Speciale
Tavoli | Massimo Cacciari
Al primo colpo d’occhio l’impressione che ci restituisce questa visione dall’alto è quella della densità. Lo sguardo non sa esattamente dove posarsi, vaga incerto da un punto all’altro finché un certo disorientamento, un senso di abdicazione, si accompagna a un incanto d’insieme. Più che un’impossibilità a tenere in forma unitaria la propria visione, sopraggiunge il piacere di un abbandonarsi a quell’insieme avvolgente, perché qualcosa di indiscutibilmente intenso aleggia nello spazio visivo di questo tavolo da lavoro.
Proviamo allora a procedere per alcuni dettagli d’insieme. Il primo è quello evidente dei libri. Troppi per un utilizzo ordinato e finalizzato a un unico progetto, dicono così il tempo dello studio come il tempo di una vita. È un accumulo fatto di necessità e di abbandoni, come se ognuno di quei libri aspettasse il momento opportuno per ritornare in primo piano, magari per essere ancora una volta la fonte effettiva di una nuova ispirazione.
La presenza poi evidente dei fogli, certo sparsi, ma senza per questo non cogliere una certa simmetria. Sulla destra del computer un foglio che sembra predisposto a raccogliere appunti sparsi o intuizioni improvvise. Più a destra ancora un foglio sempre scritto a mano, la scrittura però risulta questa volta più lineare, sembrerebbe rispondere all’indice di un libro a venire. Alla sinistra del computer un foglio con i caratteri stampati, forse quello stesso libro in gestazione. La lampada è pronta ad accendersi sopra quelle righe, a rivelare un lavoro anche serale, se non addirittura notturno. La penna è però rimasta appoggiata su di un’agenda settimanale ancora aperta, come a dire il contrasto tra un desiderio della continuità del lavoro, tra il giorno e la notte, e l’idea di un’incombenza, di impegni che si vorrebbero dimenticare, ma che saranno comunque assolti.
Infine le carpette. Allineate in ordine, ma chiuse nel loro segreto. Solo una mano esperta, come quella di Ulisse con il proprio arco, le può raggiungere, perché le sa riconoscere. L’ultima scelta è abbandonata lì di rovescio, emerge in primo piano come una stele impenetrabile: specchio di un riflesso del tempo.