Un libro non pubblicato / Seminario sul postmortem di Aldo Busi
Un romanzo non pubblicato sarà un sacco di preliminari e niente orgasmo, dice Woody Allen, mentre Federico Fellini piantò dopo quasi trent’anni la sceneggiatura del mai realizzato Viaggio di G. Mastorna preso da un attacco di superstizione: il film parlava dell’aldilà, meglio non sfidare la sorte. Il buonumore di Aldo Busi mentre si concede per pochi minuti al telefono fa pensare che questo Seminario sul postmortem (iniziato nel 2010 e terminato nell’autunno del 2020, con un incessante lavoro di limatura che continua tuttora) sia destinato a rimanere natura morta, stampato in ottocentocinquanta pagine circa ordinatamente impilate su un tavolo da lavoro, e in versione digitale in un file archiviato, dice Busi, sotto la dicitura “Romanzo senza neppure i posteri”. Lui di certo non lo propone a nessuno, ha fatto qualche pseudo tentativo-trabocchetto, dice di essersi imbattuto in sconosciuti tipografi/editor “curiosi, ridicoli, ignorantissimi e vili che se la tirano per dei perché misteriosi”, resta semmai scandalizzato, ma appena appena, che nessun editore glielo abbia ancora chiesto e racconta di essere rimasto basito quando, convocando i suoi eredi a casa per consegnare loro il manoscritto da pubblicare postumo, si è sentito rispondere: «Grazie zio, ma non lo vogliamo».
La sua risata sdrammatizzante echeggia nello smartphone che registra tuttavia, poco dopo, questo sms: “Ma io sono il primo a nutrire affetto esistenziale per me, resto tuttora ammirato e ammaliato dalle mie paganissime incursioni televisive, mi dispiace solo la troppa censura patita, mi si scatena l’odio per me solo quando scrivo, lo devo fare ma non me lo perdono, e così ingrasso, non mi muovo, a volte per anni, non vado di corpo, sono irascibile, fintamente generoso e seriamente fatalista fino al masochismo più idiotico pur di sbarazzarmi al più presto dei rompicoglioni, talvolta paraistituzionali, che si ammassano alla mia porta, per fortuna che intanto la vita se ne va, di quella, data la mia naturale intelligenza radicalmente anticlericale e antimafiosa e antifascista e antimassonica, non ho mai saputo cosa farmene – a parte buttarla via con grazia malgrado la mancanza di un’alternativa, umani mai una sola volta all’altezza della mia eleganza psichica e civile in generale, potevo essere l’ultimo granchio di una specie estinta e stare su uno scoglio senza altra vita e non sarebbe cambiato granché nella memoria che ho del mio passato e della gente in cui mi sono imbattuto.
Del resto il primo capitolo non a caso si intitola Gli uomini non sono desiderabili, la vita è sopravvalutata e il rame non è infinito. Il sequel di Seminario sulla gioventù resta quindi, per ora, il romanzo perfetto, che nessuno ha letto e leggerà, composto come sotto dettatura, perché preesistente a Busi stesso, già scritto insomma da lui nelle oltre ventimila pagine di tutti i libri pubblicati, il girotondo omerico delle migliaia di personaggi che postmortem lo guardano e lo giudicano.
Quanto agli altri scrittori, ecco un esempio del pensiero estetico-linguistico di Busi: “A me Philip Roth non m’incanta: i suoi personaggi, persino amanti ventennali e coniugi centenari e bidelle senza istruzione, parlano come libri stampati, ecco, e nessuno sembra accorgersene, e Roth men che meno. Non si interrompono mai, non si fraintendono mai, e, udite!, parlano per rivelare di sé all’altro più che possono, non come noi comuni mortali che parliamo per nascondere più che possiamo a noi stessi per primi”.
La non pubblicazione di mille pagine è quindi il giro di vite perfetto nel cerchio di ferro che si stringe attorno a Busi, che sempre rivela quando scrive l’oscurità del nostro profondo, e lo tortura. Ma la vita non ha mai il sopravvento su di lui che, mentre si impegna a gettarla via, non le permette mai di fare di lui ciò che vuole perché, generoso e avido com’è, la doma come si farebbe con un cavallo che deve abituarsi al morso. Vince sempre lui, anche quando parla da morto con la voce di Delfina Unno Pastalunghi, nei suicidi dovuti, o nelle morti dell’anima dei suoi personaggi che sono tutti lui senza essere mai lui, nell’orchestrazione perfetta di un’opera unica e coerente, sia nella forma romanzata, in quella di saggio, nel reportage di viaggio, nei volumetti di galateo scoppiettanti di vita, sempre e tutti impregnati di allegria e di dolore, e di un senso civico altissimo.
Questo scrittore, che da quasi un decennio ha scelto l’isolamento volontario pressoché assoluto, per il quale vita e opera non contano, né l’una né l’altra, se non per l’occasione (sprecata, dice lui) di farne un tutt’uno, non ha mai rinunciato a prendere posizione per i diritti calpestati, contro le sventure razziali, smascherando la politica del tornaconto, la corruzione della giustizia, gli assolutismi propagandati da pulpiti vari. Seminario sul postmortem avrà perciò bisogno di un editore coraggioso perché la voce del polemista avrà la grana del linguaggio chirurgico di chi preferisce usarlo come arma di difesa, ma quando offende lo fa con la precisione dello scrittore, demolendo demagogia, approssimazione, luoghi comuni con l’arma della letteratura, che ferisce a morte i politici di twitter, i magistrati-megafono, i mafiosi che credono di passare inosservati, gli intellettuali ridotti in miseria dal politicamente corretto.
Questo libro cela nel titolo l’essenza stessa del romanzo, perché l’arte vera si compie nel silenzio, esercitata ascoltando nient’altro che il proprio istinto, quando proclama che la letteratura è la realtà e insieme il giudizio finale. Sarà forse uno di quei capolavori nascosti di cui vorremmo un giorno godere, come vorremmo ammirare i Rembrandt o i Matisse dell’Ermitage, dove non siamo mai stati. Seminario sul postmortem è il libro essenziale, di uno scrittore famoso, ma che nessuno può leggere, come se già esistesse in ognuno di noi. Busi, guardandosi da fuori, artefice della sua opera ma allo stesso tempo, forzatamente, anche giudice, ricaverà da questa autocontemplazione l’inutilità di un altro tipo di bellezza, esteriore e forse superiore all’opera stessa, alla quale donerà una unità, una grandezza di cui magari non era neppure priva.
L’idea che i libri o i quadri più belli siano quelli che non abbiamo ancora letto o visto muove la nostra immaginazione: un libro costretto a non essere materia, perché non stampato e non venduto, è come un quadro nascosto nei sotterranei di un museo, esistono ambedue, ma invisibili ai nostri occhi. Chi non pubblica Seminario sul postmortem ha la grande responsabilità di costringere Busi a un ruolo che non gli si attaglia per nulla, quello del grande scrittore incompreso, mentre l’assenza del manoscritto trasformato in volume sugli scaffali delle librerie e su Amazon diventa sempre più ingombrante e l’orgasmo che rilascia endorfine per la soddisfazione di un desiderio esaudito resta in standby.