Renzi, il divo

28 Ottobre 2015

 

Un’anticipazione dal volume di Vanni Codeluppi Mi metto in vetrina. Selfie, Facebook, Apple, Hello Kitty, Renzi e altre “vetrinizzazioni”, in uscita presso l’editore Mimesis.

 

 

Francesco Alberoni ha operato diversi decenni fa nel volume L’élite senza potere una precisa distinzione tra l’«élite senza potere» e l’«élite dotata di potere», cioè tra i divi e i politici. A suo avviso, la società consente ai primi di trasgredire la morale corrente, purché ciò avvenga all’interno dello spazio privato. Non permette però questi comportamenti ai politici a causa del fatto che ad essi è affidata la responsabilità della gestione effettiva del potere. Pertanto, se i politici sono in grado di avere un potere, i divi non possono, perché ciò potrebbe rappresentare un pericolo per il sistema democratico. Nei circa cinquant’anni trascorsi da quando Alberoni sviluppava queste riflessioni, sia i divi che i politici hanno visto però profondamente mutare la loro condizione. La televisione prima e il Web poi li hanno progressivamente avvicinati alle persone comuni. Cosicché oggi le persone sono totalmente immerse nel mondo delle notizie che riguardano la vita privata dei politici e ciò viene pienamente accettato da parte della società. Si pensi alle vicende accadute in Italia a Silvio Berlusconi, a cominciare dalle sue cosiddette «cene di Arcore». Ma devono essere pienamente collocate all’interno dell’ambito del gossip politico anche le vicende relative ai molto chiacchierati casi Clinton-Lewinski, Sarkozy-Bruni e Hollande-Trierweiller.

 

La politica, adottando progressivamente il linguaggio del gossip del mondo dei divi, ha però inevitabilmente indebolito il suo specifico linguaggio. Perché mentre prima questo si basava fondamentalmente sulla distinzione esistente tra la verità e la menzogna, adesso deve vivere di emozioni e queste non consentono più di distinguere tra il vero e il falso. C’è cioè una continua ricerca di novità, di emozioni sorprendenti che impediscono d’individuare la presenza di eventuali incoerenze. Infatti, come ha sostenuto Fausto Colombo all’interno del saggio Gossip curato da Federica Muzzarelli, «L’inarrestabile adozione da parte dell’informazione e del commento giornalistico di un respiro e di un’attenzione simili a quelle tipiche del gossip (dove la sfera privata dell’uomo politico spiega le sue scelte più e meglio delle sue convinzioni ideali) ha progressivamente eroso presso il pubblico la fiducia nella politica […]» (p. 37). Vale a dire che ha reso sempre meno evidenti i caratteri specifici della politica, confondendo progressivamente quest’ultima con quella dimensione della quotidianità in cui le persone vivono ogni giorno. Mostrare cioè le debolezze dei politici rende questi ultimi delle persone molto simili alle altre.

 

Ma i politici non possono comunque fare a meno di tentare di utilizzare al meglio gli strumenti della comunicazione. Probabilmente anche perché il vero potere nelle società contemporanee viene esercitato altrove e cioè a livello internazionale, essi devono cercare di mascherare la loro debolezza e lo fanno collocandosi al centro dello spazio mediatico, per attirare l’attenzione su di sé e sfruttare a proprio vantaggio i ritmi e le pause che caratterizzano il flusso dei messaggi. Il primo ministro italiano Matteo Renzi è molto abile in questa attività e non è un caso che la sua carriera pubblica sia cominciata nel 1994 da concorrente di un programma televisivo come “La ruota della fortuna”, condotto da Mike Bongiorno. D’altronde, la sensibilità mediatica di Renzi è resa evidente anche dal suo utilizzo nella fase di affermazione di un segno di riconoscimento molto forte e in grado di “bucare lo schermo” come la camicia bianca firmata dallo stilista fiorentino Ermanno Scervino. Un segno che ha dovuto impiegare per via della sua abbondante sudorazione, ma che gli è servito anche per comunicare purezza e candore. Le maniche arrotolate all’avambraccio, poi, hanno espresso la sua volontà di attivismo e impegno, ma anche il rifiuto della divisa formale della politica – il classico completo scuro giacca e cravatta – e dunque informalità, spontaneità e vicinanza agli elettori e alle persone comuni. Marco Belpoliti perciò ha scritto su Doppiozero nell’articolo La camicia di Renzi che questa camicia non ha molto in comune con quella indossata dagli altri politici. Infatti, a suo avviso, «La camicia bianca di Renzi è diversa. Non fa parte dell’identità personale, quanto piuttosto del brand».

 

Anche Matteo Renzi dunque, come altri politici contemporanei, può essere considerato come una marca, cioè come «un dispositivo di significazione capace di dare senso a una molteplicità discontinua di esperienze, per ripristinare una coerenza e una legittimazione, laddove tali requisiti erano stati infranti dalla dinamica storica» (Nello Barile, Brand Renzi, p. 4). Non è un caso pertanto che Renzi, come qualsiasi marca, cerchi costantemente di occupare lo spazio mediatico per poter comunicare agli italiani una precisa identità. E che per ottenere questo risultato ricorra a un utilizzo sistematico e intensivo di tutti i media. Innanzitutto della televisione, il medium che può essere ancora considerato quello più potente. Nel dicembre 2014, secondo i dati forniti da Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), Renzi ha occupato un quinto del tempo disponibile per la politica sulle reti della RAI, mentre un altro quinto è stato complessivamente riservato ai suoi ministri e un ulteriore quinto a esponenti del suo partito. In totale, dunque, più del 62% del tempo dedicato alla politica è stato monopolizzato da Renzi e dal PD: molto più di quello che era riuscito a fare Silvio Berlusconi nei suoi tempi migliori.

 

Poiché intendeva presentarsi come una novità, Renzi ha naturalmente fatto un intenso uso dei mezzi di comunicazione più innovativi e cioè del Web e dei social network, a cominciare da Twitter. Anzi, si può dire che abbia adottato quei valori di dialogo e di partecipazione che sono propri del cosiddetto «Web 2.0» come principi cardine della sua azione politica. Ma tutte le marche oggi, nell’era del Web, sono costrette a scendere da quel piedistallo prestigioso in cui si trovavano in passato per mettersi a dialogare direttamente con le persone comuni. Dunque, anche i politici, come i divi dell’epoca contemporanea, devono riuscire a essere amichevoli e friendly, ovvero a fare propria quella logica della prossimità, della trasparenza e dell’interazione che rappresenta la caratteristica primaria del Web. Non adottano perciò quella concezione della propaganda che veniva condivisa all’inizio del Novecento e che cercava di “modellare” l’opinione pubblica, ma si accontentano invece di riuscire a gestire la propria brand image e a comunicarla agli elettori attraverso un processo aperto che prevede coinvolgimento e scambio reciproco.

 

Un risultato che, evidentemente, non è facile da ottenere. Nel caso di Renzi, come ha efficacemente messo in luce il semiologo Franciscu Sedda nel volume Corpi mediali (curato da Isabella Pezzini e Lucio Spaziante, ETS 2014), il problema è di riuscire a mantenere la propria immagine personale in equilibrio tra una posizione che stia “dalla parte della gente”, pur senza poter essere sino in fondo “la gente”. Perché siamo comunque di fronte a un professionista della politica e anche a una persona che nella sua vita non ha praticamente fatto altro. Certo, Renzi è facilitato nel suo compito dall’aver ricoperto in precedenza la carica di Sindaco di Firenze, perché in generale i “primi cittadini” sono dei politici che vengono percepiti dalle persone come differenti da tutti gli altri, in quanto a diretto contatto con i problemi quotidiani della loro città. Ma soprattutto, come ha sostenuto Sedda, persegue una strategia finalizzata a produrre un «effetto di autenticità». Un effetto cioè che viene ottenuto comunicando la propria volontà di essere semplice, diretto e non artificioso e sottolineando continuamente la diversità dei comportamenti adottati rispetto al mondo dei politici che operavano in precedenza, regolarmente descritto come eccessivamente ritualizzato, intellettualizzato e autoreferenziale. Si pensi, ad esempio, all’abitudine di Renzi di parlare a braccio, a volte anche tenendo ostentatamente le mani in tasca, in occasione di importanti eventi istituzionali.

 

Una strategia di questo tipo produce anche l’effetto di suscitare una sensazione di somiglianza e vicinanza nei confronti delle persone comuni. Ciò non significa però che non riesca ugualmente a generare dei consensi. Anzi, mostrandosi empatici e autentici Renzi e gli altri politici odierni possono sfruttare anch’essi quella tecnica comunicativa di tipo “metapubblicitario” che molte marche aziendali hanno efficacemente adottato da diversi anni. Una tecnica che in apparenza sembra voler rinunciare a svolgere un esplicito lavoro di natura promozionale, ma si dimostra invece molto efficace nel creare dei legami particolarmente intensi con gli individui, perché fa ricorso alla fiducia e alla complicità. È noto del resto che il potere che i media contemporanei detengono, più che essere basato sulla manipolazione o sulla censura, forme ancora primitive di condizionamento degli individui, fa ricorso all’eccesso di trasparenza e di visibilità, ovvero a quella che Jean Baudrillard, nel volume Le strategie fatali, ha chiamato «oscenità», utilizzata perché «Quando tutto è sovraccarico di senso, il senso stesso diventa impossibile a cogliersi» (p. 54).

 

È allora possibile che in futuro accada quello che è stato ipotizzato da Christian Salmon ne La politica nell’era dello storytelling e cioè che l’homo politicus scompaia dalla scena sociale, ma non attraverso una modalità lenta e poco visibile, bensì in una maniera particolarmente evidente e addirittura clamorosa, cioè «sotto gli occhi di tutti, al colmo della sua esposizione, in una sovraesposizione mediatica, per una sorta di divoramento» (p. 115), causato dalla voracità dei media e dal loro smodato bisogno di produrre sempre nuovi stimoli in grado di suscitare l’attenzione del pubblico. Vale a dire che probabilmente la politica è un tipo di spettacolo destinato paradossalmente a morire per colpa della sua stessa natura spettacolare.

 

 

 

Il libro:

Vanni Codeluppi Mi metto in vetrina. Selfie, Facebook, Apple, Hello Kitty, Renzi e altre “vetrinizzazioni”, Mimesis 2015, pp. 120, € 10,00.

 

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