Scoiattoli e topo / Roditori ovunque

15 Agosto 2021

Cip e Ciop, Squitto, Alvin, Rodney, eccetera. Perché gli scoiattoli piacciono così tanto a grandi e piccini? Per la loro coda? Per la rapidità dei loro movimenti? Perché saltano di ramo in ramo? Perché salgono e scendono dagli alberi con grande agilità e eleganza? Gli scoiattoli hanno senza dubbio qualcosa di speciale, tanto speciale che ci rifiutiamo di considerarli semplici roditori affini ai topi e ai ratti, così che quando li incontriamo nei parchi cittadini ci diamo da fare per cercare di farli avvicinare fino a prendere il cibo dalle nostre mani. Perché? Da molti anni gli scoiattoli vivono accanto a noi e non più nelle foreste. Nei grandi giardini e negli spazi alberati delle città sono così abituali e consueti da essere oramai parte della fauna stanziale, mentre, come scrive il biologo ed ecologo Josef H. Reichholf in Scoiattoli & Co. (tr. it. di Elena Sciarra, Aboca) molti bambini delle zone rurali oramai conoscono questo roditore solo per averlo visto sui libri illustrati. Nella classifica, seppur provvisoria, degli animali più famigliari occupa un posto in alto insieme a conigli, volpi, ratti, topi, ricci. La prima caratteristica evidente degli scoiattoli è la loro dentatura: due robusti incisivi, sia nella mandibola superiore che in quella inferiore.

 

L’ordine cui appartengono è appunto quello dei Rodentia, uno dei più ricchi di specie, oltre 2280, e i suoi membri son ben lungi dall’essere stati identificati tutti. Allo stato attuale delle conoscenze i roditori sono circa la metà di tutte le specie di mammiferi esistenti. Le loro dimensioni sono molto variabili: si va dai topi minuscoli del peso di qualche grammo al castoro europeo che ha una stazza di 30 chili e anche più. La sua parentela con i topi, i roditori che s’accompagnano da sempre all’umanità, è così stretta che, come suggerisce Reichholf, basterebbe fornire un mantello a un topo e aggiungergli una coda per confonderlo con uno scoiattolo vero e proprio per quanto il muso dello scoiattolo sia appuntito e quello del topo invece rotondo. Gli Sciuridi, famiglia a cui lo scoiattolo appartiene, sono saliti sugli alberi molto tempo fa, e ne hanno fatto il loro habitat naturale. Scendono i tronchi come se percorressero una strada e sono capaci di grande velocità nei movimenti, in più sono ottimi saltatori. Affusolati, dalla punta del naso alla coda sono lunghi tra i 18 e i 27 centimetri – la coda da sola misura 14-20 centimetri –, mentre la coda dei ratti è nuda. Probabilmente è proprio questo aspetto a farli risultare repellenti alla maggior parte degli esseri umani. Quella dello scoiattolo è particolarmente graziosa e anche il colore del mantello, per lo più rossiccio o marrone scuro, ci risulta piacevole.

 

Ci sono anche scoiattoli quasi neri in Asia e grigio argento, ma il loro ventre è quasi sempre bianco. Sono colori che ci piacciono, mentre il grigio o il nero scuro dei topi e ratti ci repelle in qualche modo. Tuttavia sono gli occhi dello scoiattolo che ci colpiscono: nero lucente. Un tratto che viene messo bene in luce nei disegni delle illustrazioni e nei cartoni animati di cui sono protagonisti – come dimenticare i dispettosi Cip e Ciop con i loro occhioni? Sono entrati nel mondo Disney nel 1943 e ci sono rimasti a lungo. Gli scoiattoli usano le zampe anteriori come se fossero delle mani per manipolare cose e reggerle. Anche i topi lo sanno fare, ma non con la medesima destrezza, che è accentuata solo nei film di animazione dove i topi sono protagonisti e si levano in piedi come se fossero esseri umani, dei bipedi, a nostra immagine e somiglianza – un inconscio ottico anche questo? Reichholf mette a fuoco il problema fondamentale che riguarda l’anatomia e il destino dello scoiattolo: il cibo. Quello che gli serve per vivere è grossomodo quello che consumiamo noi, naturalmente in proporzione alle loro dimensioni. Per mantenere la sua temperatura corporea più elevata della nostra, vivendo spesso in zone molto fredde, e per muoversi con quella velocità ed agilità, lo scoiattolo consuma una enorme energia per cui gli serve cibo in abbondanza e continuamente, anche per la forma del suo apparato digerente.

 

Il fatto che questo non lo trasformi in una sorta di divoratore continuo e pericoloso come il topo, è interessante. Gli scoiattoli sono più moderati di questi roditori che ci assediano e che mangerebbero tutto ciò di cui noi umani ci nutriamo e di cui facciamo provvista. Questa è la ragione per cui li consideriamo nocivi, oltre che portatori passivi di malattie come la peste. Gli scoiattoli, scrive Reichholf, non hanno mai superato la “soglia del danno”, o se lo hanno fatto è stato per ragioni particolari e in circostanze spesso irripetibili. Il paragone con i topi è importante per capire le particolarità degli scoiattoli, Dove ci sono gli uomini, lì ci sono sempre anche i topi. La loro società è l’esatto calco della società umana. Il termine “topo” è un’invenzione letteraria, perché in zoologia non esiste un animale con questo nome. Il termine scientifico che lo indica è Mus musculus, che corrisponde al cosiddetto il topo domestico; c’è poi l’Apodemus selvaticus, la versione selvatica, della famiglia dei Muridi, e l’Elyomys quercinus, il topo quercino, della famiglia dei Gliridi, quindi lo Jaculus jaculus, il cosiddetto topo delle piramidi della famiglia dei Dipoidi, e molti altri. Così la distinzione tra topi e ratti non è compresa nelle classificazioni zoologiche. La famiglia dei Muridi, cui appartiene il “topo” comprende 83 generi di animali, tra cui il Mus e il Rattus; del primo sono presenti in Italia più di 300 sottospecie, poi evolute nel corso del tempo, e così anche per il Rattus.

 

La storia dei topi è dunque connessa con quella degli uomini a partire da quando, sessanta milioni di anni fa, si estinsero i dinosauri, dominatori del pianeta, e cominciarono ad emergere i mammiferi, cui appartengono sia gli uomini che i topi. Occorsero però altri milioni di anni a entrambi per conquistare la superficie del Pianeta. Questo formidabile animale così come lo conosciamo ora proviene dall’Asia, dai deserti, dalle steppe e dalle foreste di quel continente. Fu nel VII secolo a.C. che le popolazioni indiane si resero conto che la presenza dei ratti e topi era diventata endemica nelle loro abitazioni e presso i granai. Seguendo gli spostamenti delle genti e dei commerci, i topi entrarono successivamente in Africa. Così in Egitto il Rattus alexandrinus diventò commensale delle riserve alimentari dei faraoni e s’incrociò con altri tipi di ratti dando vita al Rattus rattus. Com’è arrivato in Europa diventando l’abitante stanziale delle nostre città? Secondo alcuni sarebbe giunto nel XII secolo dentro le navi dei crociati di ritorno dalla Terra Santa; in realtà il Rattus si trova già effigiato in bronzi votivi etruschi e su monete romane circolanti in varie regioni. Quello che aveva trovato posto sulle imbarcazioni cristiane fu un ratto molto aggressivo e vorace, che dovette poi contendere il proprio territorio nel corso del XVIII secolo all’ancora più terribile Rattus norvegicus, chiamato così perché creduto originario della Norvegia, in realtà arrivato prima, probabilmente anch’esso dall’Asia. Si ipotizza che sia stato un terremoto devastante del 1727 in Asia centrale a produrre la diaspora decisiva del norvegicus verso l’Europa da città come Calcutta.

 

Qual è il segreto del successo dei topi? La loro sbalorditiva prolificità, che ne ha fatto sin dall’antichità un emblema della sessualità e li ha elevati presso alcuni popoli a divinità. La femmina del ratto ha sei paia di mammelle, va in calore da sei a otto volte l’anno per una durata di sei ore. In questo tempo viene corteggiata da molti maschi e si unisce a loro. Può essere coperta in questo tempo da trecento a cinquecento volte. Se poi si pensa che la gestazione è molto corta, ed è precoce nella capacità sessuale, si capisce come mai i topi si riproducano così velocemente e in numero così cospicuo. Il Rattus norvegicus, che infesta oggi le nostre metropoli, è invece al confronto meno prolifico. Sessualmente maturo dopo otto-dodici settimane, si riproduce tre o cinque volte l’anno con una gravidanza di tre-quattro mesi, e dà alla luce da quattro a dodici piccoli. Vive circa tre anni e, se si calcola quanti topi si generano in questo lasso di tempo – centosettanta circa –, si arriva a computare che dalla discendenza di un solo ratto in tre generazioni di nove anni complessivi si producono 2.197.000 norvegicus.

 

 

C’è un altro aspetto sconcertante che spiega la forza d’impatto dei topi al di là della lotta che gli uomini conducono contro di loro: una femmina che ha partorito almeno una volta è in grado di riprodursi senza accoppiarsi. Non si è ancora capito bene come sia possibile, ma le femmine del ratto possono ritenere gli spermatozoi o gli zigoti. Si sa per certo che una femmina incinta di un ratto maschio, se ne incontra un altro che le piace di più, è in grado di far regredire i feti concepiti a vantaggio di una nuova gestazione dopo l’accoppiamento con il nuovo partner. Il Mus musculus, meno pericoloso e di minori dimensioni rispetto al norvegicus, è con noi da almeno 23.000 anni, ben prima che le fogne diventassero l’habitus ideale per i ratti. I topolini, invece, quelli trasformati da Walt Disney in personaggi amati dai bambini, come accade nel cartone animato Cenerentola – l’affettuoso e soccorente Gas Gassono arrivati attraverso lo Stretto di Gibilterra circa quattromila anni fa, e hanno colonizzato il nostro continente, scendendo poi verso la Pianura Padana. Sono state le nostre abitazioni a fornire loro il domicilio migliore, sotto i nostri piedi o sopra le nostre teste: cantine e solai. Così il loro esercito composto da musculus e domesticus abita con noi, cercando di sfuggire al loro stretto parente il Rattus rattus.

 

C’è da dire che i topi e i ratti hanno raggiunto, come sostengono gli studiosi, una forma pressoché perfetta, dato che da milioni di anni non subiscono più grandi trasformazioni e reggono bene le sfide ambientali in corso, candidandosi a nostri successori, visto che persino gli insetti, veri dominatori del Pianeta, cominciano ad estinguersi a causa delle nostre azioni sul sistema ecologico terrestre. In un suo celebre romanzo, La ratta, lo scrittore tedesco Gunther Grass ha elevato questo animale a testimone terminale della nostra estinzione. La storia dei topi è anche la storia della più terribile malattia di cui essi sono potenziali portatori: la peste. Attraverso una pulce, che li frequenta da tempi lontanissimi, hanno generato la strage nelle nostre città a partire dal 161 d.C. Lo Yersinia pestis, il bacillo scoperto solo nel 1894, ha sterminato gran parte della popolazione europea tra il 1347 e il 1351, e si è manifestato l’ultima volta nel nostro paese nel 1945 a Bari. Ancora oggi i ratti e i topolini si alimentano delle nostre deiezioni, corrono dentro i condotti fognari, s’infilano nei solai e nelle cantine senza che riusciamo ad eliminarli una volta per tutte. Anzi, siamo noi gli allevatori dei topi e dei ratti grazie ai rifiuti abbandonati per le strade delle città. La lotta contro di loro è estenuante, e non è detto che la vinceremo.

 

Più probabile che avvenga il contrario. La nicchia ecologica che definisce lo scoiattolo è legata come il topo al cibo e poco a fattori ambientali. La prerogativa dell’Homo sapiens è stato quello di adattarsi a tutti i climi e le latitudini, anche le più estreme e difficili; siamo tra gli abitanti del pianeta quelli che più si sono emancipati dalla dipendenza diretta dall’ambiente. Salvo poi incontrare problemi nella sua gestione come dimostrano le catastrofi ambientali attuali. Gli scoiattoli esprimono uno dei molti stadi intermedi di emancipazione dalle condizioni esterne. Sono, come scrive Josef H. Reichholf, liberi e flessibili. E forse questa è la ragione per cui nutriamo verso di loro una particolare forma di simpatia. Il capitolo sulla alimentazione di questo roditore è assai interessante. Gli scoiattoli sono molto interessati all’età degli alberi e meno alla specie cui appartengono, dal momento che si nutrono di semi che gli alberi producono a partire da una loro determinata età. Noi umani siamo abituati a trovare i frutti degli alberi in bella vista sui banchi dei fruttivendoli e, distaccati come siamo dalla coltivazione diretta delle piante, non ci rendiamo conto che gli alberi fruttificano in modo irregolare e spesso imprevedibile, per quanto la moderna agricoltura abbia messo a punto tecniche di coltivazione innovative per condizionare gli alberi da frutto. Il fabbisogno alimentare degli scoiattoli dipende dalla stagione in cui sono più attivi.

 

In primavera è al massimo: 80 grammi di cibo al giorno. In quel momento dell’anno devono recuperare il peso perso durante l’inverno, poi ci sono i piccoli da sfamare. In inverno dorme molto e si muove poco. Poiché l’età massima raggiunta da questo roditore è dieci anni, se tutto gli va bene, attendere che una quercia giovane produca ghiande è impossibile. La quercia cresce lentamente, ma una volta raggiunta l’età e la dimensione giusta per fruttificare, può produrre ghiande per otto secoli e più. Per cui è importante per lo scoiattolo che nel bosco vi siano querce di età differente. Una decina di querce grandi sono in grado di sfamare famiglie di scoiattoli per generazioni e generazioni. Per un singolo animale servono 30 chili di ghiande in un anno. Purtroppo per loro non sono gli unici che si nutrono di ghiande: tra altri animali e insetti, la gara per accaparrarsi le ghiande non è sempre semplice. In Europa poi le annate di grande abbondanza degli abeti – altra fonte di nutrimento – si succedono a intervalli decennali o poco più, seguendo all’incirca l’andamento ciclico delle macchie solari, e raggiungono il culmine ogni undici anni, quando l’attività del Sole raggiunge il suo massimo.

 

Per cui vi sono periodi di magra nella produzione di pigne, ma anche di noci e nocciole, altro cibo preferito dagli scoiattoli. L’osservazione delle pratiche nutritive degli scoiattoli ha spinto i biologi a studiare i rapporti fra le varie specie, e anche in rapporto con gli alberi e come si diffondano le varie piante all’interno dei boschi. Oggi non esistono più, almeno in Europa, con qualche piccola eccezione, foreste che non siano state segnate dall’azione dell’uomo, e l’alterazione dell’ecosistema ha indotto gli scoiattoli ad adattarsi alle mutazioni portate dall’agricoltura e dalla coltivazione umana. La diffusione attuale degli scoiattoli rimonta all’era glaciale, un lasso di tempo di vari millenni caratterizzato dall’avanzata dei ghiacci e da inverni particolarmente rigidi. Questo ha influito sulla diffusione degli scoiattoli spingendoli in zone con climi meno duri e determinando una differenziazione tra le varie forme che ha assunto questo roditore. Ad esempio, gli scoiattoli giapponesi sono dal punto di vista genetico abbastanza autonomi da essere classificati come una specie a sé, pur non avendo affrontato nessuna prova per imporsi su quelli euroasiatici.

 

Lo studio degli scoiattoli, come quello dei topi – la famiglia degli Sciuridi è affine a quella dei Muridi cui appartengono i topi, come si è detto – è assai interessante per capire il meccanismo che lega la riproduzione e la durata della vita delle varie specie animali. I ratti raggiungono una maturità sessuale molto prima degli scoiattoli. Le femmine nate all’inizio dell’anno diventano fertili prima che questo abbia termine; già a sette mesi il loro corpo è in grado di ospitare dei nascituri. Nei successivi quattrodici mesi sono altamente produttive, poi passano a uno stato somigliante a quello che nelle donne è la menopausa. Tutto questo nell’arco di un anno e mezzo. Perciò a quel punto sono già anziane. Alla medesima età gli scoiattoli femmina cominciano a riprodursi. Cosa strana, perché entrambi, topi e scoiattoli, hanno il medesimo peso. L’altra cosa curiosa, o almeno così pare, è il fatto che pur essendo molto mobili e attivi, gli scoiattoli vivono più lentamente. La ragione di questa lentezza a riprodursi rispetto ai topi dipende dalla temperatura corporea degli scoiattoli: hanno una superficie assai maggiore attraverso cui il calore va perduto, e per mantenere costante la loro temperatura, che si aggira tra i 38-40 gradi, lo scoiattolo deve “scaldarsi” il più possibile.

 

Cosa che i topi fanno abitando le fognature o altri luoghi negli edifici costruiti dagli uomini. In conclusione, scrive Reichholf, corporatura e stile di vita limitano la riproduzione negli scoiattoli, mentre i ratti si moltiplicano a una velocità impressionante quando le condizioni di vita sono propizie, cioè quando c’è sufficiente cibo. Chi si riproduce molto in fretta ha una vita breve. Si pensi in questo caso alle balene, che si riproducono con molta lentezza e in numero limitato. Un esempio citato da Reichhopf è quello delle cornacchie che raggiungono una età avanzata. La loro vita si svolge a tutta velocità ma non rischiano nessun infarto o stress e vivono a una temperatura corporea di 42 gradi, che per noi sarebbe impossibile. Noi oggi viviamo più a lungo per via dell’alimentazione, del riscaldamento delle case e per le cure mediche, ma dal punto di vista biologico siamo un’eccezione, gli altri mammiferi, comprese le scimmie antropomorfe, vivono meno di noi umani. Tra gli animali terrestri più grandi solo gli elefanti vivono una vita così lunga da paragonarla alla nostra. Gli scoiattoli, conclude Reichhopf, ci hanno introdotto a un importante fenomeno alla base dell’esistenza: l’aspettativa di vita. Non è una cosa da poco. Su cui cominciare a riflettere, vista la situazione del Pianeta. 

 

Questo articolo è stato pubblicato in forma più breve sul quotidiano “La Repubblica” che ringraziamo.

 

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