Il suicidio politico di una classe dirigente / Successo 5 Stelle

21 Giugno 2016

Tre anni fa, il 25 febbraio 2013, un nuovo attore politico occupava il centro della scena politica italiane ed europea. Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle passavano da zero al 25% dei voti, da zero a 163 parlamentari: il più esplosivo successo elettorale della storia del paese.

“Non può durare”, era stato il commento con cui la casta dei politici e dei commentatori politici avevano esorcizzato l'evento. “È un fuoco di paglia, un boom protestatario e populista”. A parere degli esperti, gli elettori avrebbero presto abbandonato l'infantilismo qualunquista per tornare a una visione matura e costruttiva, in cui l'opposizione tra destra e sinistra avesse ancora senso.

 

Quella previsione autoconsolatoria si è rivelata ridicola ed è stata una catastrofe per il tradizionale sistema politico. Il 19 giugno 2016 il Movimento 5 Stelle ha sbancato 19 ballottaggi sui 20 a cui partecipa, a partire da Roma (con il 67%) e Torino. Quello della Appendino è un risultato politicamente ancora più significativo perché ottenuto in rimonta, sbaragliando una roccaforte del vecchio PD e umiliando l'ex segretario del partito Piero Fassino, il profeta che nel 2009 aveva intimato a Grillo “Grillo fondi un partito, vediamo quanti voti prende”. Insomma, se Renzi non ride, i fautori del partito-ditta possono solo piangere sui loro errori e sull'incapacità di rinnovarlo.

Forse quello che va ai 5 Stelle è (anche) un voto di protesta, ma la casta non ha fatto nulla per eliminare la motivazione principale di questa scelta, ben nota a tutti gli analisti politici. “La percezione della corruzione è il più significativo elemento di predizione della sfiducia politica”, ha spiegato Manuel Castells in Comunicazione e potere (pp. 362-363). In Italia le ruberie e gli scandali occupano quasi ogni giorno la prima pagina, il saccheggio della cosa pubblica è pratica corrente. “I politici continuano a rubare, ma non si vergognano più”: non è il grido di dolore di un demagogo esasperato, ma la prima dichiarazione del nuovo presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati Pier Camillo Davigo (21 aprile 2016).

 

Mafia Capitale ha dimostrato che il ceto dirigente italiano (politici, amministratori, imprenditori pubblici e privati) è profondamente corrotto. Peggio, è colluso con la criminalità organizzata.

Le cause politiche “ufficiali” della cacciata di Ignazio Marino dal Campidoglio sono ridicole, e ancora più ridicole sono le motivazioni aggiunte dal giornalismo killer di “Repubblica” quando elencava le “pubbliche stranezze” di “Dis-Grazio Marino”: “Lo zainetto. La bicicletta. (…) Quindi l'invenzione, l'ostensione e la vestizione della sciarpa ecumenica, metà della Roma e metà della Lazio. (…) il settembre dell'anno scorso, si è presentato con la barba. Come se volesse nascondersi, ma anche metterci un'altra faccia” (30 ottobre 2015). Marino, come hanno capito benissimo i cittadini romani, è stato defenestrato dal Campidoglio solo perché era estraneo alle logiche di saccheggio bipartisan. È questa è la ragione principale del 68% dei voti a Virginia Raggi.

 

 

 

Grillo ha occupato una voragine politica che si è aperta su scala europea (e non solo, visto l'exploit di Trump, il formidabile mix di Berlusconi e Grillo in salsa americana): Syriza in Grecia, Podemos e Ciudadanos in Spagna... È una trasformazione che porta oltre le tradizionali categorie di destra e sinistra perché intercetta una diffusa disaffezione per le forme tradizionali di rappresentanza. È un disagio che può prendere due direzioni opposte. Da un lato c'è la richiesta di forme di partecipazione diretta, dall'altro la delega a un leader carismatico. Molto spesso alla crisi si sta rispondendo in forma regressiva: la Lega in Italia, le nuove destre nel Nord Europa, Farage in Gran Bretagna, Marine Le Pen in Francia, per non parlare di Ungheria e Polonia.

Il duo Grillo-Casaleggio è stato geniale: anticipando questa valanga, ha offerto ai cittadini un ticket che unisce due risposte apparentemente inconciliabili. Per i difensori della casta (compresi i rottamatori, i partigiani di una casta ringiovanita) era solo l'incesto tra un guitto in declino e il padroncino visionario e paranoico dell'ennesimo partito personale. Un altro errore di valutazione, se il partito sta reggendo brillantemente al passo indietro di Grillo e alla morte di Casaleggio.

Certo una parte delle fortune del Movimento 5 Stelle è frutto degli errori delle forze politiche tradizionali (o forse di una crisi generalizzata delle nostre democrazie) e del cambiamento del clima politico in Europa, fermo restando l'intuito politico di Grillo, da sempre anti-europeista. Ma una parte delle recenti vittorie, e il perseverare delle fortune elettorali, dipendono anche da un metodo e da una proposta politica innovativi.

 

Con tante promesse e varie goffaggini, la Casaleggio Associati ha cercato di attivare forme di democrazia diretta online, usando uno strumento sempre più diffuso e attraente, che predispone alla partecipazione e all'immediatezza (il “qui e ora” della rete). Non sempre le procedure funzionano (anzi), ma certo la “comunità partecipata” dei Meet Up ha dato ai cittadini la sensazione di un ascolto, o meglio di una occasione di espressione e dibattito che la casta continua a promettere ma che si guarda bene dal praticare. Alle dichiarazioni di facciata sull'apertura al dialogo con i cittadini (così come accade per i proclami sulla lotta alla corruzione e contro la malavita organizzata) non corrisponde alcuna efficace azione reale. Ancora Castells: “La pratica della democrazia è messa in discussione quando c’è dissociazione sistemica tra potere della comunicazione e potere rappresentativo. […] la crisi più importante della democrazia entro le condizioni della politica mediatica è il confinamento della democrazia nell’ambito istituzionale di una società in cui il significato si produce nella sfera dei media. La democrazia può essere ricostruita nelle specifiche condizioni della società in rete solo se la società civile, nella sua diversità, è in grado di sfondare le barriere aziendali, burocratiche e tecnologiche poste alla costruzione dell’immagine sociale” (p. 378, corsivo nell’originale).

 

 

Il carisma di Grillo non è servito solo a dare identità e visibilità al movimento, ma ha costituito la base di una efficace guerriglia mediatica, basata sulla “politica dello scandalo” e sull'irritazione sistematica che caratterizza la comunicazione online. È anche per questo che il Movimento 5 Stelle è diventato una “gioiosa macchina da ballottaggi”.

Non è facile creare una nuova classe dirigente. Però, visto l'appeal di Raggi e Appendino rispetto a Giachetti e Valente, il metodo seguito in questi anni dai guru Grillo e Casaleggio (compreso il ridicolo talent show televisivo per le primarie) funziona meglio del binomio cooptazione-tradimento che caratterizza il declino dei partiti tradizionali, costretti a riproporre cavalli imbolsiti o giovani controfigure senza calibro politico, destinati alla sconfitta (con qualche luminosa eccezione, vedi l'Immortale Clemente Mastella). Il “parlamento dei nominati” va proprio in questa direzione.

 

La pratica dei 5 Stelle promette apertura e ricambio in un’arena politica aperta alla partecipazione. Lo stesso accade anche per le scelte politiche, con molte ambiguità. Però finora queste procedure sono risultate credibili. La riprova dell’efficacia del metodo è la selezione di candidati (o meglio di candidate) credibili come Raggi e Appendino, e anche Pizzarotti a Parma. Gli scettici rispondono che bisogna aspettare la prova dei fatti. Ma centrodestra e centrosinistra non brillano per efficienza e competenza (anche se reggono meglio là dove c'è ancora buona amministrazione, e non è un caso). A giudicare dagli scandali a raffica che falcidiano giunte di centrodestra e centrosinistra, Roma pare più la regola dell'eccezione. È più probabile in ogni caso che la lotta politica dentro e fuori il partito sia più efficace nel selezionare personale politico credibile. Il metodo conserva molte ambiguità, ma è certo più trasparente dei meccanismi ormai opachi dei partiti tradizionale. Soprattutto, si annuncia aperto all'ascolto e alla partecipazione dei cittadini, li coinvolge nell'attività politica, li spinge all'impegno. E questo, in una fase di astensionismo crescente, è senz'altro un grande merito.

 

Il metodo – con quella sua tendenza assembleare – ha un limite. Tende a privilegiare proposte politiche semplici, perché comprensibili e di apparente buonsenso; e al tempo radicali, come è naturale in un movimento d'opposizione e di protesta, in una fase di esasperazione e rabbia. Tuttavia sono proposte difficilmente realizzabili. In primo luogo perché sappiamo che per un problema complesso esiste sempre una soluzione semplice – che però è quella sbagliata. In secondo luogo perché qualunque movimento politico, in una pratica di potere democratico, deve scendere a compromessi: con le altre forze politiche, e soprattutto con i corpi intermedi della società. Se il mandato che ricevono i portavoce su ogni questione è rigido e immutabile, allora non può esistere spazio di mediazione: ogni ipotesi d'accordo rischia di essere considerata tradimento, o peggio. Nella fase dell'opposizione moralizzatrice questo comportamento è assai efficace: porta consensi e obbliga le altre parti politiche ad adeguarsi. Quando l'opposizione diventa maggioranza, è necessario cambiare tattica. Oggi il Movimento 5 Stelle deve inventarsi una prassi politica che preveda una reale forma di delega e rappresentanza, altrimenti rischia di portare la democrazia in un vicolo cieco.

 

Ma a ripensare la propria prassi politica devono essere prima di tutto gli sconfitti di questa tornata elettorale. Di fronte al proprio disastro, le forze politiche tradizionali cercano la scorciatoia. Tutto quello che riescono a immaginare – oltre a scannarsi per la leadership di partiti ridotti a cricche – è una riforma elettorale (e Costituzionale) che tenga i barbari fuori dalla stanza dei bottoni. Se questa è la loro risposta, hanno già perso. Questo è il suicidio politico di una classe dirigente che non conosce il paese e che non ha futuro.

 

 

Per concludere, un quiz per le lettrici

 

Matteo Renzi dichiara: «Fossi un cittadino non sceglierei un candidato co.co.pro di un’azienda privata milanese. (…) Chi apre la sua casella, trova la mail e firma un co.co.pro. della Casaleggio Associati».

 

Andrea Severini in Raggi scrive alla moglie, da pochi minuti sindaca della capitale: «Sono 21 anni che ti conosco, ora per noi è un momento difficile è inutile nasconderlo, ma io sarò sempre accanto a te. Cercherò di proteggerti il più possibile anche da lontano».

 

Chi dei due è peggio? Rispondete su twitter #iotiproteggerò

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