenti, così distruttivi...

Il clima, certamente... ma se gli incendi di questa estate hanno quasi sempre avuto come causa l'incuria e il dolo, per pazzia o per interesse,allora quegli incendi sono anche la metafora tragica di un territorio, il nostro, che sempre più appare in balia del caos,di interessi privati, in balia di un "sistema paese" spettatore e quasi rassegnato a non riuscire più a prevedere, a programmare.

 

Il tessuto connettivo è il tessuto che unisce organi, apparati e sistemi in un organismo funzionale. In quel "super organismo" che sono le comunità il tessuto connettivo è rappresentato dalle parentele, dagli affetti, dagli interessi, dall'etica elementare dei diritti e dei doveri. In comunità grandi e complesse tutto questo non basta e sono sempre le leggi morali e quelle reali che si sovrappongono al resto come un invisibile tessuto connettivo.

In questo senso, gli incendi dell'estate 2017 sono stati anche rovine perché insieme alla distruzione sono stati anche l'evidenza di un tessuto connettivo che sembra cedere e progressivamente venir meno...

 

 

Così è solo un caso grottesco o piuttosto una testimonianza dei tempi che, in questa estate in cui mezza Europa meridionale bruciava, la politica sia arrivata ad immaginare e realizzare in Liguria 50 chilometri di tappeto rosso...?

Sì, "50 chilometri di red carpet" sui borghi millenari e fragili paesaggi mediterranei...

 

Luglio 2017, culmine dell'estate. Quel che resta di un'estate italiana possono allora essere anche questi titoli, "specchi" di testimonianze casuali, brandelli di tessuto connettivo sfilacciato sparsi tra le pagine dai più importanti quotidiani.

 

Incendi in Campania: l'Apocalisse sul Vesuvio. Decine di inneschi, una cintura di fuoco che stringe d’assedio il cono del Vesuvio. Il vulcano non si vede da Napoli

 

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